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Sappi che Erba Brusca non mi entusiasma e non credo ai contadini chic

Il ristorante Erba Brusca a Milano ha un orto che fornisce la materia prima per molti piatti. Ma c'è qualcuno che pensa a contadini attori
martedì, 24 Luglio 2012 di

In ogni appassionato di cibo si cela un piccolo possidente russo. 
Piotr Petrovic Petuch, ne Le anime morte di Gogol dice “Al mattino ti svegli e c’è già il cuoco, e bisogna ordinare il pranzo, poi c’è il tè, il fattore, la pesca e, finalmente arriva il pranzo. Dopo pranzo non fai in tempo a dormicchiare un po’ che c’è di nuovo il cuoco, e bisogna ordinare la cena: poi rieccoti il cuoco, per ordinare il pranzo del giorno dopo. Quando mai ci si può annoiare?”

Come non condividere! Infatti, mentre mi preparavo alla cena da Cavallaro, prenotavo il ristorante per il brunch domenicale e segnavo sul taccuino (non possiedo uno smartphone) alcuni indirizzi per future libagioni.
 Ammetto, però, di non avere la tempra di Petuch: il brunch mi ha stroncato, non sono riuscita a finire dei “leggerissimi” pancake con farina di polenta, timo, pesche e coppa croccante, scelta alquanto azzeccata per una calda domenica di luglio.

In quel tratto di Naviglio Grande vicino a Chiesa Rossa, dove aveva sede la storica Osteria del Tubetto, si trova il ristorante, con orto annesso, Erba Brusca. 
Mi è capitato più volte di sentirne parlare e sempre come di un locale frequentato da vip. 
Forse perché, ormai, fare il contadino è molto fashion.

Mia nonna si svegliava alle 5 del mattino e inforcava la sua bicicletta per andare nell’orto, indossando vecchi abiti e portando un foulard da cui sbucava la faccina di una vecchietta tenace e entusiasta di poter raccogliere e mostrare, a noi nipoti, quello che aveva ottenuto, con estrema fatica, dalla terra. 
Non ci vedo niente di fashion nel mestiere del contadino. Niente gonnellone a fiori, papaveri tra i capelli, spaventapasseri di Oz; nessuna mela lucida da staccare dall’albero e mordere perché, se davvero biologica, 
bisogna considerare l’eventualità che possa contenere degli abitanti (a meno che non si vogliano mangiare anche questi).

Sono annoiata nel sentir dire che tutti vogliono fare i contadini senza rendersi conto di quanto sia impegnativo coltivare per la sussistenza e non per raccogliere qualche foglia di basilico dal balcone di casa. 
Prima “dare del contadino” era dispregiativo come se tutti gli agricoltori fossero zotici e ignoranti; ora, tutti i contadini sono filosofi che hanno scoperto la vera ragion d’essere dell’uomo.

Secondo me i contadini (veri) fanno solo un mestiere, come gli operai o i ragionieri o le ballerine: non sono, per definizione, sapienti o ignoranti.
 Per cui, vedere nell’orto dell’Erba Brusca due giovani, con cappello di paglia sotto il sole del mezzodì, che hanno passato più di due ore gironzolando intorno a dei sostegni e raccogliendo fiorellini, mi ha lasciato perplessa. Sembravano due figuranti. 
Sia chiaro che non faccio dietrologia, l’orto era ben tenuto e in rigoglio, ma mi sono sentita un po’ come Fry di Futurama quando va al parco di divertimenti sulla luna: niente, dell’epopea lunare, viene descritto come lo conosceva lui.

Comunque il posto è carino, all’aperto si sta bene nonostante la calura di luglio.
Navigando sul sito, mi ero convinta dalle foto che una qualche Marianne avesse indirizzato l’impostazione del locale: infatti, lo chef in bicicletta Alice Delcourt è nata in Francia. Quello che non avevo intuito è che ci fosse di mezzo anche una madre inglese e una lunga permanenza negli Stati Uniti.

Il menù del brunch non molto ricco mi sembra coerente con la filosofia di utilizzare le materie prime disponibili nell’orto e quelle reperibili dai produttori di fiducia. 
I main courses però, erano tutti piuttosto impegnativi, per un brunch estivo avrei preferito qualche alternativa più leggera.

Come antipasto: gazpacho nella variante tritata, dall’altro lato del tavolo salumi misti della Cascina Lassi. 
Senza infamia né lode.

Main courses: i pancake di cui sopra, molto stuzzicanti nell’abbinamento pesca-coppa croccante ma abbondanti e, data la tipologia di ingredienti, non proprio leggeri; dall’altro lato del tavolo, hamburger di fassona con patate rustiche, carne gustosa ma niente di particolare.

I prezzi delle portate sono in linea con locali affini; la selezione dei vini è molto accurata, anche se non si scende sotto i 15 euro a bottiglia che, per un brunch, forse è un po’ eccessivo (voi direte, al brunch bevi caffè americano ma con il gazpacho proprio non me la sono sentita). Poi, se il convitato di pietra (visto che non può esprimersi in questo testo ma la sua presenza aleggia) è solito pasteggiare a Chablis da 32 euro a bottiglia (Bessin 2009), allora il conto lievita.

Il personale è molto gentile, sin dalla prenotazione telefonica si sono mostrati cortesi. Ci hanno lasciato al tavolo a chiacchierare ben oltre la fine del pasto e mi hanno cortesemente tappato la bottiglia non finita da portare a casa.

Ho letto recensioni entusiaste sull’Erba Brusca, io non le condivido (direi non male, niente di più), anche se, effettivamente, varrebbe la pena di provare a cena. D’altro canto, io non condivido neppure l’entusiasmo per il Ratanà (Cesare Battisti, lo chef e Danilo Ingannamorte, suo socio sono gli artefici del progetto Erba Brusca con Alice Delcourt). 
Ma questa è un’altra storia.

Erba Brusca – Orto con cucina. Alzaia Naviglio Pavese 286. 20142 Milano. Tel. +39 02 87380711

[Paola Caravaggio]