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Sprechi alimentari, l’inutile viaggio verso la discarica

martedì, 11 Gennaio 2011 di

Riusciremo, come Rachel e Richard Strauss, Inglesi della contea di Gloucester, a mettere dentro un solo sacchetto della spazzatura i rifiuti di un anno intero? Mr&Mr Green, così si firmano sul loro blog, le hanno provate di tutte per raggiungere l’ambizioso traguardo. Hanno abolito ogni forma di usa-e-getta, hanno consumato verdure del loro orto, ne hanno utilizzato gli scarti per produrre compost, hanno mangiato pane e biscotti da loro preparati, hanno regalato vestiti e oggetti che non servono più ad organizzazioni di beneficienza.

Anche l’Italia ha la sua famiglia eco-virtuosa. E’ quella di Paola Maugeri, giornalista milanese che, con papà e figlio, ha provato, immortalata in un docu-reality, Una Vita a Impatto Zero, a vivere senza automobile né elettricità. Riciclando, riusando e riducendo.

E siamo alle tre “erre” del buon ecologista. Che rimandano ad un’altra R. R come rifiuti, temone enciclopedico al quale abbiamo dato il nostro modesto contributo, indagando sulle infinite possibilità del riciclo in cucina. Consapevoli, però, che lo spreco è soprattutto altrove.

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Un bilancio è d’obbligo, a pochi giorni dall’inizio del 2011 che Paolo De Castro, Presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, vorrebbe anno europeo contro lo spreco alimentare. “In Gran Bretagna”, ha spiegato De Castro, “ogni anno 18 milioni di tonnellate di alimenti sono gettati via, in Svezia ogni famiglia spreca in media il 25% del cibo che acquista. Nei 27 Paesi dell’UE si sprecano 179 kg di cibo pro capite all’anno”. A livello mondiale, ha spiegato Antonio Segré, preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, “con il cibo gettato si potrebbero nutrire 3 miliardi di persone”.

Lo spreco è soprattutto nella montagna di cibi scaduti che dai supermercati si dirigono verso le discariche o vengono riciclati. Un quantitativo sufficiente a sfamare 636 mila persone (l’equivalente dell’1% del fatturato di negozi e supermercati). Il cibo invenduto (perché scaduto, rimosso per ragioni estetiche, acquistato in eccesso oppure i pasti non serviti nella ristorazione) corrisponde al 3% del Pil italiano, calcolava a ottobre, in occasione della conclusione delle giornate europee contro gli sprechi, Antonio Segré.

Il loro smaltimento costa caro: 105 milioni di metri cubi d’acqua e 9,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Per trasformare carne vicina alla scadenza in cibo per animali, verdure in compost, carne scaduta in prodotti chimici, avanzi di pasto in nutrimento per discariche. Che fare allora, nell’attesa che De Castro partorisca, come promesso, una dichiarazione d’intenti congiunta dei paesi UE sul contenimento degli sprechi?

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Tanto per cominciare si potrebbero diminuire i quantitativi di cibo a più bassa deperibilità da avviare in discarica. Quelli con l’etichetta “da consumarsi preferibilmente entro” per intenderci che, anche dopo la data-limite, pur perdendo  alcune delle loro proprietà organolettiche e nutrizionali, restano commestibili. Un esempio? Lo yogurt, uno degli alimenti più sprecati, dopo pane e verdura. Dopo la data di scadenza indicata lo yogurt, come ha spiegato a Repubblica Antonio Segré, non diventa dannoso per la salute, “semplicemente muore qualche migliaio dei milioni di fermenti lattici vivi presenti nella vaschetta”. Per limitare l’inutile viaggio di prodotti alimentari verso la discarica, Svizzeri e Inglesi hanno adottato un sistema di etichettatura che distingue il momento in cui l’alimento inizia a perdere proprietà nutrizionali (e allora viene spesso venduto a prezzi scontati) e quello in cui non deve essere più consumato. Una soluzione che può apparire tabù nell’era (e nel paese) dello “stacca-attacca”, la fiorente pratica di sostituire le etichette per “rinfrescare” un prodotto (a volte abbondantemente) scaduto.

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L’alternativa è redistribuire le eccedenze. Come fa il Banco Alimentare che nel 2009 ha redistribuito 70.000 tonnellate di alimenti, in parte provenienti dalle mense scolastiche. Come fa anche Last Minute Market, lo spin off dell’Università di Bologna, nato per promuovere, anche attraverso accordi con le istituzioni locali, il riutilizzo, nel circuito della solidarietà, dei prodotti alimentari che rischiano di andare sprecati. Un accordo per la raccolta delle eccedenze alimentari delle GDO è stato siglato il 30 dicembre da LMM con la Provincia di Viterbo e prevede la redistribuzione del cibo a enti caritativi mentre un progetto analogo è in piedi dal 2006 nella Provincia di Varese. In Toscana, ha più di un anno la legge antispreco che prevede “interventi a favore della redistribuzione delle eccedenze alimentari per combattere povertà e disagio sociale”.

Fonte: repubblica.it

Foto: Corriere della Sera, perfettaletizia.blogspot.com, paoblog.wordpress.com, blog.tui.it