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Divinopaolini. Vernaccia di San Gimignano nel ricordo di Gianni Panizzi

lunedì, 14 Febbraio 2011 di

Anzitutto è intrigante che ci sia un posto al mondo che geograficamente è Francia, nelle radici profonde Catalogna, nelle mappe enologiche Roussillon, e che si chiami Calce. Pronuncia “Cals”, ma suolo come da nome: calcareo. Non tutto però, perché un pezzo (verso i Pirenei) è scistoso, e c’è poi una fettina di marne verticali, argille compattate a strati duri, tra cui i piedi della vigna infilano destre e astute le radici. Poi, è divertente che ci sia una denominazione italiana prestigiosa, Docg della prim’ora, ma non di quelle che i russi (o chi per essi) si disputano a colpi di American Express nera, che da anni si è data la linea di confrontarsi, il giorno della sua festa, con altre aree vitivinicole del mondo con cui sente qualche affinità, senza timori reverenziali, facendo sfilare (è stato ricordato oggi) tra gli altri nomi e vini tipo Ravenau o Chave, per dirne solo due.

Il non frequente miracolo di apertura mentale si chiama Vernaccia di San Gimignano. E uno dei suoi motori, di certo, quel produttore e capo consorzio illuminato, serio e onesto che è stato (a lui onore nel ricordo) Gianni Panizzi. Anche nella peculiarità di aprire “in bianco”, e bene davvero, da alcuni d’anni, la settimana di “profondo rosso” delle anteprime dei toscani tosti, Chianti Nobile Brunello in sequenza.

Così, ecco qua Calce e i suoi curiosi capolavori a fare da dialettica sponda a santa Vernaccia. E bravi Antonio Boco e Paolo De Cristofaro, i piloti scelti quest’anno dal Consorzio, ad arrivare fin laggiù, via Girona, sbarcando tra vigne basse e centenarie, alberello goblé, 400 ha in tutto e rese ridicole (spesso 10 hl/ettaro) ma tese a tutt’altro che a muscolarizzare i vini. Qui “minerale” è la parola, freschezza l’ambizione, longevità la conseguenza: e ph 3 dopo malolattica (!!!) il miracolo dell’incrocio tra terroir e mano degli uomini.

Uomini spessissimo, altro paradosso, immigrati. Per amor di terra e vini. Come Thomas Theibert, tedesco di nascita, atesino per lunga militanza alla guida enologica di Manincor. O Tom Lubbe, sudafricano, ora patron di Domaine Matassa. O (da più vicino, ma sempre altri eno-universi) Olivier Pithon, azienda omonima, che nasce in Loira Non tutti come i Gauby, vini incredibili, il 2008 è ultra, e terza, praticamente biodinamica generazione in vigna e cantina (peccato solo che i quasi 70 euro che prezzano le loro faticate, rare, superbe ma decisamente costose bottiglie le rendano prodotto tutt’altro che popolare).

Ecco allora come comincia l’Anteprima Vernaccia: con questa degustazione di sei Calce di qua e sei Vernaccia di là in cerca (è il titolo) della “Inattesa liason” tra i due mondi.

Riscontro: da Calce, dove la vigna si alleva in sorta di mini canyon per pararla un po’ dalla tramontana (si chiama così anche lì), quattro vini su sei strameritano il secchio di Scatti, oltre a punteggi siderali per il già citato Domaine Gouby Coume Gineste 2008, viti allevate a tisane e fermenti lattici e vini trattati zero, e il Matassa Blanc 2007, figlio di scisti e dalla mineralità super, seguiti a ruota dal Gouby 2002 e il Pithon 2008, più il puntutissimo, ma verrà bene, Domaine de l’Horizon 2008, con fuori registro solo un Pithon 2005 dallo sguardo già un po’ velato.

Quanto a San Gimignano: beh, media dei proposti in defilé ben alta. Chiusa tra le due parentesi di un 2009 (Le Calcinaie, anche qui un nome che parla del suolo e della liason con l’ospite Calce) e un 2001 (Panizzi, ancora una volta leit motiv di questo appuntamento, presentato in vecchi millesimi anno dopo anno, quasi prova kantiana dell’esistenza della Vernaccia da traversata del tempo, con solo un po’ di vento d’alcol a denunciare la calorosa centroitalianità della faccenda). Squadra convincente, con La Lastra Riserva 2008 (una certezza, quest’azienda), l’Impronta 2008 Barzaghi e La Castellaccia 2006 a giocare di punta, e il Sanice 2007 di Cesani a incarnare il lato più caldo, opulento, gliceroso della denominazione.

Poi, largo all’Anteprima vera. Coi 2010 in incubatore, tanti 2009 selezione e Riserva a loro volta in fieri, alcuni 2008 già affacciati nel presente, e qualche “memento” fuoriserie (2005, 2004 e 2002) a rivendicare le patenti di longevità che questo vino pretende nelle sue espressioni più equilibrate.

In totale 65 etichette per 34 produttori, più le bocce “old” proposte direttamente allo scrannetto dai singoli produttori.

Ora per favore non aspettatevi i numeretti da 1 a 65, tipo. Per questa come per le Anteprime in rosso in arrivo (ne riparliamo in consuntivo lunedì venturo) ci esimiamo dal notarile resoconto, e ci arroghiamo il diritto al podio allargato, più un par d’outsider, o giù di lì. Una selezione come è scaturita dal bicchiere.

Ecco, allora:

i vini di Mattia Barzaghi, “debitore” dichiarato di Panizzi, da cui ha lavorato, ma che fa ora in proprio un work davvero in progress, il 2010 lattante Zeta e il promettentissimo Riserva Cassandra 2009 a formare un filotto a crescere con il 2008 presentato nella squadra anti-Calce.

La conferma piena della Lastra, nasi poco espressivi, arcigni addirittura, ma bocche toste e insieme ampie, doppia dimensione e flat minerale giusto, vita bella e lunga.

La solida prova di squadra della Castellaccia, con una Astrea 2010 e un Riserva 2008 convincenti, pur se con ben diversi accenti d’annata e ulteriore avvicinamento caratteriale al coté “naturale” del far vino.

L’interessante allungo teso e “verde” del Palagione, giustamente indietrissimo con la sua Hydra 2010, ma da attendere con fiducia.

L’approccio sincero e sapido della Riserva 2008 di Casa alle Vacche.

Infine, proposto dal sottoscritto come intrigante outsider di giornata, non perché sia davvero un inedito, ma per l’ulteriore slancio al suo palmarès innescato dalla evoluzione felice del suo Poggiarelli 2004, casa Signano, della quale marciano di buona conserva tutte le annate in rampa. Dal 2010 al 2008. Ps il Poggiarelli, per inciso, costa franco cantina 6 euretti 6… Buttalo…

E da San Gimignano, per ora, linea allo studio….