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La carica dei 150 Champagne a Milano + il Paillard 1996

giovedì, 06 Ottobre 2011 di

svinando

Colazione da Tiffany? Fatela voi. E portateci chi volete. Io preferisco Trussardi Caffè, accanto alla Scala. Specie quando alle undici in punto, invece del cappuccino, servono l’ultimo dei grandi Champagne di riserva targati 1996: l’annata esagerata; il millesimo monstre; l’indecifrabile che qualcuno (poveraccio lui…) dice ancora di non aver capito a fondo.

Si chiama N.P.U, che sta per Nec Plus Ultra, ed è di “chez Paillard”, l’ultimo dei ’96 deluxe ad approdare sul mercato. Seconda edizione assoluta, dopo il ’90, per un’etichetta che vuole uscire solo quando il millesimo è memorabile.

La ricetta è rimasta la stessa. Metà blanc e metà noir, Chardonnay e Pinot in parti uguali, nove mesi in legno (fermentazione ovviamente inclusa), 6.523 bottiglie (2.000 per l’Italia, che alla maison Pailllard, grazie anche alle nozze smart, allegre ed efficaci con un distributore competente ma senza spocchia come Cuzziol, vuole parecchio bene), 12 annetti sui lieviti, altri due e rotti in cantina. Ed eccola qua, la boccia, tra le mani di una Alice Paillard (la figlia di Bruno che, udite udite, tra qualche mese sarà nonno, visto che Alice, peraltro in straforma e deliziosa più che mai, aspetta) comprensibilmente sorridente. Vabbè, direte voi, ma esaurita la cronaca mondana, ‘sto N.P.U. com’è? Calma ragazzi: prima le notizie. Poi, separate, come a suo tempo quando per fare il giornalista ci si faceva ancora il mazzo, e non l’agendina delle escort, mi hanno insegnato. E l‘ultima notizia da dare, essenziale anche per la collocazione del nostro esaminando, è che costerà in scaffale circa 250 euro.

Ciò detto:
vi faccio grazia dell’“abito” dorato che, date causa e premesse e attuali conclusioni, cioè legno, tempo etc. certo vi aspettate. E passo al naso: complessità totale è la sensazione. Con un’apertura di giochi moderna e “antica” a un tempo. Evoluzione, ma senza eccedenze “anglofile”, o scimmiottature di stili krugherecci; ma subito bilanciata da una marea di spezia, frutta esotica, perfino tenui note verdi tipo erica. Onde evitare la sbrodolatura delle evocazioni e il rischio dell’elenco da cronista medievale, evito. E ribadisco: complessità.
Al gusto invece, dialettica. La nota matura, ampia, cremosa dell’approccio si àncora come su uno scoglio di granito alla “rocciosità” che è al nucleo del bicchiere. La spinta di carbonica è misurata, quasi una veletta da cappello (avete presente?) per un vino che ha la faccia di vino, e la consistenza tattile (ma minerale, grintosa, non morbidona) della sua annata. E che non somiglia a nessun altro (ed è un bel complimento) dei “points de reference” della tipologia. Voto, quindi, molto alto. Il massimo degli scatti. E, se mi fate un prestito, anche il secchio.

E a questo punto, esauriti i ’96 possibili almeno per questo giro, provvedo a inserire a tutto gas il Paillardone nei miei magnifici sette, insieme ai due Dom (l’originale e l’Oenoteque), il Jacquesson Mesnil, il Salon, il Winston di Pol Roger e (sorpresi, vero?) il civettuolo ma delizioso Pierre Moncuit. E ne riparliamo. Ma un’altra volta. Perché adesso ci sono, a peso lordo, un 150 Champagne ancora da sentire.

A due fermate di metrò da Trussardi-N.P.U. infatti, la Milanodabbere 2011 offre nella stessa giornata nientemeno che lo Champagne Day del Comité Champagne. La vetrina annuale (un po’ smussata per la verità dall’autocensura, diciamo così, del Comité medesimo, che a ogni azienda presente ha chiesto di limitarsi a presentare tre vini: un base, o circa là; un millesimato; e, ad avercelo, un rosé, eliminando molte cuvée prestige: che, maliziosi, immaginiamo stiano invece degustando fior di intenditori russi nella dacia di Putin & Tovarish, e/o provvidi assaggiatori cinesi nella Città Proibita, in quei palazzi regali dove, s’è scoperto di recente, pare risiedano abusivamente – vi ricorda qualcosa? qualcuno? il Colosseo? qualche villa in Brianza? ma no, dai… – alcuni notabili e neoricchi del Pcc).

Ma bando alle ciance. Ed ecco le cose assaggiate, in una sala fitta di facce note, tra critici, ristoratori e sommelier di posti celebri. Tra loro anche Andrea Gori, il “testimone” italiano dello Champagne recentemente vincitore dell’apposita competizione, e che sta ora scaldando i motori per quella europea, prevista tra pochi giorni. Personalmente, tra i molti presenti mi sono divertito a sondare Enzo Vizzari, borgognotto per vocazione, oltre che champagnotto, e capo dei capi (mio capo per i ristoranti) delle Guide dell’Espresso; e poi a far giocare alla top ten Luca Boccoli, l’uomo-vino (e anche birra) del Settembrini di Roma. Per il Viz, che però – ha tenuto a sottolineare – ha assaggiato poco, il colpo di cuore è stato il Millesimé 2002 di Jacquesson, ultimo della sua stirpe, visto che d’ora in poi la petite maison privata del duo Chiquet editerà in alta gamma solo Champagne parcellari, ogni particella di Grand Cru, cioè, vinificata e imbottigliata a sé… Un lavoro di “celebrazione” del territorio da cui sono attesi esiti importanti. Nel frattempo, il 2002 entra di slancio anche nella hit di Boccoli (commento: ) e tra i 4 scatti del mio taccuino (annotazione: finissimo, giovanissimo, in perfetto stile maison), oltre che nel palmarés di Vizzari. Il quale però ha tenuto anche a sottolineare che il N.P.U. di Paillard (lui era anche lì, ovviamente) è. Amen.

Tornando sulla terra, e ai miei appunti, lo chapeau aziendale, quello che si conquista con il livello alto e coeso dell’intera batteria presentata, oltre che ai già nominati Jacquesson (ottimo anche il Cuvée 735, 3 scatti per me, selezione Boccoli con la definizione ) e Paillard (il B de B ’99 è un altro calice da non perdere, ottimo davvero, 3 scatti strapieni e anche lui top ten Boccoli), va nell’ordine a:

Agrapart, tre bottiglie ottime: il “7 crus” fine, di buona acidità, finale delizioso di arancia bionda, prezzo adeguato (35-38), 3 scatti, secchio e meritata selezione Boccoli; lo stupendo Blanc de Blancs Grand Cru Minéral 2005, extrabrut calcareo, serio, minerale e insieme suadente, 3 1\2 scatti (70 euro); e un po’ sotto il mentoso e vagamente susinoso Rosé Les Demoiselles (2 scatti e 35 euro circa).

Henriot: un godibilissimo Blanc Souverain, vicinissimo ai 3 scatti e pieno secchio, fresco e impetuoso insieme; il lievitoso, quasi “panoso” millesimato 2002 (60 euro, 3 scatti) e, per rapporto al lignaggio un filo meno entusiasmante, il pur complesso top di gamma Cuvée des Enchanteleurs 1998 (100 euro circa), dialettico ma non risolto, morbido un filo in più dell’attesa, e insieme non del tutto “fatto”. Gioventù di sboccatura, dice chi lo distribuisce (Rinaldi di Bologna), e noi gli crediamo. Rinviando il giudizio definitivo.

Pol Roger: pur frenato dall’assenza di uno dei miei favoriti in assoluto e di sempre, il Winston Churchill, fa centro con sicurezza con l’Extra Cuvèe de Reserve (33,3% ciascuna le tre uve fondamentali), denso, nervoso e cremoso allo stesso tempo, 2 e ½ scatti (40 euro); il Vintage 2000 dal naso ampio e un po’ ancienne régime, maturo, ma armonioso comunque, e abbastanza agrumato in bocca da approfondirsi in una lunghezza da 3 scatti pieni; e infine uno dei migliori Rosé del lotto (selezione Boccoli, non a caso, con la motivazione <ramato ed estremamente accattivante, fruttato di mandarino, un rosa per tutti>) che a sorpresa si presenta come il più fresco e “mentoso” dei fratellini PR, e con nuance floreali vive e fini (3 ½ scatti, secchio).
Colpo singolo (uno solo Champagne presentato, ma estremamente convincente, e astutamente in magnum) e a bersaglio per casa.

Roederer. Mentre i cosacchi trincano Cristal, anziché abbeverarsi come una volta, cavalli inclusi, nelle fontane, a noi italiani a Milano tocca il Brut Premier. Ma ‘bbono, però, edizione felice (55% Pinot Noir, 40% Chardonnay, il resto Meunier) sbocciata in un vino elegante e completo, davvero Champagne e davvero per tutti (salvo il prezzo, al solito 5-8 euro sopra i competitor). 3 scatti, secchio, Boccoli parade.

Citazione d’onore anche per la maison dei coniugi Coulon, con una Reserve de l’Hommée Premier Cru che nasce accanto ai vigneti di Egly Ouriet (tanto per dare una localizzazione e una dimensione), fa cinque annetti sui lieviti e straccia senza fatica molti pari peso (2 ½ scatti, quasi 3, e grande beva) e un animoso millesimo 2003 Premier Cru (loro tra i pochi ad averlo presentato) che ti aspetti caldo, e magari un po’seduto, e scopri invece con gusto fruttato, ampio, ma fresco il giusto (3 scatti).
E omaggio doveroso, infine, al perfetto rapporto con il prezzo (sempre mite, 30-32) del Pierre Gimonnet, Champagne “d’entrata” ma perfetto nel suo genere, 2 scatti abbondantissimi e secchio.

Prima di passare alle sorprese e alle trouvailles, le scoperte, doverosa segnalazione (ma di segno opposto) per i team celebri e, attesi, ma apparsi un po’ sottotono:

Bollinger, ad esempio, con Special Cuvée e persino Grande Année 2002 accomunati da un velo morbido un filo appesantito. Meglio ovviamente il fratello più illustre. Ma stavolta manca il colpo vero. Tanto che il Rosé, pur un po’ aggressivo all’impatto, finisce quasi col fare la figura più brillante (2 ½ scatti).

Paul Bara: i big del Pinot Noir paiono convertiti a una globalizzazione del gusto abbastanza evidente. In modo particolare, lo è nel millesimato Grand Cru: chi ne ricorda gli anni Novanta, faticherà ad assolvere del tutto la straripante morbidezza del 2002, pur sostenuto da un finale sapido che ne riscatta in parte la monotonia. In linea la lieve caramella, pur preceduta da un naso classico, vinoso, che marca la beva del Reserve Grand Cru. E così, anche qui il top scorer è il Rosé, molto vino, molto particolare (10% di Bouzy rouge oltre al 70% di Pinot Noir e il 20% di Chardonnay), un po’ scalpitante, un filo ruvido, ma di sapore, spessore e acidità in buon equilibrio ritmico (2 ½ scatti). Deutz: e tre! Anche qui il mercato delle spezie e degli speziati, i nuovi ricchi di India e Cina, sembrano marcare le scelte. Morbidissimi, rispetto a modelli più classici, tanto il Brut (che pure si chiama Classic) che il millesimato 2006. Mah…

Last, ma fondamentali, le sorprese e sorpresine: il trio “no malolattica” (una delle dieci-dodici aziende che segue questa procedura) di Maurice Vesselle, il cui Millesimato 2004 va assaggiato; il millesimato De Venoge, un 2000 (selezione Boccoli) agrumato, teso senza essere citrino, e dal prezzo praticabile (55 circa), un quasi 3 scatti secchiabile; il Rosé Grand Cru targato Ambonnay di Soutiran, maison privée (importatore Santonocito), vinone vero, forte, netto, e non privo di un suo fascino speciale (non a buon mercato però, aspettatevelo oltre i 50) che vale 2 scatti e 1/2; e infine la leggera e leggiadra squadra Monmarthe (selezione astuta di Cuzziol) il cui Secret de Famille, teso e fine, dalle note agrumate di pompelmo, e dal finale minerale (2 ½ scatti, secchio) sarà, Boccoli dixit, lo Champagne della casa prossimo venturo al Settembrini.

Linea di demarcazione, a spaccare, e non può essere altrimenti, la squadra biodinamica (e là chissene…) ma soprattutto sui generis di Françoise Bedel. Accettata l’immensa dolcezza (ma qui non artefatta, non caramellosa, non fastidiosa) del Robert Winer 1996 e del Dis, Vin Secret (quello che a me personalmente piace meno), c’è sempre da farsi sorprendere dal tono oppostamente erbaceo del Pinot Noir 100% Entre Ciel et Terre. Champagne limite anche lui, ma dell’altro confine.

Ps qualcuno avrà notato nel pur lungo elenco due assenze vistose: Perrier Jouet e il raro Salon. Ve ne racconterò, di entrambe le specie, a parte: degustazione di Salon, insieme ai “cuginetti” Delamotte, abbinata a piatti di Heinz Beck, a breve; Perrier Belle Epoque night tra un paio di settimane, o poco più. Au revoir, les amis. A bientôt…