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Top ten. C’è spazio per i vini dolci da proporre alle feste di Natale

mercoledì, 21 Novembre 2012 di

svinando

Nascosti fra secchielli e bottiglie di ogni formato, abbiamo scovato molti vini dolci provenienti da ogni angolo d’Italia al Wine festival di Merano. La tipologia è obiettivamente in difficoltà in seguito alla restrizione introdotte dal Codice della strada, ma anche per gli scarsi favori che incontra presso una parte della critica;  invero attraverso la selezione dei nostri migliori 10 assaggi si percorre un viaggio fra territori e tecniche di vinificazione secolari, profondamente legate alle tradizioni culturali e gastronomiche che hanno fatto la storia del nostro Paese.
La classifica vuole anche essere uno spunto ed un suggerimento in vista delle prossime  feste per godere in tranquillità e con la giusta compagnia di un calice di vino dolce.

Ecco le nostre dieci scelte.

  1. Passito di Pantelleria Bukkuram 2007 – Marco de Bartoli. Ottenuto da uve zibibbo (impianti di 40/60 anni) lasciate appassire per metà al sole e il resto sulla pianta fino a settembre. Elevato in barrique per 30 mesi. All’olfatto arriva immediatamente la nota iodata, poi marmellata di albicocca, fichi secchi, chiodi di garofano; al palato grande eleganza e profondità, contrasto, frutto dolce, purissimo, acidità e freschezza, persistenza interminabile.
  2. Gewurztraminer Passito Terminum 2010 – Cantina di Termeno. Una delle innumerevoli versioni dall’autoctono per eccellenza di questa cantina altoatesina. L’uva viene lasciata appassire in pianta fino a novembre/dicembre, a seconda delle annate, poi affinata per un anno in barriques di secondo e terzo passaggio. Profumi di frutta secca, susina, miele, camomilla; palato fresco ed equilibrato nonostante una cifra zuccherina imponente, chiusura pulita e aggraziata.
  3. Passito Clèmatis 2000 (montepulciano) – Ciccio Zaccagnini. Originale versione dolce del tradizionale rosso abruzzese, appassito in pianta per affrontare poi tre anni in carati nuovi. Al naso pepe nero, tabacco, terra; grande la progressione gustativa, molta concentrazione ma anche bevibilità, lunghi ritorni di mora nel finale. Abbiamo provato anche l’annata 2007, la più recente in commercio e quindi ancora un po’ indietro, con tannini scalpitanti, un vino meno persistente del fratello maggiore.
  4. Moscato Apianae 2004 – Di Majo Norante. Bellissima annata per il vino dell’azienda molisana, dal vitigno Moscato Reale che veniva coltivato in Italia già nel 200 a.C. Il frutto viene fatto appassire in pianta e dopo la vinificazione è affinato un anno in acciaio e sei mesi in bottiglia. Esprime aromi di cedro, arancia, erbe aromatiche, miele; in bocca è molto fresco e bilanciato, ricco, dal finale asciutto, contrassegnato dalla frutta candita.
  5. Marsala Superiore Riserva 1987 – De Bartoli. La fermentazione, tradizionale, del grillo avviene a temperatura ambiente in fusti di rovere e castagno, dove poi sosta per oltre 10 anni. Al naso ampio ventaglio che passa dalla frutta secca, soprattutto mandorla e noce, alla frutta candita, fico, dattero e uva passa, sottobosco e fungino, tabacco; in bocca si allarga irrorando di calore il palato e poi l’esofago, note di rancio, ancora la frutta secca, il miele di castagno, con una acidità che contrasta la materia e l’alcool importante e garantisce bevibilità (sembra impossibile) e godibilità. Al tramonto d’estate.
  6. Verduzzo Friulano Cratis 1997 – Scubla. I grappoli di verduzzo vengono raccolti freschi e fatti appassire sui sottotetti esposti ai venti di bora fino a dicembre, come da antica pratica contadina. Dopo la pressatura avviene il passaggio in barrique (nuove al 50%) per 20 mesi. L’annata 1997 dimostra il grande potenziale evolutivo di questo tradizionale vino-vitigno. Miele, mandorle, caramella mou all’olfatto; al palato è fresco e bilanciato, con tannini ormai addomesticati, finisce lunghissimo su note di fichi secchi e agrumi. Abbiamo provato anche il 2005, segnato dal cedro e dall’anice, persistente, già ottimo ora, e il 2009, ancora penalizzato dall’esuberante tannicità caratteristica dell’uva.
  7. Sciacchetrà 2010 – Buranco. Una delle poche aziende a produrre in un numero di bottiglie non confidenziale questo celebre nettare delle Cinque Terre. Le uve, bosco all’80% con saldo di vermentino e albarola, vengono appassite due mesi in fruttaio e poi passano in botte grande per un anno. Al naso prevale la macchia mediterranea (mirto), la frutta secca e i caratteristici toni salmastri; in bocca è armonico ed equilibrato, chiude molto lungo con ritorni di uva passa.
  8. Aleatico dell’Elba 2008 – Acquabona. Le uve vengono raccolte e appassite al sole e la fermentazione avviene in recipienti di acciaio. Naso tipico, quasi didattico, con frutto rosso, visciola e amarena, fiori rossi, speziatura dolce, in bocca è equilibrato, succoso di acidità che consente una beva travolgente e senza imbarazzi zuccherini, il finale lascia una scia minerale e agrumata. Solare.
  9. Moscato Giallo Serenade 2009 – Cantina di Caldaro. I grappoli vengono fatti appassire su graticci e pigiati in febbraio, poi sostano due anni in barrique. All’olfatto arriva subito la nota di spezie orientali (curry), poi mandarino e albicocca; bell’ingresso al palato, agile e fresco, contrastato, chiude sugli agrumi canditi e una bella nota salina.
  10. Vin Santo del Chianti Occhio di Pernice 2007 – Il Borro. La dimostrazione che anche una cantina dallo stile “modernista” può cimentarsi con successo su tipologie molto tradizionali. Il sangiovese appassito viene fatto affinare per quattro anni nei classici caratelli. Al naso c’è la salvia, poi frutta secca, prugna, cioccolato. In bocca ha ottima acidità e lunga persistenza, chiudendo ancora con note di frutta secca, spezie e pesca sciroppata.

[Testo: Gianmarco Nulli Gennari. Note di degustazione con la collaborazione di Stefano Ronconi. Immagine: Cantina Tramin]