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Ilaria Borletti Buitoni, la vendetta. O per un pugno di pappardelle

venerdì, 24 Maggio 2013 di

svinando

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La toppa è peggiore del buco. L’unica spiccia considerazione che mi viene leggendo la precisazione di Ilaria Borletti Buitoni è sinteticamente questa. Dopo aver giudicato “negativamente” il livello degli chef italiani, assolvendo di fatto solo Paolo Teverini (ma il dubbio che sia soprattutto il lato beauty farm a interessarla è veleggiato nella mente di qualcuno), ha rincarato la dose. Sul suo blog ha fornito l’interpretazione autentica perché, ovviamente, non molti (forse nessuno) avevano capito esattamente come stavano le cose.

Sotto il titolo “La mia vera opinione sulla cucina italiana” (perché, quella espressa a Panorama era falsa?) campeggia innanzitutto la richiesta di circoscrivere l’accaduto.

Prima di dar vita a una così accesa discussione, avrei cercato innanzitutto di verificare l’aderenza e la veridicità di quanto riportato da un ‘intervista che, lo ripeto, è stata molto ampia e che ha trattato solo marginalmente e brevemente il mio rapporto con la cucina e la mia passione per lo stare a tavola”.

L’annotazione ci suggerisce di invitare quanti non l’abbiano ancora fatto di leggere direttamente la precisazione sul blog. La cui parte saliente recita:

“Spero di non offendere nessuno con questo parere, ripeto, strettamente personale, ma confesso che, come forse la maggior parte degli italiani, tra quattro fagiolini che circondano un minuscolo pezzettino di carne e un piatto di pappardelle al sugo di lepre, preferisco la seconda opzione”.

Il combinato disposto tra l’intervista e l’interpretazione autentica dovrebbe suonare così. Non è vero che tutta la cucina italiana deve avere un giudizio negativo, ma solo quella che preferisce i piatti striminziti invece delle scorpacciate, i quattro fagiolini invece di un piatto di pappardelle, l’alta cucina invece della trattoria.

Interpretazione capziosa? Vediamo quale messaggio è arrivato ad alcuni chef.

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Salvatore Tassa: il lavoro dietro quattro fagiolini

Salvatore Tassa, ad esempio, che di cacciagione se ne intende e che potrebbe rappresentare l’ideale punto di congiunzione tra tradizione e innovazione, tra le pappardelle, la lepre e i quattro fagiolini.

“Quattro righe che danno l’esatta dimensione dell’Italia, un Paese che taglia chi innova e guarda al futuro. Bisognerebbe ricordare al Sottosegretario che la tradizione di domani è l’innovazione di oggi. Citando con fare sbrigativo quattro fagiolini, la signora dimostra di non tenere in conto un altro bene prezioso: l’agricoltura e il lavoro che c’è dietro quei quattro fagiolini. Ma forse lei preferisce come molti altri una bella lepre congelata che arriva dall’Argentina. Meno male che ha citato Paolo Teverini che uno dei precursori della nuova cucina italiana. Solo che non se n’è accorta e quindi non ha compreso che anche dietro quattro fagiolini c’è una storia di cultura”.

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Gennaro Esposito: l’alta ristorazione è messaggio autentico

Gennaro Esposito, il cui invito a Festa a Vico è rimbalzato in ogni piega della rete è, se possibile ancora più basito. Ed è un fiume in piena mentre pensa ai dettagli del concerto di Nicola Piovani e del nuovo ristorante Mammà.

“Forse il sottosegretario preferisce la soluzione del piatto unico a quella della degustazione di più piatti serviti in piccole porzioni. Opinione rispettabilissima. Ma perché dichiarare che i cuochi non sanno cucinare e poi offendere tutta la nuova cucina italiana? Noi Stiamo lavorando con fatica per portare in alto la cucina italiana. Questo Paese adesso come non mai ha bisogno di gente che lavora. Che porta risultati concreti. Che restituisca credibilità al sistema Italia. Ci auguriamo che il sottosegretario sappia indicarci le giuste direzioni da seguire. L’alta ristorazione in Italia ha fatto grandi investimenti rischiando con la propria tasca e ha diffuso soprattutto all’estero un messaggio di cucina autentica. Ha sostenuto artigiani e produttori. Insomma e viva e fa squadra”.

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Cristina Bowerman: iniziare dalle basi

Non piace la contrapposizione fagiolini vs pappardelle alla chef di Glass a Roma.

“È il suo tentativo di “far parte” e comprendere “il popolo”. È una frase con chiaro intento demagogico e non una dichiarazione di un rappresentante della politica e della cultura italiana che ha il dovere di esaminare in maniera più approfondita i nostri fenomeni culturali. E la cucina in italia è un fenomeno culturale. E iniziamo dalle basi: una cosa è sfamarsi altro è l’alta cucina. Si incontrano ad un certo punto ma non si sovrappongono”.

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Anthony Genovese: pancia piena nei ristoranti stellati

Di semplificazione in semplificazione si arriva al famoso paradosso del si spende molto si mangia poco. E’ il patron del Pagliaccio di Roma a tirarlo in ballo per smontarlo.

“Fermo restando che ognuno ha il diritto di amare il suo tipo di cucina, vorrei far presente al sottosegretario Borletti che, per noi, i tempi dei quattro fagiolini e del minuscolo pezzettino di carne sono finiti da un pezzo. Nei ristoranti stellati, udite udite, si esce con la pancia piena. La soddisfazione del cliente è al centro di tutto. Certo, i piatti hanno il loro costo. Ma molti dimenticano che dietro ognuno di essi c’è un tanta passione, tanto sacrificio, ma soprattutto materie prime di altissima qualità. Mi unisco ai miei colleghi nell’invitare il sottosegretario a cena nel mio ristorante, dove mi è capitato di mettere in carta un piatto forse per lei inaspettato: Pappardelle al mais con stufato di agnello”.

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Pier Giorgio Parini: meglio un buon piatto tout court

Dall’alto di Torriana e dei molti chilometri percorsi alla ricerca di prodotti di eccellenza, Pier Giorgio Parini, chef dell’Osteria del Povero Diavolo semplifica in meglio.

“Trovo la distinzione del sottosegretario Borletti poco felice. Non esistono piatti buoni o piatti cattivi. Ma solo piatti preparati bene o preparati male. Un buon piatto di pappardelle lo si può mangiare in una buona trattoria come in un ristorante di alta cucina. Al Povero Diavolo, ad esempio, in estate mettiamo in carta un Le pappardelle ai peperoni”.

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Francesco Apreda: tradizione e innovazione

Il silenzio ha volte è d’oro è l’assunto di Francesco Apreda dell’Imàgo Hassler di Roma.

“Non mi hanno stupito le nuove parole del sottosegretario Borletti, ma devo dire che ha sicuramente peggiorato la situazione. È vero, la cucina italiana sta vivendo un momento di grande fermento innovativo che la rende sempre più appetibile all’estero. Ma il legame con la tradizione resta imprescindibile. Dodici anni fa, a Tokyo, presentai le pappardelle alle alghe al sugo di polpo, appiccatelli vesuviani e olive di Gaeta. Un piatto tradizionale e innovativo insieme, in cui due grandi prodotti tipici italiani venivano raccontati in chiave creativa. Anche se al Sottosegretario potrà sembrare strano, sono piaciute”.

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Marianna Vitale: l’istituzione come Tripadvisor

Dal Sud, Marianna Vitale paragona il Sottosegretario a un utente medio di Tripadvisor.

“Le nuove parole del sottosegretario alla Cultura Borletti confermano la sua scarsa conoscenza di cosa accade nelle cucine dei ristoranti italiani. Ritengo poco adeguato che chi, come lei, ricopre un ruolo istituzionale di tale rilievo esprima un parere “strettamente” personale in merito a un mondo verso cui si dimostra quantomeno poco curiosa. Ritengo il suo, non un attacco all’alta cucina ma piuttosto a chi, soprattutto a fronte dell’infausta situazione economica attuale, ha deciso di investire nell’innovazione e differenziarsi dagli schemi della trattoria tradizionale, la cui dignità non è in discussione. Esprimersi, poi, in termini di “quattro fagiolini e un pezzettino di carne” per indicare la cucina stellata è davvero poco felice. Ci mancava solo l’indicazione della grammatura della carne e del prezzo per immaginarsi a leggere la recensione di un utente medio di Tripadvisor. Il sottosegretario dovrebbe infine capire che, in cucina, come in ogni aspetto che tocchi la cultura di un paese, la tradizione è sempre il punto di partenza. E tralasciarla è impossibile. Nel mio ristorante Sud, ogni sera proponiamo “a vetro”, fuori dalla carta, piatti della tradizione (spaghetti alle vongole, ziti spezzati con ragu napoletano), non rivisitati e impiattati secondo le regole canoniche. E non certo per sopperire a qualche mancanza”.

la ricetta della cacio e pepe di Dino De Bellis 13

Dino de Bellis: lepre? Fuori stagione

Aveva scritto direttamente sul blog del Sottosegretario, “ma mi sa che mi hanno bannato”, spiega Dino de Bellis. Poco male, riportiamo noi.

“Grazie per la precisazione, ma non sono d’accordo neanche un pochino su quello che lei definisce il minuscolo pezzo di carne e il grande piatto di pappardelle. Sempre più spesso succede che il “grande piatto di pappardelle venga servito fuori stagione e che il microscopico pezzo di carne provenga da un allevamento o un produttore che ha investito tempo e denaro per esaudire un suo sogno di “bontà” e senza lo chef che cucina quel pezzettino di carne, nessuno verrebbe a conoscenza delle fatiche di un imprenditore italiano senza più aiuti dallo Stato.
Firmato Dino de Bellis. Oste che si emoziona ancora davanti a un piccolo piatto fatto bene”.

Ok, troppe parole. Ma se prendiamo il commento laconico di Davide Oldani “De gustibus”, potrebbe suonare un po’ come lasciatela cuocere nel suo brodo. O dovremmo dare credito all’invito di un commentatore di Dissapore che esagera e da cui ci dissociamo per il suo incitamento?

“Io dico solo che se un giorno me esco con una frase tipo i fagiolini intorno al pezzo di carne per favore ABBATTETEMI”.

[Ha collaborato Daniela Dioguardi. Immagini: Daniele Amato, Francesco Arena, Scatti di Gusto]

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.