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Vinitaly. Vini naturali? No grazie, meglio Valentini

lunedì, 26 Marzo 2012 di

C’è poco da fare sono pazzi di Francesco Paolo Valentini. Lo dichiaro preventivamente, per sgombrare il campo da dubbi o incertezze: sono di parte! Come si può essere di parte dicendo di amare gli spaghetti, o il Colosseo, o di commuoversi sui canali di Venezia.

È incredibile come il racconto antico di Francesco e la sua visione del vino sia insieme antichissima e modernissima. L’occasione è la celebrazione dei quarant’anni di vita della DOC trebbiano d’Abruzzo. Un grande vino tradizionale per troppo tempo bistrattato come un vinello da grigliate di mare.

Due i regali di Francesco per due decenni: Trebbiano ’88 e ’77. Due bianchi imperscrutabili e suadenti, ma quello che ci interessa non è tanto parlare della bellezza dei suoi vini, che tutti ben conosciamo, ma della sua narrazione del vino. Poche pippe, quasi nulla la descrizione dei marcatori, la litania del ritrovamento sensoriale. Poca poesia, ma un tono elegantemente rustico e diretto, il racconto del millesimo, della conoscenza capillare del territorio e delle variabili pedoclimatiche.

Si comincia “buongiorno mi chiamo Francesco Paolo Valentini” c’è tutto in queste parole, modernità e tradizione. Semplice diretto, senza sbruffonerie tanto di moda. Si parte dalla storia del vitigno in un rapido inquadramento temporale. Poi la distinzione ampelografica, sulle differenze del trebbiano d’Abruzzo nella grande famiglia dei trebbiano del mondo. Poi si passa alle notazioni di carattere agronomico, si chiude con la descrizione dei millesimi.

Poi senza incertezze, sono artigianale ma faccio fatica a capire i vini naturali, perché il vino in natura non esiste. Musica per le orecchie. Tutto molto semplice e rapido. In pochi minuti ha inquadrato perfettamente la questione, quello che stupisce è la padronanza e semplicità… Poi si arriva al punto: non esiste un vitigno migliore, esiste solo la climatizzazione del vitigno nel territorio, e questo lo fa solo il tempo!

La dice grossa: “Quando sento il profumo dell’olivo appena franto della dritta di Loreto che è acclimatato nel territorio abruzzese da 2000 anni, sento lo stesso profumo del trebbiano in vendemmia. Il profumo della terra e di questa terra”. Mica male come dichiarazione. Poi arrivano i bicchieri. Altro che balle, altro che enofighetti e curva sud, in questo buon senso, in questa semplicità l’interpretazione del futuro possibile.