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Calabria 2 | Ma lo sapevi che sullo Jonio fanno il traminer?

venerdì, 19 Agosto 2011 di

svinando

Il nostro divertente viaggio in Calabria, dopo l’itinerario in provincia di Cosenza, comporta la presentazione dei protagonisti.
Di me già più o meno sapete.

La mia sous-chef nella sfida a suon di vongole, in arte eccellente, curiosa, entusiasta sommelier Lucia Galima.
Don Peppe Gallo da San Giovanni in Fiore agrotecnico e conoscitore delle realtà agricole di tutta la Calabria, eccellente navigatore e traduttore delle lingue locali.

Il nostro itinerario è work in progress (non potrebbe che essere così in Calabria). Naturalmente prediligiamo le aziende vinicole che negli ultimi anni sono sorte a centinaia  nel senso che solo negli ultimi anni si imbottiglia, prima si vendeva l’uva o il vino sfuso ora si produce, a volte con una ingenuità imbarazzante, cose più serie.

1° giorno. La nostra prima visita avviene in un assolato pomeriggio della serie 40 gradi ma secchi e ventilati, direzione San Marco Argentano per incontrare Antonello Canonico dell’azienda vinicola Acino Vini. Avevamo parlato in precedenza dei vitigni sul Pollino, Tocco magliocco e Mantonicoz (quest’ultimo un vigneto resuscitato di mantonico pinto tanto caro a Veronelli).

Anche nella zona di San Marco, Antonello e soci praticano un coraggiosa viticultura con terrazzamenti da capogiro.

La nostra visita comincia dal paese che Antonello ci fa visitare con grande passione. Sin lì fuggirono i Sibariti ribattezzandola Mandonica, prima di scappare nel Cilento e fondare Paestum. Visitiamo la Chiesa di San Antonio, la Torre Normanna, prendiamo una gazzosa al caffè.

Salutiamo il barbiere e altri anziani seduti all’ombra che ci guardano curiosi perchè questa è la “controra” e noi siamo particolarmente scoordinati nella nostra curiosità di vedere, sentire, fare. E poi siamo venuti sin qui per vedere con i nostri occhi la protagonista della nuova avventura di Antonello e soci: calabrese e magliocco.

Una piccola vigna a 300 metri sul livello del mare 25 km dal Tirreno e 35 dallo Ionio. Vicino alla vigna una bellissima casa di pietre e fango (bio architettura contadina) e querce fiabesche. Dopo tanto sole, si va al fresco della Cantina per fare una verticale di Mantonicoz partendo dalla cisterna (2010) meravigliosamente minerale e indietreggiando con un 2009 e 2008 che raggiunge una grande complessità, un grande bianco da invecchiamento ne siamo sempre più certi.

Chora invece è il nuovo bianco (mantonico, guarnaccia bianca, pecorello e greco bianco) fresco e pronto da bere, con un’etichetta bellissima: una foto scattata dal deltaplano ad opera di un’altro “calabresetuttomatto” che si chiama Giulio Archinà.

La sera soddisfatte di questa giornata ci rifocilliamo alla nostra tavola prediletta (leggi la Locanda di Alia) con lonzino di maiale di nero calabrese e insalatina, patate mblacchiate, costolette di agnello un po grasse con erbe, filetto di maiale nero con broccoli (qui sono ancora di stagione), gelato di cioccolato bianco e peperoncino, tutto ben abbinato (abbiamo optato per un’entrata francese con bollicine per poi abbandonarci nelle braccia del selvaggio bacco calabrese) il tutto orchestrato proprio come nell’immagine disegnata all’ingresso della locanda dal maestro Luigi le Voci.

2° giorno. Il nostro itinerario prevede la valle del Crati e l’azienda Terre Nobili di Lidia Matera. Il caldo c’è, lo giuro!

Noi temerarie non ci facciamo coinvolgere da allegre brigate (con tanto di melanzane ripiene, pitte schicculiate e frutta fresca), pronte a scendere in spiaggia (no, no noi no!) e neanche da quelle altre armate di tenda, scarpe da trekking (ruti di pasta al forno, salsicce) alla volta della montagna (noo, ci abbiamo da fare!!!) decliniamo inviti in campagna al fresco degli ulivi nelle piscine di acqua che scende dal monte… (giammai!).

Proseguiamo imperterrite verso la nostra meta per arrivare intorno a mezzogiorno di fuoco. Il sorriso di Lidia ci conforta immediatamente da quanto lasciato e mentre visitiamo l’azienda fatta di boschi, vitigni, ulivi, il profumo di finocchi e erbe, il canto di quaglie selvatiche, cicale e uccelli vari ci racconta la sua storia. Ritornata in Calabria alla morte di suo padre prende in mano l’azienda e realizza il sogno del babbo: imbottigliare.

“E stata dura”, ci racconta, “ho dovuto conquistare operai, contadini, muratori, tutti; ogni cosa non si poteva fare ed io la facevo da sola fin quando non hanno capito che se mi metto in testa una cosa la realizzo. Così, oggi tutto cooperano e mi rispettano proprio come se fossi un uomo. D’altronde porto i pantaloni, sono single e devo badare all’azienda, questa è il mio sogno, questa è la mia terra e questo è il mio re”, ci dice mostrando orgogliosa il suo Alarico.

Apro parentesi….

Alarico re dei Goti dopo aver saccheggiato Roma nel 410 a.c. si diresse con il suo esercito in Calabria per raggiungere l’Africa ma si ammalò e morì nei pressi di Cosenza. Fu seppelito, così come si confà ad un re, con tutto il malloppo vicino alla confluenza del fiume Busento e del Crati. Naturalmente i Goti uccisero tutti i prigionieri che parteciparono alla sepoltura affinché non divulgassero il segreto. Persino Hitler invio Himmler per trovare il sepolcro del primo ariano che aveva sconfitto i romani ma le ricerche furono vane.

Lidia non ha proprio il tempo di mettersi a cercare il tesoro pertanto ha fatto un omaggio al re dedicandogli il suo Nerello Valle del Crati Igt rosso. A noi è particolarmente piaciuto anche il rosato e il Greco Santa Chiara. Cristallino al naso ginestra intensa, finocchietto e pesca gialla; morbido, fresco e leggermente sapido assolutamente insospettabili i suoi 14 gradi.

Chi volesse venire in azienda ha la possibilità di soggiornare nell’agriturismo villa Santa Caterina e testare la cucina territoriale: carni, insaccati e formaggi come i primi tutti a base di pasta fatta in casa. Noi abbiamo mangiato un piatto di foglie d’ulivo (tipica) con pancetta e zucchine dell’orto a cui eventualmente aggiungere gocce di fuoco liquido (una salsina di peperoncino e olio da brivido, naturalmente l’ho provata) e ferrazzuoli con melanzane e ricotta salata.

Dopo pranzo, sempre nella controra per intenderci, ci dirigiamo alla volta della zona doc Savuto dove ci aspetta Mauro Colacino, proprietario insieme alla sorella Teresa dell’Azienda Colacino: “Mio padre era medico si occupava di vita e di vite”, dice, “Allora producevamo 2000 bottiglie ora siamo arrivati a 100.000 con 5 tipologie: 3 rossi e un rosato e un bianco”.

La cantina con vista mozzafiato, tecnologica e moderna organizza tutte le sere di agosto delle gran grigliate di carne dove poter abbinare i vini dell’azienda. Noi vi consigliamo Amanzio ovvero Magliocco Canino in purezza color rubino carico. Al naso macchia mediterranea ed erbe aromatiche. Piacevole in bocca con freschezza accompagna un retro nasale di frutta e spezie. Niente legno e soli 12,5 gradi. Provatelo sul pesce alla griglia.

Ci congediamo non prima di aver fotografato Mauro con la Numero Uno, ovvero la prima bottiglia prodotta da suo padre: era il 1971 sull’etichetta “l’appelation” recita “Savuto, vino superiore da mensa”.

3° giorno. Oggi si va al mare perché giuro che c’è da una parte e dall’altra mentre aspetto l’orario della partenza faccio il solito giro di ricognizione alla chiazza, la mia passeggiata mattutina. Questa mattina c’è un bel fermento, turistemigranti, famiglie al completo, c’è un gran da fare. Io mi limito a comprare due nocciole, ficapalett’ (tanto per inveire un po’ contro le spine) e melanzane rosse di Rotonda (la mia passione).

Si parte! Direzione nord jonico verso l’azienda Agricola Solano di Montegiordano: abbiamo saputo che hanno da poco vinificato il traminer!!!

So già quale sarà la mia prima domanda: Perché?

La Tenuta del Castello si trova in alto a 250 metri di altezza e vista mare, ventilata come tutte le aziende che abbiamo visitato in questi giorni gode sempre di questo escursus termico caldo di giorno fino a 40°, fresco di notte (ma fresco della serie si dorme con copertina) pertanto le uve sono incredibilmente sane tanto che l’enologo Mario Ercolino, arrivato un minuto dopo di noi, raccoglie subito un grappoletto di aglianico e lo porge a sua figlia Ginevra di pochi anni.

La curiosità uccise il gatto ma non noi, quasi in coro io e Lucia chiediamo “ma come cavolo vi è venuto in mente di mettere del traminer nella terra del Greco?” Ci risponde Giovanbattista Solano titolare dell’azienda: “lavoravo prima con un enologo altoatesino che innamorato della Calabria si è trasferito qui, si è sposato con una calabrese ed un giorno mi ha detto che ne dici se mettiamo un ettaro di traminer? Io ho detto sì. E’ stato un gioco, un caso, nulla di premeditato”.

Questa vicenda naturalmente nelle alte sfere della critica fa inorridire ma invece devo dire che il vino è magnifico al naso floreale e fruttato tipico del traminer e una mineralità sorprendente che si ritrova in bocca insieme a freschezza e sapidità. Ancora una volta riconosciamo che questa è terra d’uva e forse è proprio arrivato il momento che venga riconosciuta che è anche terra di vino.

La nostra visita continua. ordunque assaggiamo! Il succo di traminer jonico non ancora in fermentazione, tenuto a 15° da una decina di giorni ha il sapore di the freddo alla pesca. Ci è particolarmente piaciuto il Soprano dello Jonio di Greco bianco in purezza dal colore giallo paglierino con riflessi verde oro, al naso una nota di pesca gialla e agrumi sostenuta da una bella sensazione salmastra dovuta alla meravigliosa esposizione. Giovanbattista ci mostra orgoglioso la sua tenuta sul mare, la vista è incredibile, una luce cristallina con profumo di rosmarino, pino marittimo, ginestre, mirto, origano, capperi e tantissima salsedine.

Ci dirigiamo sulla costa e approfittiamo per un bagnetto jonico all’ombra di un pino marittimo.

2. Continua

(Big Picture: le foto possono essere ingrandite cliccando sull’immagine)