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Krug. A casa di Cannavacciuolo un performante Clos du Mesnil 2000

4 Krug in degustazione a Villa Crespi: Grande Cuvée, Clos du Mesnil 2000, Krug 2000 e 1998. Ecco le valutazioni con gli Scatti assegnati
giovedì, 15 Marzo 2012 di

“Anche gli angeli mangiano fagioli” recitava il titolo di un film, ricordate? Ma quando poi si accorgono che la dieta iperproteica, benché vegetale, tende ad appesantire ali e volo, i più intelligenti tra loro (diciamo, gli arcangeli?) integrano e correggono la vecchia dieta, e ci danno giù con gli omega 3. Metafora ardita per un “arcangelo” dell’ampiezza alare e dell’economia di volo di casa Krug? Certo è che – rimuginavo di ritorno dal “vetrina day” delle annate in lancio, e/o sul mercato, dalla Cuvée all’Ambonnay ’98 – un certo cambio di “dieta” c’è, e si sente. La Grande Cuvée meno “anglaise” degli ultimi anni; la tensione verticale (complice l’annata, ok, ma anche una “perception” per nulla celata) del Mesnil 2000; la forma più “carré” che sferica del Krug 2000 (evidenziata dal confronto con il cremoso, caldo ’98, certo, e anche qui fatto di millesimo, ma…).

Comunque sia: teatro felice e solare di una giornata gestita alla grande, Villa Crespi, Orta San Giulio, riaperta da ferie per l’occasione (e premiata con un istantaneo scroscio di prenotazioni: conclusione dei “resident”, Krug “porta ‘bbuono”). In cucina un Cannavacciuolo ispirato e in gran forma, coi critici convitati (che in questi casi di lunch-presentazione sono sovente costretti a gestire malgrado tutto separati i due gradi di giudizio e maniacalità, quello per lo Champagne in degustazione e quello per i piatti serviti, magari ottimi ma non sempre in sintonia reale) che per un bel pezzo di menu hanno potuto far pace con abbinamenti e incontri cibo-vino.

A gestire l’orchestra, e a comporre buona parte della musica suonata, il duo Olivier Krug, erede e griffe di casa, e la presidentessa della ditta Maggie Henriquez, venezuelana per Dna, solidissima “princesse” bruna di un mondo per lo più biondo (lo Champagne d’élite), e titolare di accesso diretto al soglio di Bernard Arnault, sire e padrone della “scatola” del lusso che oltre a Krug contiene Hennessy, Moet, Dom Pérignon, Perrier Jouet, Ruinart, Yquem, mezzo Cheval Blanc, Cloudy Bay, Glenmorangie e Mercier, per stare solo sul nostro, cioè sul bere. Lui, Olivier, impegnato a riannodare (ma attribuendone molto merito a lei, Maggie) i fili odierni con le radici (niente di più solido e convincente che rivendicare la storia come madre quando si cova qualcosa di nuovo) e con la filosofia del “massimo piacere” e del “a fondo” dell’antenato Joseph, licenziatosi in pieno Ottocento da Jacquesson per andare a inventare in proprio la Grande Cuvée, e dell’antenata Jeanne, figlia nientemeno che di Victor Hugo. Lei, Maggie, troppo abile e signora per dire apertamente che in passato s’è fatto più di qualche errore (politica “russa” di prezzi inclusa) in casa Krug, ma esplicita nel rivendicare (bell’indizio!) l’uscita ferma e consapevole dall’immagine di “quelli della barrique”, argomentando come i legni piccoli servano da indispensabile vaso individuale quando si lavora con quasi 150 parcelle tutte vinificate singolarmente, che è il metodo ancestrale della casa; come i legni stessi siano di plurimo passaggio e poca “marca”; e che, infine, giudicare Krug fossilizzandosi sulle 225 litri sarebbe come classificare un grande cuoco dal diametro dei polsonetti che usa per le salse.

Bell’indizio, ribadisco. Come, peraltro, quello deducibile dall’arguto finale di giornata: servire con nonchalance Ambonnay, la costosissima pietra di paragone (a qualcuno dei “krugisti” ante marcia mai andata giù del tutto, e comunque capace di dividere il meondo) all’aperto, in giardino, a fine cerimonia, dopo i dessert, e “con una piccola sorpresa dello chef”. Cacio & pepe? Aglio e ojo?, ammicca qualcuno… E quasi ci prende. Per difetto. Con il sontuoso, “riccoso” (e mostruosamente strutturato nella versione ’98) Ambonnay, Cannavacciulo-Krug-Henriquez servono come allegra, sdrammatizzante merenda (ma anche a sfida) mezzi paccheri “o’ raù”, al ragù vero, serio, di costine di maiale, ma ravvivato in ariosità dall’aggiunta a vivo di un po’ di sugo aglio, olio e pomodoro fatto a fresco, al volo. Che vi devo dire? Un successone…

 

I vini

Krug Grande Cuvée

Codice a barre e alfanumerico che indica il trimestre e l’anno di sboccatura (giusto!), 122 componenti, vendemmia 2004 come spina dorsale: una spina dritta, equilibrata, e perfetta per il “sentiment” attuale che pare circolare in casa Krug e ispirarne le mosse futuribili. Il risultato è la più fresca, carezzevole (e, si diceva sopra, meno “anglaise” al gusto) Cuvée tra le ultime presentate. Il tutto senza note scabrose, né cipria di quercus galleggiante. Si beve, e verrebbe da dire: facile, se non fosse per lo Champagne che è (e anche perché, comunque, il prezzo, pur ragionevolmente surgelato, è pur sempre Krug).

½ e una mezza tentazione di secchio

 

 

Krug Clos du Mesnil 2000

Una splendida parete di montagna; un respiro di aria cristallina; una verticalità (già detto, ma va ripetuto) affascinante. Premiata da un mazzo di roridi fiori bianchi d’altura. Per una volta non suona retorica la rivendicazione di Olivier Krug secondo cui tra le mura chiuse del Clos si è cercata la “purité”, la purezza del gusto e del vitigno. Il 2000 è stata un’annata rognosa, capricciosa. Caldo, poi tempeste e nubifragi d’agosto, e la grandine che, giura Olivier, ha sfiorato i confini del Clos senza varcarli salvando così quest’edizione del Mesnil, e poi ancora calduccio. Ma il risultato (in quantità ridotta, come il millesimato di corrispondenza, del resto) è una lama scintillante e scabra, che innamora gli animosi (prezzo medio al pubblico ca 850€).

 scatti, secchio

 

Krug 2000

Per ora più parallelepipedo che sfera, si diceva prima. Sensazione accentuata dal servizio in ambo con il 1998, vino dal cuore caldo e dalla pelle di crema, pronto già a piacere. Geisha riluttante invece il 2000, che cambierà, muterà, vivrà a lungo. Come, con quanta mimesi capace di addolcire (e quanto) i suoi attuali angoli di giunzione, difficile preconizzarlo ora. Certo, di primo acchito piace persino più dell’altro (di cui in quantità prodotta è circa la metà); ma poi quando il ’98 si spalanca, accogliente, e si scalda di un paio di gradi nel calice, la sua avvolgenza si prende una parte di rivincita. Il principio del piacere attribuito a Joseph conta, eccome.

 ½ molto evolutivi

 

Krug 1998

All’inizio senti la crema (ha meno spezie del ’90, avverte sincero Olivier, ed è vero), poi la frutta, poi la materia, che non manca certo. L’anno caldo senza dialettiche o brusche virate, uno di quegli anni che hanno avvertito anche la nordica  terra di Reims che “the times tey are a changin’ ” ha fatto il suo. Il lavoro di casa Krug ne ha tratto il meglio possibile. Non c’è cedevolezza, né segni di svenimento, solo polpa rubensiana e morbidezza tattile. Beva che cresce di gustosità nel bicchiere. Grande piacere per chi il piacere lo vede così. Un filo di tensione, però, manca per la completezza. Ma, appunto, né ’98 né 2000 sono anni perfetti.

 ½

 

Krug Clos d’Ambonnais 1998

Il Krug che divide anche gli appassionati, l’oggetto misterioso per molti (causa rarità, 0,60 ettari e qualche spicciolo, e costo di cui tutto si sa, più che cattiva volontà) entra in campo nel terzo tempo della partita. Quando il gioco si fa duro, direbbe qualcuno. Di certo, questo Ambonnais ‘98 fisicamente non deve aver paura di nessuno. E’ tutto fuorché smilzo, diciamo. Ossa grandi, tannicità quasi da vino, e vinosità, calore… Un “pinone”, dove il frutto conclusivo si fa leggermente scuro a fondo bocca, ma tiene poi per una lunghezza sufficientemente proporzionata alla larghezza (tanta!). E che affronta la prova del mezzo pacchero ribattendo virilmente colpo su colpo Posso confessarlo? Giudicarlo obiettivamente (costo medio al pubblico 4.000 €) è davvero difficile. Verrebbe da dire: “hors categorie”, non voto, e fate in modo di assaggiarlo però, magari in comitiva. Ma per giustizia, il voto va:

 scatti. L’anno grande ma non perfetto in generale, per il Pinot Noir lo è anche un filo meno. La carne è carne. La grazia, quella verrà in un’altra annata.

 

Il menu di Cannavacciuolo

Uovo, gamberi rossi e caviale

Ravioli con cozze, aglio dolce, conserva di San Marzano.

Maialino in porchetta con scampo grigliato, salsa profumata all’anice stellato

Babà, sfogliatelle, pastiera & piccola pasticceria