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Birra per principianti. Quello che non dovete mai dire in una birreria

lunedì, 12 Maggio 2014 di

bir & Fud spine

Il mondo della birra artigianale vi incute timore? Lo vedete impenetrabile perché parla un linguaggio tutto suo?

Trovarvi al bancone con tante (36) spine come quelle esibite nel rinnovato Bir&Fud di Roma potrebbe darvi qualche vertigine. O imbarazzo.

Io ho provato a mettere insieme le domande vietate per iniziare ad avere un approccio con la birra artigianale.

1. Mi dai una rossa doppio malto?
Innanzitutto, una birra non è mai rossa, semmai è ambrata. Poi, è utile sapere che “doppio malto” è la denominazione con la quale il fisco italiano definisce la birra che state bevendo. Infatti, per poter distinguere e applicare un’accisa, il legislatore ha suddiviso il mondo della birra in cinque settori, diversificati in base a grado Plato e grado alcolico. Grado Plato è un grado saccarometrico: s’intende quindi la percentuale di estratto (composto prevalentemente da zuccheri) nel mosto prima della fermentazione. Pertanto, sono denominate doppio malto quelle birre che superano i 14,5 grado Plato e i 3,5 di grado alcolico. Grazie a questa classificazione, lo Stato italiano applica un’accisa su questo alcolico che, dall’ottobre 2013, è stata ritoccata verso l’alto già due volte, passando da 2,66 a 2,7 euro per ettolitro e per grado Plato.
Detto questo, immagino non ci sia bisogno di spiegare perché non è gentile ricordare tutto questo al nostro publican.

irish coffe

2. È un irish coffee quello?
Potrà sembrarlo, e probabilmente avrà anche i sentori della tostatura, ma quella che sta bevendo il tuo vicino al bancone è una Stout. La schiuma compatta e cremosa color nocciola non è panna montata, ma il preludio a un sorso di una birra ad alta fermentazione dal sapore robusto, tenace (in inglese, stout significa proprio forte, solido, ma anche coraggioso).

3. È dolce questa birra? Oppure, amara?
Se non volete sembrare birrofili di primo pelo – ma, a mio parere, anche solo se si parla di birra – dimenticatevi pure di utilizzare questi termini. Esiste un’unità di misura, ed è cosa buona e giusta usarla. Si chiama IBU (International Bitterness Unit) ed è una misura della concentrazione di a-acidi isomerizzati presenti nella birra finita, cioè quanti alfa acidi il luppolo ha rilasciato durante la bollitura. Principalmente è quel che dà l’amaro alla birra. È espresso in milligrammi su litro, o in parti per milione (ppm). In ogni caso, non fidiamoci troppo dell’IBU perché è una stima e perché sono tante le cose che incidono direttamente sulla possibilità di percepire o meno l’amaro, a partire dall’acqua utilizzata nella produzione. Inoltre, l’IBU è una stima per quanto riguarda i luppoli, ma non sappiamo come siano stati dosati gli altri elementi, come il malto, nel tentativo di bilanciare il gusto. Comunque, se siete spavaldi e particolarmente sicuri di voi stessi, potete provare a scarabocchiarne la formula su un sottobicchiere:

IBU = grammi luppolo x AA x UTIL /10 x litri di mosto

Però, se poi non ne sapete niente, fermatevi. La figura da newbie è sempre in agguato.

4. Vendete sigarette sottobanco?
Non so per quale ragione, ma spesso i brewpub sono visti come luoghi di aggregazione di individui ribelli, un po’ maudit, sicuramente dediti ai vizi. Gente che sa quel che vuole bere e che non si accontenta più di una Punk Ipa, figuriamoci di una Heineken. E io non ci credevo, dicevo “Mica siamo a Les deux magots, a Parigi”, si parla pur sempre di una birreria.
Poi, un giorno è entrato un cliente nel pub dove sorseggiavo la mia Porter e chiede se vendono sigarette sottobanco. E alla risposta negativa del publican, ribatte un incomprensibile: “Ah no, sai, pensavo visto le birre…”

pizza birra

5. Oggi ho proprio voglia di una bella birra chiara.
Ecco. Se fossi nei panni del publican, a chiunque faccia questa uscita rifilerei una tripel. È certamente chiara, forse un po’ torbida ma chiara. Chiedere una birra chiara, per me, è come andare in pizzeria e ordinare “Una pizza rossa, per favore”. Ok, ma come la vuoi? Con i carciofini, acciughe di Cetara, idrolisi degli amidi?
Impariamo a definire correttamente ciò che beviamo. Hai voglia di una birra con una gradazione alcolica poco impegnativa, che ti lasci un sapore pulito in bocca e voglia di berne un’altra? Cerca tra le Lager, una buona Pils potrebbe lasciarti soddisfatto o, perché no, una IPA.

6. Ce l’hai una Tennent’s Super in bottiglia?
Ammetto di averne bevuta qualcuna, soprattutto quando avevo 15 anni e volevo andare in vacanza a Mururoa (solo perché lo cantava il mio gruppo punk preferito), ma mi rendo conto che questa frase farebbe incazzare non poco un publican. Cioè, ti sta proponendo le sue ultime esplorazioni in campo brassicolo, frutto di un viaggio alla scoperta dei microbirrifici della Vallonia, e tu chiedi una birra da supermercato?

schiuma birra

7. Ma è tutta schiuma!
E meno male. Pensate che se non ci fosse schiuma, buona parte dei sentori e delle sfumature che danno identità alla birra si disperderebbero nel giro di poco tempo. Infatti, il cappello di schiuma presente nel boccale è una sorta di “coperchio” naturale, che mantiene i sentori all’interno e li rilascia gradualmente. Ed è anche un chiaro tratto distintivo della tipologia di birra che stiamo per bere, perché la schiuma varia molto in base al tipo di birra che abbiamo scelto.
Inoltre, è anche una questione di temperatura. È normale che le birre artigianali vengano spillate a una temperatura più alta rispetto alle industriali per non alterarne il gusto. E con una temperatura più alta vi ritroverete più schiuma nel bicchiere.
Ultimo punto, non meno importante: la schiuma della birra serve a far assorbire meno anidride carbonica a chi la beve e, quindi, a farci sentire meno “gonfi”. Succede infatti che durante la spillatura (o la mescita nel bicchiere) la CO2, formatasi durante il processo di fermentazione del mosto di malto, si liberi e crei bollicine gassose che salgono verso l’alto, generando così la schiuma. Quindi, più schiuma abbiamo sulla birra, meno ne avremo in pancia.

8. Mi metti una fettina di limone nella weisse?
Guarda, nemmeno in una di quelle comprate al supermercato. Perché se vuoi bere qualcosa che assomigli più a una limonata che a una birra, allora beviti una limonata. La fettina di limone, infatti, rischia di coprire buona parte del gusto delicato di una weisse.

arrabbiato

9. Non parlare del tuo progetto di beer firm.
Sempre che tu non voglia farti linciare. Jean Van Roy (Cantillon), Yvan De Baets (Brasserie de la Seine), Kris Herteleer (De Dolle Brouwers) e Jef Van den Steen (De Glazen Toren) sono solo alcuni dei paladini belgi di questa crociata, che anche qui in Italia si sta preparando da tempo. Quello che c’è da dire sul fenomeno di produttori senza impianto di proprietà, in Belgio l’hanno detto forte e chiaro pubblicando una lettera su Le Soir: non sono birrai e non possiedono né esperienza né capacità. Inoltre, contraddicono il concetto di impresa, perché non investono in macchinari. E via così, inasprendo i toni a ogni paragrafo successivo. Nonostante i birrai italiani siano distanti da quelli belgi, quello dei beer firm è uno dei temi da tenere lontano dal publican. Soprattutto se chi vi serve la birra è anche un mastro birraio.

10. Ti racconto una barzelletta sulla birra che non hai mai sentito prima.
Forse, vuoi fare il simpatico per entrare nelle grazie di chi potrebbe spillarti una birra gratis. O peggio, solo per entrare “nel giro giusto”. Ma bisogna capire che quell’uomo o donna che si può dilungare in una descrizione sui sentori e sulla provenienza della tua bevanda preferita sta pur sempre lavorando. E, magari, di simpatici come te ne ha già incontrati tanti. Quindi, evita di raccontare freddure che vanno per la maggiore (Qual è la birra preferita dai gorilla? La Guinness dei primati! – E quella preferita dal drogato? La Peroni).

Lambiczoon banco

11. Amo molto la Lambic.
Tenendo conto che negli ultimi tempi di Lambic in giro se ne vede parecchio – e alla spina – potrebbe capitare di dover pronunciare questa parola. Ma quale articolo scegliere? In molti parlerebbero di questo stile al femminile. Ed è proprio lì che casca l’asino perché l’articolo giusto da usare è il maschile, parola di Lorenzo “Kuaska” Dabove. Il femminile è invece usato per altri stili derivati, come la Kriek, la Gueuze e la Framboise. Ma attenzione: Faro, cioè Lambic più zucchero candito durante la fermentazione, è maschile.

C’è molto da imparare, lo so. E io non smetto mai di ascoltare consigli convinta che prima o poi incontrerò la mia birra perfetta.

[immagini: berlex.com.au, wikipedia.org, wallpaper-photo.ru, johnbarrettblog]