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Home restaurant. Per legge non dovrà guadagnare più di 5.000 € l’anno

giovedì, 10 Novembre 2016 di

social eating

Buone notizie – pare – per chi gli appassionati di home restaurant: sia per coloro che ne vorrebbero aprire uno, sia per chi adora rimbalzare da un appartamento all’altro per conoscere così la cucina locale. Parliamo, secondo una ricerca di Confesercenti, di un fatturato di 7,2 milioni di euro solo nel 2014 – in Italia, ovviamente – con 7 mila cuochi e 37 mila eventi di social eating, basti pensare a Gnammo. L’incasso stimato per chi fa accomodare gli ospiti al proprio tavolo di casa è, sempre secondo le stime di Confesercenti, di 194 euro: Lombardia (16,9%), Lazio (13,3%) e Piemonte (11,8%) sono le regioni dove il fenomeno è più diffuso.

La situazione promette bene: infatti, dopo multe-non multe, parole, promesse e pochi fatti, ora (dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre) è in arrivo alla Camera un disegno di legge ad hoc (qui lo potete leggere per intero) che stabilisce le norme per quest’attività di ristorazione.

tavola famiglia

Veniamo alle “condizioni” che pone la legge, decise anche in base al confronto con gli altri Paesi europei, già approvata in Commissioni Attività Produttive: massimo 500 pasti all’anno (in media, poco più di un coperto al giorno) e 5.000 € di incasso per cuoco scongiurerebbero la “trasformazione” da attività amatoriale ad attività professionale nascosta; in ogni abitazione è solo uno il cuoco che deve cucinare… attenzione quindi a fare i furbetti mettendo ai fornelli anche il vostro partner; necessaria è poi la dichiarazione di inizio attività commerciale, cioè la Scia, per chi decide di aprire un home restaurant. Infine, il pagamento deve avvenire elettronicamente e mediante piattaforme digitali.

home restaurant

“Questa legge è un ottimo primo passo – spiega a la Repubblica Esmeralda Giampaoli, presidente nazionale Fiepet-Confesercenti – ma le regole devono essere uguali per tutti. Vedo una sorta di schizofrenia. Da un lato abbiamo norme severe, comunitarie, nazionali e locali, che disciplinano in maniera puntuale il settore della somministrazione di alimenti e bevande sulla base di un criterio di fondo: la tutela del consumatore. Dall’altro però si concede a chi pratica queste attività di non rispettare tali norme, perché non ci sono controlli. Il discrimine non è a quante persone si prepara da mangiare. Ma come lo si fa, in termini di qualità e rispetto della sicurezza igienico-sanitaria”: infatti, la legge non prevede norme e controlli di tipo igienico-sanitario. “A parte la richiesta di abitabilità – spiega il relatore Angelo Senaldi, deputato Pd – poiché si tratta di case private e attitivà che rappresentano solo una piccola integrazione al reddito, secondo il parere della Commissione non è possibile inserire controlli delle Asl. Altrimenti diventerebbero uguali a un esercizio pubblico”.

Gnammo4

Buone però le reazioni di Gnammo in questo senso: “I ristoratori stiano pure tranquilli – risponde Cristiano Rigon,  fondatore e amministratore delegato di Gnammo – siamo assolutamente favorevoli a garantire più sicurezza agli utenti e ci stiamo attrezzando per fornire la formazione ai cuochi sul protocollo Haccp, volto a evitare la contaminazione degli alimenti. Secondo noi in questa legge è stato fatto un buon lavoro per assicurare la totale trasparenza nei confronti dei consumatori e garantire un microreddito a chi non ce la fa”. Rigon evidenzia però una contraddizione nel testo: “Un punto su cui siamo meno d’accordo è l’obbligo di presentare la Scia, che snatura gli home restaurant, connotandoli come attività commerciali. Inoltre i 5mila euro annuali di proventi dovrebbero essere intesi come ‘utile’, ossia come differenza fra spesa e ricavi. Un punto che la Ragioneria generale dello Stato deve chiarire”.

home restaurant diffuso

Di parere opposto Michele Ruschioni , di “Home Restaurant Roma”, che si dichira primo in Italia a lanciare questa formula nel nostro paese nel 2014 nella sua casa romana.

“Il testo in discussione alla Camera è inquinato da logiche illiberali e si pone ideologicamente contro la sharing economy, in Parlamento devone capire che gli HomeRestaurant non sono un gioco, non sono un passatempo e possano generare quel reddito minimo per aiutare molte famiglie ad abbassare la curva dei costi fissi. Redditi sui quali – precisa Ruschioni – sarà sacrosanto pagare le giuste e doverose tasse.

Quello che invece emerge dal testo arrivato in Parlamento è un freno al lavoro e alla libera iniziativa degli italiani. Chi vuole lavorare e contribuire al benessere collettivo, erogando servizi e pagando le tasse su questi, non può farlo. Siamo di fronte a logiche medioevali che guardano al passato e affrontano la modernità con estrema paura”, spiega Ruschioni.

Contrarietà su tutti i fronti: “Siamo contrari quindi alla limitazione di coperti imposta annualmente, siamo contrari alla limitazione delle serate nelle quali le porte della propria casa possono essere aperte e siamo contrari all’obbligo di pagamento con carta di credito. In pizzeria si potrà continuare a pagare cash e a casa di Nonna Rosa invece sarà necessario il Pos”, conclude Ruschioni.

Forse poco interesserà l’altro articolo che vieta a b&b di praticare l’attività di home restaurant.

Ma siamo davvero arrivati a un punto di svolta per l’home restaurant?