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È ora che sappiate una volta per tutte che Pier Giorgio Parini è un genio

lunedì, 04 Aprile 2011 di

svinando

Raccontare l’Osteria del Povero Diavolo, per me, significa raccontare una storia fatta di contrasti e di antinomie, dove l’ossimoro apparente si oggettiva in una esperienza assolutamente fuori dal comune ma allo stesso tempo tranquillizzante come solo la tradizione o un talento straordinario sono in grado di garantire.

Il chiassoso mare romagnolo di Rimini e Cesenatico da un lato e la composta ed austera rocca di San Marino dall’altro, il giovane talentuoso Pier Giorgio Parini introverso e schivo in cucina ed il saggio Fausto Fratti schietto ed accogliente in sala, il rustico lungo tavolo di legno vicino al camino che ricorda l’Italia contadina che fu e la compostezza moderna della veranda adibita ad eterea sala da pranzo, la cucina fulminante ed innovativa ma tranquillizzante e confortevole, l’inverno che termina e la primavera che si schiude.

Del passaggio tra stagioni e della modernità ci ha voluto parlare la cucina assaggiata, spiazzante nella sua estetica contemporanea e coinvolgente nella verticalità di sapori presenti in ogni -ogni- preparazione.

Bignè di cavolfiore e pomodoro confit. Primo amuse-bouche, tondo ed avvolgente in bocca, corroborato dal pomodoro quasi agrodolce.

Polpettina di cavolo viola, burro all’acciuga e cumino. Secondo amuse-bouche, antitetico al primo: aggressivo e contrastante, ruvido nel cavolo e nel cumino, gratificante nell’acciuga.

Patate, ginger e cime di rapa. Tre ingredienti, non uno di più, in una spirale di consistenze e sapori, che si scompongono per poi ricomporsi sulle spiccate note vegetali.

Muggine, cetriolo, acqua di mare. Il poco considerato muggine si trasforma in principe azzurro dalle fattezze di una tartare, vestito a festa da una rinfrescante centrifuga di cetriolo ed ingioiellato dalla moderna polvere di granita ottenuta dall’acqua dei mitili, il risultato ė regale.

Tortelli di cozze, lattuga. Lasciarsi sconvolgere e guidare da un piatto è possibile: la pasta all’uovo finissima ė il vettore di due meravigliose sorprese, nelle sue pieghe si nasconde un extravergine crudo e gagliardo, al suo interno lo iodio delle cozze urla di mare; la salsa di lattuga alla base competa il percorso verticale grazie alle sue note fresche e vegetali.

Cioccolato al latte. Fine del percorso marinaro, reset! Il latte, nel quale ė stato lasciato in infusione il baccalà, diventa il mare dove i natanti sono sottili sfoglie di cioccolato fondente che trasportano carichi dal mediterraneo ed oltre: sale, limone, cardamomo e peperoncino per un piatto fuori dall’ordinario.

Riso in bianco. Un piatto del quale ė già stato detto tutto ma la cui comprensione ė possibile solo dopo averlo degustato in tutte le sue evoluzioni sensoriali.

Pennoni rigati mare e monti. Croccanti pennoni rigati di semola di grano duro come contenitori di un gustoso coniglio tenero e fondente, il cui morso è reso maggiormente avventuroso dalla peculiare consistenza delle lumache ed il cui sapore diventa anticonvenzionale grazie alla presenza della polvere di mare; golosità assicurata.

Cappellini del povero diavolo. Un must del Povero Diavolo, può bastare a rendere l’idea?

Cipollotto, malto e lamponi. Uno shock estetico non per il rosa shocking del lampone ma per la splendida composizione che si ritrova nel piatto; un quadro edibile: cipollotto glassato con il malto, croccante, vegetale, dove il sapore di nocciola conferito dal burro si sposa con la salsa di lampone agra e delicata e si profuma di petali di rosa freschi ed essiccati, la girandola di sapori, odori e consistenze sembra non fermarsi mai…

Carpaccio al sangue. Una preparazione di carne dove peró il protagonista non è il manzo, per altro tenerissimo, ma la vegetazione: la salsa di lampone, karkadè e rapa rossa nappa le sottili fettine di carpaccio ornate da un caleidoscopio di erbe spontanee, spezie e semini che rendono diverso ogni boccone, il tutto reso accattivante da una sfoglia di meringa incredibilmente friabile per un piatto-giocattolo.

Carciofo e bagnacauda. La semplicità tutta giocata su un carciofo multifunzionale: passato sulla brace diventa contenitore della sua versione cremosa; la salsa di bagnacauda e quella di clorofilla completano la gamma di sapori.

Copertina di vitello, sedano rapa e violette. L’opulenza della carne nonostante la scelta di un taglio secondario, dimostra che in cucina credono alle favole; il piatto parla di cucina classica, grandissima brasatura della copertina di vitello cedevole e succulenta, delicato purè di sedano rapa e colpo finale assestato dalle profumatissime violette di giardino: il brutto anatroccolo è diventato cigno.

Capriolo, polenta bianca, mandorle amare e gelsomino. Quando si parla di cacciagione, almeno per me, la salivazione sale alle stelle, tuttavia quando il piatto emana un netto profumo di gelsomino i sensi rimangono disorientati ed il tuffo nel piatto sembra quasi un tuffo nel vuoto: il capriolo, tonico nella cottura sottovuoto, rilascia il suo sapore spiccato solo dopo aver dato spazio al gelsomino per poi prolungarsi nelle mandorle amare e quindi spegnersi nella polenta bianca.

Uovo, pastinaca e alchermes. Fausto Fratti ci spiega che il passaggio dalla carne al dolce deve essere mitigato da una portata-cuscinetto, arriva in tavola questa scultura contemporanea in cui sapori e consistenze si compenetrano e risultano funzionali tra loro: l’uovo in camicia crea la salsa che lega gli altri ingredienti, la pastinaca pulisce la bocca, l’alchermes conferisce dolcezza e la rosa chiude la quadratura del cerchio.

Dolce di rapa. Dolce di rapa (nella foto in alto) pensato da una testa che di rapa non ė; il dolce moderno che raccoglie i suoi ingredienti nel campo e li assembla con armonia e golosità: solo rapa in 6 consistenze diverse in cui il leit-motive va cercato nel crumble alla liquirizia.

Creme brûlée di cicoria, gelato al topinambur. Mia nonna mi raccontava che durante la guerra il caffè era preparato con la cicoria, oggi ne capisco il perché: la creme brûlé, lasciata molto cremosa, condivide con il caffè l’inconfondibile nota tostata che gioca a rimpiattino con il gelato quasi acido adagiato sulla polvere di latte, il risultato è per golosi veri.

Dopo la piccola pasticceria, anche lei spiazzante, si esce dal locale con lo stesso piglio di quando si lascia un luogo caro e famigliare, sicuri di aver trovato un luogo dell’anima ed un grande talento, la voglia è quella di dire candidamente:”Grazie di tutto, ci vediamo a Primavera”.

Povero Diavolo. Ristorante e Locanda. Via Roma 30 – Torriana (Rimini). Telefono +39 0541.675060

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