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Wittgenstein e Black Mamba. Vino rodeo, vino staccionata

giovedì, 23 Dicembre 2010 di

svinando

Un pomeriggio di Gennaio di un paio d’anni fa all’enoteca Trimani a Roma, abbiamo assaggiato con Alessandro, Paolo, Francesco, Teo e Umberto Contarello, una bottiglia di Chambertin Grand Cru di Armand Rousseau 1970. Non serve che descriva le caratteristiche organolettiche di un vino di questa levatura, infatti racconto l’episodio per un’altra ragione. L’amico Contarello, la cui passione per il vino lo fa manifesto di quella nobil patria esser natio, il Veneto, non aveva mai assaggiato un Borgogna ma dopo quella volta si convertì alla dottrina senza tentato proselitismo da parte nostra e in via definitiva. I commenti sulla bottiglia furono diversi e anche un po’ scontati, per noi che conosciamo bene la materia e il suo linguaggio tecnico, ma quel che ci vinse fu l’affermazione del nostro compagno neofita: “ Questo è un vino rodeo, è un vino staccionata!”

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Sono trascorsi due anni dalla dichiarazione di Contarello e tutt’ora ridiamo a crepapelle ricordando l’episodio, ma a parte l’aspetto dilettevole, c’è altro su cui invece si può riflettere. Il linguaggio del vino ci ha stancati. Paolo Trimani, Alessandro Bocchetti ed io in questi anni abbiamo cercato di alleggerire i toni e i termini utilizzati nelle nostre degustazioni al Trimani Wine Bar, avvicinando, nelle serate “Aquattromani”, che riproporremo da Gennaio in poi, al nostro gergo spesso incomprensibile, un pubblico che vuole parlare di vino ma che non conosce i termini tecnici per farlo. Si è privilegiato l’aspetto edonistico, perché in fondo, parliamoci chiaro, ma che c’è di male nel domandarsi semplicemente se questo vino ci piace non ci piace? Forse è il momento di creare definizioni nuove, partendo proprio dal nostro gruppo, perché una comunità si forma su una lingua e partendo da alcuni termini nuovi ma comprensibili. Un nucleo semplice che poi col tempo si può arricchire.

Non serve studiare per parlare questa lingua, è necessario solo condividerne le definizioni, per parlare una lingua uguale ma con applicazioni diverse in quanto personali. Nessuno da piccoli ci ha insegnato le regole del “nascondino”, le abbiamo imparate giocando. Ecco, facciamo finta che sia un gioco, stiliamo un elenco di termini comprensibili, evocativi più del cardamomo, del minerale, della volatile. Inventiamo antinomìe libere ma precise, per passare dall’idea di vino al concetto di bere. Penso a una lingua che non mi spieghi che cos’è il vino ma che stabilisca qual è l’effetto di bere quel vino, l’effetto può anche essere il risultato emotivo.

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Giorni fa, scambiando due chiacchiere con un tizio in un wine bar, ho scoperto che il termine volatile che con disinvoltura utilizzavo per descrivere l’aspetto olfattivo di un vino, per lui non era comprensibile e non lo interpretava come un sentore di aceto, ma come qualcosa che avesse a che fare col volo di un uccello, che se ne va, quindi con l’evanescenza di quel vino, un vino corto, poco persistente. Il termine volatile presuppone una conoscenza chimica, non metaforica e questo è un limite, un ostacolo per molti che vorrebbero parlare di vino. Il rischio che corriamo è quello di cantarcela e suonarcela da soli, beati della nostra autoreferenzialità, che chiude inevitabilmente i confini al mondo esterno e non ci permette di ampliare la nostra comunità di appassionati e bevitori. Wittgenstein scriveva che la sostanza della parola è il suo uso nel linguaggio, da lì dobbiamo partire, dall’idea che il significato della parola è il suo uso.

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La lingua del vino che parliamo noi è la lingua del collaudatore di auto. Chi cacchio la capisce? Non potete comprare Quattroruote per capire se quella macchina sarà adatta ai viaggi in montagna, se ha sedute comode ed è sicura per i vostri bambini, perché dalla descrizione delle prestazioni, della cilindrata, della coppia, dai giri del motore e del coefficiente di penetrazione o dall’iniezione elettronica, non avrete un aiuto, una risposta alle vostre domande. Il collaudatore non fa gare e non costruisce auto, però le guida. Noi il vino lo beviamo, allora perché non abbandoniamo la lingua del collaudatore? Anzi, se avete un amico o un parente collaudatore, suggeritegli di porsi lo stesso problema e partendo da Wittgenstein, ovviamente…A questo punto però, che il gioco abbia inizio, apriamo le danze, comincio io con i primi termini del glossario che mi aiuterete a compilare e lo faccio ispirandomi alle tante, divertenti ed efficaci definizioni che ho udito e condiviso durante le mie lunghe sedute ai banconi delle osterie, talvolta in vostra compagnia, talvolta sola col mio bicchiere di vino, l’amico del cuore.

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Vino rodeo, vino staccionata: trattasi di vino di Borgogna con evidente sentore animale e di sterco di cavallo. La staccionata non lascia spazio a dubbi metaforici, si sente il legno ed è anche un po’ fracico.

Vino da orsi: Vino rosso molto ricco, trama fitta, denso, morbido e molto alcolico. Spesso ricorda un Amarone. Si abbina facilmente con lo stinco di Orso al forno.

Vino zanzara: Il “Prosecchino” per antonomasia, ma non solo, qualsiasi vino associato all’idea del fastidio. Att,ne, il vino zanzara può diventare Vino Rogna quando passa dal fastidio alla vera e propria seccatura. A questo punto non solo non lo beviamo, ma vuotiamo il bicchiere a terra con spregio. Ho visto coi miei occhi Bocchetti buttare via anche il bicchiere di cristallo in seguito ad un incontro con un Vino Rogna. Da notare che il vino Rogna quasi mai fa rima con Borgogna (chissà com’è? Boohhh!)

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Bolla Morta: indica uno spumante o uno champagne il cui perlage ha un piede nella fossa.

Vino con le stampelle: Ok il vino in fondo è ancora bevibile, ma si regge in piedi per miracolo.

Vino scombiccherato: termine preferito da Bocchetti, da ultimo usato da tutti noi per definire un vino incasinato, con l’acidità da una parte, il frutto dall’altra, privo di armonia. Immaginate un accordo Do-Mi-Sol fatto col Fa diesis al posto del Mi. (capite da soli che i termini possono poi diventare intercambiabili, ad esempio un vino scombiccherato non è detto che non si trasformi in un vino Rogna…raramente però si tramuta in vino Rodeo)

pesoVino Tamugno: etimo incerto, ma l’origine è certamente bolognese, l’ho importato io dalla mia città d’origine. Tamugno esprime genericamente il concetto di pesantezza, qualcosa che quasi si ferma in gola, non scende, che ha a che fare più con il concetto di solido che di liquido. Avete presente Chateau Rayas 2005 VS Chateau Rayas 2006? Due capolavori, però il primo è tamugno mentre il secondo aereo. Non mi pare sia il caso di fare paragoni con bianchi italiani…

E Poi? Amici di Black Mamba, aiutatemi a completare il mio nuovo glossario del vino e non ingozzatevi di panettone, come vostro solito…A giovedì prossimo!

Foto: Francesco Venier, boisestate, southernliving, toneoperi