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Cosa non farei per la Genovese da Gennaro

martedì, 09 Novembre 2010 di

svinando

Mancavo da tre anni in costiera amalfitana e ho scelto la fine settimana peggiore per tornarvi. Lampi, tuoni, fortunale, un tempesta ineffabile quanto insolita da quelle parti. Mi avvicinavo alla Torre del Saracino, il ristorante del nostro grande chef Gennaro Esposito, in qualche modo divertita dal contesto non solo meteorologico. Insistente il ricordo di un film esilarante che conosciamo tutti a memoria: Frankenstein Jr. Mancava solo la Frau Blucher… Sentiti i cavalli? Io sì.

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Accolta con affetto dal padrone di casa e dal suo staff di eccellenti professionisti, ho mangiato un piatto fuori menu preparato con cura apposta per me. E’ il mio piatto preferito: la Genovese. Il cuore mi ha riportata indietro di alcuni anni, quando lavoravo a teatro ed ebbi la fortuna di essere diretta da un grande maestro, un vero intellettuale, scanzonato e ironico, letterato di prim’ordine e fine gourmand, Ugo Gregoretti, l’unico uomo al mondo che accenderebbe un mutuo trentennale a tasso variabile per un piatto di genovese. Fu proprio lui a farmi assaggiare per la prima volta questo capolavoro della cucina tradizionale napoletana. Leggenda vuole che il nome Genovese derivi da Ginevra e non da Genova, ma su questo potremmo perderci fra interi scaffali di aneddotica e di luoghi comuni sulle origini della cucina italiana e d’altra parte poco importa. Ciò che conta è il risultato prodigioso che ritroviamo nel piatto. Il segreto che non sono riuscita ad estorcere a quell’angelo di Esposito, è la consistenza della carne. Io mi diletto in cucina e mi fregio, relativamente al campionato dei fornelli di casa, di cucinare una Genovese acconcia. Eppure, dopo la lunghissima cottura che questa preparazione richiede, il mio pezzo di carne, ancorchè di prima scelta, si presenta come un sanpietrino. Ne ho verificato personalmente la scala di durezza, controllando l’ibridazione degli orbitali di carbonio: corrisponde al diamante. Infatti finisce regolarmente nella ciotola dei miei cani, i quali, meno esigenti delle vostre signore, lo apprezzano più di un gioiello di Cartier.

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La Genovese di Gennaro è un piatto semplicemente perfetto. Ziti spezzati rigorosamente lisci, ben vestiti da una crema di cipolle dorata, dolce, morbida e avvolgente. Il secondo servizio è la carne, tenera, sapida, con la consistenza cedevole più ammaliante che possiate desiderare. Un incantesimo, niente altro!

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A cena finita e sala svuotata, ci siamo trasferiti nella Torre dove, senza indugi, ho evocato un altro film avvincente: “Dal tramonto all’alba”, di Rodriguez. La serata infatti ha preso un’altra piega altrettanto divertente, col nostro chef ai dischi che alternava Led Zeppelin, Janis Joplin, indicando, in perfetta sintonia con la sottoscritta, “Baby i’m gonna leave you” come uno dei pezzi rock più belli mai suonati fino ad oggi. Bas Armagnac, sigari cubani, chiacchiere, lazi e facezie con i clienti rimasti, divertiti e bramosi di fare le ore piccole, come me del resto, che non avevo alcuna voglia di chiudere lì la serata. Gennaro è stato con noi, non senza la consueta affabilità che lo contraddistingue, capace di abbracciare il pubblico che lo ama, come lo amano i colleghi, amici, che ogni anno rispondono numerosi alla sua chiamata quando va in replica a Giugno la spettacolare festa di Vico Equense. Che serata, che Genovese. Grazie Gennaro!

Foto: Francesco Arena