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Valentini Montepulciano d’Abruzzo 1977. Elogiare un giovane di 35 anni

mercoledì, 11 Aprile 2012 di

svinando

Era un po’ che ci giravo attorno, che lo leggevo nella carta de La Bandiera a Civitella Casanova, me lo coccolavo e aspettavo. Montepulciano d’Abruzzo Valentini 1977 S.D. Prezzo Secondo Disponibilità, una sigla per dire: nun ce pensà ad aprirlo. Ogni volta che mi sedevo a quella tavola affacciata sul Gran Sasso, carezzavo l’idea di ordinarlo. Il sabato di Pasqua ho rotto gli indugi e l’ho ordinata.

Marcello si è tosto precipitato in sala, “Alessà non me lo toglie” e io rapido “ se non lo apri ora, quando?”. Il tappo è venuto via integro, perfetto e umido, un buon segno. Poi direttamente nei bicchieri, perché sia io che Alessio Spadone, ottimo somellier, temevamo un eccesso di ossigenazione per una bottiglia di 35 anni, trentacinque inverni passati ad attendere questo momento. La bottiglia è stata custodita per tanti anni con cura e attenzione, per concludersi in un’esperienza di pochi minuti. In una gioia apparentemente effimera, ma sostanziale.

Ecco la meraviglia del vino, l’emozione che ogni volta ti soggioca, ti colpisce con la forza di un uppercut di un giovane Cassius Clay e tu finisci al tappeto come Liston senza possibilità di replica. Perché tutti amiamo i vini vecchi, raccontiamo di grandissime emozioni e esperienze, ma è un piacere spesso un po’ sepolcrale, di morbidezze vetuste, di intravvedere e riconoscere il vitigno attraverso i profumi terziari scolpiti dal tempo. Ma ogni tanto invece, quando becchi la grande bottiglia, riconosci il tempo che passa, la complessità senza se e senza ma. Il fascino delle sfaccettature che gli anni danno al vino, senza difetti o compromessi. Allora è gioia pura, piacere e ricompensa per tante bottiglie imperfette che hai consapevolmente bevuto nella tua vita di “santo bevitore”.

Questo montepulciano era un gran vino, ancora giovane e fresco. Senza alcun sentore di cedimento. Altro che non scaraffarlo e proteggerlo, avremmo potuto fargli di tutto per quanto era integro e preciso. Il colore ancora brillante e allegro, non impenetrabile come tanti montepulciano, ma gestito con la consapevolezza che un eccesso di concentrazione possa essere più un problema che un bene. Poi il naso ricco e succoso. Sfaccettato: parte netto sulle note minerali, catrame e pietra, precise e definite, poi la liquerizia fine, infine il frutto ancora vivo e scalpitante. In bocca poi, festa allo stato puro. Succoso e elegantissimo, con una trama tannica precisa e piacevole. Entra netto sul frutto croccante, per poi virare decisamente sui toni fioriti e di erbe, infine una nota definita di Goudron, scura e cupa come una giornata d’aprile piovosa, l’acidità chiude i conti e resetta agile il palato. Un vino che gira in bocca e nel bicchiere che è un piacere.

Resta solo il rimpianto che finisca troppo in fretta, il palato ne chiede ancora. 35 anni, conosco adulti molto meno in forma. E allora non puoi fare a meno di chiederti quanto un metodo antico e artigianale possa contare nel cogliere determinati risultati. Io sono convinto: moltissimo! Penso che la sola strada per vini da grande invecchiamento, sia un vinificazione onesta e armonica con la natura e il pensiero. Vini come questo mi spiegano più di tante letture e studi, di tanti marcatori o descrittori. Mi raccontano una storia di grande artigianato e rispetto per la natura, capace di scalare il tempo e la vita con l’eleganza di Abele Bikila per le vie della città eterna.