mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

Il meglio del 2016, cioè i Top e i Flop dell’anno che volge al termine

venerdì, 30 Dicembre 2016 di

svinando

Pagano Trotta Scarallo Palazzo Petrucci

Un anno se ne va e noi trepidanti aspettiamo il 2017 che ci attendiamo foriero di belle e buone cose dopo quelle gustate nel 2016.

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Per scelta, Scatti di Gusto difficilmente pubblica recensioni negative. Sembrerebbe un mondo dorato, ma non lo è. Noi scegliamo e scegliendo scartiamo quello che non ci piace. Che non trova riscontro sulle nostre pagine.

Ma lo facciamo, anche quest’anno, nel ricordare che non tutto quello che va sotto la voce enogastronomia, ristoranti, chef, pizza, ricetta, panettone e tutte le parole che ogni giorno vengono ricercate sul web brilli per forza.

Abbiamo usato il meccanismo classifica Top Five tanto inviso eppure tanto seguito e cliccato nel globo virtuale.

I nostri editor, in ordine alfabetico, vi augurano un Buon Anno!

Francesco Bellofatto

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1. L’effervescenza “mitteleuropea” della pasticceria meridionale: Salvatore Gabbiano con il PanStru-del Vesuvio (mela annurca, pinoli uvetta e cannella) e Pasquale Marigliano, il vesuviano di Parigi, che l’AMPI incorona “Miglior Pasticcere dell’anno”.

2. Il Fiocco di Neve di Poppella, che vanta più tentativi d’imitazione della Settimana Enigmistica, ma nessuno è come l’originale.

3. La “Riccia” di Salvatore Capparelli: l’assoluto (ma anche quella di Marco De Vivo non scherza…).

4. L’altro Coccia, Ciro, e la sua “Fortuna” alla Duchesca: la migliore margherita a libretto a 1,50 €.

5. Maria Zampi, presidente dell’Associazione Terre del Falerno: giovane, grintosa, competente. Con passione fa conoscere nel mondo i vini del Massico.

Il mio flop. Il “cafonal” delle presentazioni di Guide, anche blasonate come quella della pizza del Gambero Rosso a Napoli: ressa ai banchi, scrocco & sbafo, libri dati a destra e a manca. Ma non agli addetti ai lavori.

Matteo Bizzarri

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1. Lo chef: Simone Nardoni. Lo Chef che più mi ha entusiasmato senza ombra di dubbio è Simone Nardoni di Essenza a Pontinia. Uno stile di cucina moderno, mai noioso e molto confortevole mi spingono a dire che si sentirà tanto parlare di lui nel 2017. Ultima conferma la cena-evento con Walter Massa, una serata da incorniciare. Senza una squadra importante però non si va lontano, complimenti quindi a tutta la giovane e preparata brigata.

2. Il piatto: lo spaghettone di Lele Usai. Nessuna esitazione, lo Spaghettone Benedetto Cavalieri con alghe acidule e cozze al cubo (sorbetto per la mantecatura, polvere e al naturale) di Lele Usai de Il Tino di Fiumicino è il miglior piatto di questo 2016. Un’esplosione di sapori in bocca che ci ha davvero colpito, tanto da ordinarne altre tre porzioni prima del dolce. Che lo chef sia un fuoriclasse nella creazione dei primi piatti non sono certamente io a scoprirlo.

3. Il ristorante da provare: Satricvm. Il ristorante di Max Cotilli e Sonia Tomaselli Satricvm a Latina è il ristorante che consiglierei a tutti di provare. Un menù con piatti ricercati e mai banali al giusto prezzo. Da sottolineare l’ospitalità. Cosa volere di più?

4. La novità: Retrobottega. La miglior nuova apertura del 2016? A Roma, Retrobottega. A un anno dall’inaugurazione, il nome del locale di Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi è sulla bocca di tutti sia per i tanto criticati calici del vino in plastica sia perché si mangia bene, davvero bene. In fin dei conti “non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se parli” –giusto?

5. La pizzeria: Gazometro 38. Capitolo pizza a Roma. In questo 2016 Pier Daniele Seu del Gazometro 38 fa miracoli con un forno non all’altezza delle sue capacità e delle farciture studiate con Dino De Bellis. Da segnalare!

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Il mio flop. Il panettone dei fornai. Cosa non mi è piaciuto in questo 2016? I tanti, troppi fornai pasticcieri o presunti tali che hanno deciso di cimentarsi nella preparazione di uno dei lievitati per eccellenza: il Panettone. Un conto è una piccola produzione, come hanno fatto tanti chef, per soddisfazione personale, un altro è ritenersi il migliore grazie a successi passati. 32€ per un Panettone secco da inzuppare nel latte? No, grazie.

Domenico Catapano

Vincenzo Onorato Finagricola

1. Una stella auspicata. La “Sala del gusto” di Così com’è (Finagricola, Battipaglia) meriterebbe almeno una stella Michelin. Fabio e Massimiliano Palo hanno saputo creare un punto di riferimento unico e speciale nel panorama enogastronomico del sud Italia: senza un preciso chef “resident” ma con tanti appuntamenti di assoluta eccellenza con ospiti selezionati e di respiro internazionale.

2. L’accoglienza, più del cibo. Ecco cosa cerco in un ristorante, specie se con un nome. E al Don Alfonso 1890 ci stai talmente bene da sentirti a casa; o comunque ospite di cari amici. La signora Iaccarino è un’abile padrona di casa, ha sempre storie da raccontare, e il sorriso di Ernesto è sincero e coinvolgente.

3. In Italia con Bottura. Massimo Bottura, che ho conosciuto più “da vicino” attraverso il suo libro “Vieni in Italia con me”, uscito a ottobre 2014. Semplicemente il migliore; profilo alto, altissimo. Grande cultura e narrazione continua, nei suoi piatti. Food experience a livelli inarrivabili.

4. Terra, ristorante veg a Caserta. Uno dei pochissimi esempi in Italia di buona cucina veg; perché la norma è trovare piccoli spazi gestiti come fast-food, spesso ai limiti della decenza in termini di apparente igiene e di accoglienza. Il contrario di ciò che dovrebbe essere e rappresentare uno stile di vita come quello veg, appunto. Ma tant’è. Terra invece è come dovrebbe essere, caldo, accogliente e si mangia un gran bene. Lucia ai fornelli è super e l’ambiente rustico ti fa sentire a casa, in allegria con la natura e con te stesso. Brave.

5. La “vita equilibrata” di Donna Hay. Sono un grande fan di Donna Hay e del mondo che è riuscita a mettere in piedi tra riviste, libri, vendita di cose più o meno utili ma che ti sembrano indispensabili. E nel 2016 mi è parso indispensabile da avere “Life in Balance”, un libro bellissimo, da collezione, con foto magnifiche. Ma anche con una sua filosofia precisa, fatta di ricerca di equilibro attraverso cibi e materie prime di qualità; una narrazione di gusto attraverso uno stile unico e impeccabile, perché il cibo si mangia anche con gli occhi.

Il mio flop. La mia personale lotta a favore di una attenzione maggiore per IL piatto tipico della mediterraneità, dell’Italia, ha subìto una battuta di arresto davvero molto forte la scorsa primavera, precisamente il 20 aprile 2016. Salumeria 13 (in pieno centro a Salerno), un’esperienza indimenticabilmente disastrosa: il peggiore piatto di spaghetti al pomodoro che abbia mai ordinato al ristorante. Tant’è vero che mi portarono dei fusilli (!!!) stracotti immersi in un mare di sugo stra-salato. Assaggiato, bestemmiato, pagato il conto e scappato via.

Daniela Ferrando

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1. Una cena memorabile: Il Faro di Capo d’Orso a Maiori. Siccome del doppio menu (cartaceo pubblico e orale segreto) di Evù a Vietri ha parlato già Vincenzo, vi dirò allora di quest’altro ristorante, caro a Viviana Varese. Una serie di spettacolari terrazze a vetrate digradanti verso il mare, Bonny Ferrara, maître splendido, e Pierfranco Ferrara chef. Vi dico solo l’inizio della cena: Alalunga leggermente grigliata con salsa agro-dolce, spuma sifonata di scamorza affumicata con pomodorini, cozze e polvere di olive nere, tartare di manzo con chips di pasta fritta allo zafferano, alicetta in tempura ripiena con ricotta di bufala.

2. Un pranzo memorabile: Tenute Plaia a Scopello. Un giardino sul mare della Sicilia Occidentale, baciato dal sole primaverile. Un resort placido, elegante, che si articola intono a una corte. Un menu di pesce dello chef Liborio Giorlando le cui porzioni, a partire dall’antipasto, sfidano la capacità di un milanese. Quantità e raffinatezza.

3. Una sorpresa memorabile: Sa Rocca a Posada. Si trova sotto la Rocca di Posada, in provincia di Nuoro, Sardegna orientale, questo ristorante dall’aria elegantina anni ’60 – e lasciatemi l’aggettivo. La sorpresa per me è stata lo sformatino di melanzane su letto di crema di pecorino allo zafferano – zafferano sardo, ovviamente. Andateci anche per il semifreddo al mirto.

4. Una svolta personale: la pizza self-made. Non avrei mai creduto di rimettermi un grembiule, io donna poco cuoca. Ma a Taste of Milano 2016 ho imparato una pizza con impasto al nero di seppia. A questo punto sono pronta per cimentarmi con le ricette di Vincenzo Capuano pubblicate in “Come si mangia l’olio”.

5. Nel cuore di un evento: Chateau Branlant a Courmayeur. Non è facile sciare con Heston Blumenthal a Courmayeur durante l’evento Gourmet Ski. Ma è fattibile, gratificante affondare il cucchiaio nella Seupa valpellinentse allo Chateau Branlant, che piace molto anche agli inglesi. Da godersi fumante dopo le fatiche alpine, altrimenti che gusto c’è?

Il mio flop. Il cattivo, non praetereundum (da non tacere): le istituzioni non collaborative. Per esempio quando mi sono trovata in viaggio stampa a San Vito Lo Capo. Il sindaco e alcuni maggiorenti non solo si sono fatti cafonamente attendere rovinando la cena a tutti e più che mai al cuoco che ha servito piatti freddi e stonati, ma anche hanno sdegnato l’opportunità di raccontarsi a un gruppo di operatori stranieri capaci di spostare molti visitatori amanti della cultura e del cibo. Che autogol.

Guido Ferraro

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1. Dal peggio al meglio: Palazzo Petrucci. Come avevo scritto lo scorso anno, il mio peggio per il 2015 era stato il mancato rinnovo del contratto di affitto del ristorante Palazzo Petrucci da parte del presidente Aurelio De Laurentiis. Ebbene oggi, con la nuova location di Posillipo, il nuovo Palazzo Petrucci con il duo Edo Trotta e Lino Scarallo rappresenta una delle migliori cose del mio 2016 – lo chef è in grande forma con la sua cucina in riva al mare di Napoli… mentre la vecchia sede al centro storico rimane desolatamente chiusa!

Mulino Caputo

2. Una nuova apertura: Lo Sfizio della Notizia. Sempre nella mia splendida città, Napoli, registriamo una nuova apertura in questo 2016, Lo Sfizio della Notizia. Il pane fragrante è accompagnato da una carta di CO2 francese selezionata da Gennaro Iorio, solo referenze d’Oltralpe, dai crémant agli champagne, uscendo dalle solite logiche commerciali. Ottimo il rapporto qualità prezzo per chi vuol bere alla grande!

3. Uno spaghetto: quello al cipollotto di Aimo e Nadia. Fra i top del mio 2016, una cena a Il Luogo di Aimo e Nadia, a Milano, luogo cult della storia gastronomica italiana, guidato ormai da Alessandro Negrini e Fabio Pisani, insieme a Stefania Moroni. Un Luogo strepitososo, di cui lo Spaghetto al cipollotto è la sintesi… e ho detto tutto!

4. Una facile profezia stellata. Ancora un top milanese: un pranzo da Antonio Guida presso il suo Seta del Mandarin di Milano. Uno chef che per me marcia dritto verso il massimo traguardo, dopo aver raggiunto le 2 stelle nel 2016. Per me è un predestinato.

5. Il Vino. La cena del 24 maggio a Montevetrano, ospiti di Silvia Imparato, splendida padrona di casa, ottima cuoca e grandiosa produttrice di vino: La Signora del Vino. Festeggiare mezzo secolo a casa sua, per me un’emozione speciale! Grazie Silvia.

Il mio flop. Il mio peggio non è un piatto o una cattiva esperienza a tavola. Piuttosto, vedere che chef bravi riconfermano risultati come la stella Michelin in posti che potrebbero ambire anche a miglioramenti ulteriori, se sostenuti dalle proprietà. E assistere invece a strani e inspiegabili cambi di rotta, vedere location bellissime orfane di uno chef stellato… un nome su tutti: quello di Domenico Iavarone, ormai ex al Capo La Gala – Maxi.

Luca Formenti

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1. Il mio anno con la guancia. Gaggiano e i giorni nebbiosi di inizio dicembre. All’Antica Osteria Magenes ho trovato grandissima coordinazione tra sala e cucina, una cantina sfiziosa, preparazioni precise che sanno coniugare tradizione e qualche spunto di ricerca. Il piatto: Guancia di maiale al cartoccio, Jack Daniel’s, cacao e patata viola, quasi un dessert, non per la tendenza dolce del piatto – ben equilibrata con acidità e voluttuosità della crema di patate – ma per l’uso dell’unica posata posta sul desco, il cucchiaio. E in extremis (il 28 dicembre) giunge la Guancia di vitello con crema di topinambur tartufato, biete rosse al forno e chips di topinambur [in foto] dell’Osteria Brunello di Milano – e come fai a non innamorartene?

2. La scoperta del(la) Virginia. Devi andare a una cena, a un pranzo, e sai già che un dolce sostanzioso e impegnativo non interessa? Il mio personale jolly è uno solo – quest’anno, più di ogni altro, sovente utilizzato – l’Amaretto Virginia della Pasticceria Giovanni Bianchi di Gallarate, una spuma eterea e “scioglievole” che mette d’accordo tutti, anche i non amanti del genere.

3. Le cantine, tra new entry e vecchie conoscenze. Partiamo da “Io bevo così,” la rassegna di vini naturali a Villa Sommi Picenardi. Un vincitore su tutti? Lammidia ed i suoi bianchi, vini divertenti, slanciati, decisamente freschi e godibili. 100% uva e basta, come recita l’etichetta. Su tutti lo Sciambagn, un po’ per il nome spiazzante, un po’ per la voglia di far festa che ogni sorso porta con sé. Un rifermentato in bottiglia da uva trebbiano, inno alla condivisione con amici durante la merenda sotto un pergolato (ma va bene anche un qualsiasi salotto meneghino). E al Mercato dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza? Costa Archi, ovvero Gabriele Succi e i suoi tre sangiovese di Romagna. Perfetta linea che collega le tre etichette, stupendo nerbo acido, territorialità; l’Assiolo vuole essere il più semplice ma non chiamatelo base, ha una sua identità e lo vedrei bene in ogni stagione, poi, salendo proporzionalmente di intensità, Monte Brullo e Gs, accattateveli, tutti.

4. Che pizza! Aspettative già alte e decisamente superate per la pasta lievitata di Alessio Arria, pizzaiolo operante all’ Agriturismo Sacre Pietre di Sortino – e basterebbe dare un occhio al suo profilo Facebook per capire che in questi mesi il ragazzo ha studiato e ne vedremo delle belle.

5. Un risotto a Roma. Sembrerebbe semplice, bianco e lindo, cotto solo con acqua e mantecato con parmigiano di collina di 36 mesi, copre un’insalatina di coda di manzo cotta 72 ore, ma c’è la gelatina di brodo di carne e peperoncino e tè nero lapsang souchong in un bicchierino a parte ed è poesia. Risotto semplicemente incantevole made by Roy Caceres da Metamorfosi a Roma.

Il mio flop. Che delusione le carte dei vini fatte senza arte né parte, senza un minimo di selezione, magari da osti astemi. Succede ancora e mi piacerebbe trovarne sempre di meno. Niente nomi, ma ve ne saranno già venuti in mente alcuni, nel frattempo.

Marco Lupi

1. Uno chef stellato: Antonino Cannavacciuolo. La cena al ristorante di Villa Crespi dell’Antonino nazionale è stata un bel regalo-sorpresa: affascinante il contesto della Villa per l’eleganza architettonica, veramente “personaggio” Cannavacciuolo, il bello della notorietà televisiva, come non sempre accade, lo ritrovi anche di persona, un uomo vero, simpatico, verace ma famigliare (pacca inclusa, anzi doppia). E come non ricordare la tagliatella con bottarga, dolce e sapida nella sua semplicità; la sorprendente guancia che si scioglie in bocca; il baccalà dalle carni sode…

2. Uno chef non stellato: Andrea Alfieri. Come lui stesso ama rimarcare, Andrea non ha stelle. Ma siamo comunque a un livello alto – e non solo perché oltre al Chiostro di Andrea, dietro al Palazzo di Giustizia a Milano, cucina anche in montagna, al ristorante dell’Alpen Suite a Madonna di Campiglio. Ma si è anche reso disponibile per un’iniziativa di beneficenza per i 50 anni del Liceo Einstein di Milano, ed è risultato fin dai primi contatti una persona semplice, affabile, e senza peli sulla lingua. La sua cucina è eclettica e creativa, come il suo cannolo di uva fragola e tartara e ‘nutella’, o gli spaghettoni con cenere di cipolle e crema di nocciole.

3. Un vino: il Profasio 2012. Massimago è una piccola-media azienda veneta della Valpolicella. Questo suo vino, un Valpolicella Superiore DOC, presentato da un giovanissimo ed entusiasta Matteo, ha sorpassato qualsiasi mia aspettativa: un assemblaggio di Corvina (65%) e Corvinone (30%) e un pizzico di Rondinella (5%), uve che subiscono un leggero appassimento di 30 gg e una macerazione a freddo di 4 giorni, per poi finire in botte di rovere per 12 mesi: ben equilibrato, importante, con carattere dagli aromi di frutta rossa (purtroppo gustato tra gli stand del Vinitaly e non attorno ad una tavola imbandita). Alla fine lo giudico migliore sia del loro Ripasso (mio grande preferito) sia dell’Amarone.

4. Una donna: Annalisa Zorzettig. Figlia del fondatore, e oggi alla guida dell’omonima azienda, imprenditrice e donna elegante, ti accoglie come un amico, con un caldo abbraccio e un sorriso gentile. I suoi vini (friulani di Cividale) sono i classici di queste zone, ma l’essenza della ‘donna’ si esprime nella sua umanità: il Ninin è un vino di famiglia (oggi diremmo ‘Edizione Limitata’) per la nascita della nipotina. Una cordialità sincera, una disponibilità che ti sorprende.

5. Un panino, anzi tre: quelli di Bertelli. La genuinità è una caratteristica dei panini di Bertelli, una vecchia macelleria di San Gimignano che si contraddistingue per la semplicità della proposta: solo salame toscano, solo pecorino. o salame + pecorino, in un’atmosfera casalinga (tre tavolini di numero) in un’improbabile strada dell’affollata città delle cento torri. Tanti turisti, ma: “L’inglese? perché?” dice lui, il Bertelli, pur ammettendo che la moglie insegna inglese e quindi lui potrebbe benissimo parlarlo. Prezzi fissi (‘anche mangiando seduti’, dice l’insegna).

Il mio flopZio Nino. Intendiamoci: parlo di quello “falso”, non dell’apprezzata ed economica pescheria-ristorante di pesce in viale Monza a Milano. Ampliatasi a poche decine di metri, diventata di proprietà cinese, del vecchio Zio Nino rimane solo il nome: lo si vede o meglio lo si sente al gusto. Senza togliere nulla alla cucina cinese, che amo e cucino, questo è l’ennesimo ‘falso’: hanno acquistato il locale. ma hanno mantenuto solo le mura. La differenza si sente nella qualità delle materie prime (qui il pezzo forte erano i crudi). Ma da qualche mese, se cercate ancora il “vecchio” Zio Nino, quello originale, basta tornare nella vecchia sede: i “Tre Marinai” e Nino sono tornati lì ad aspettarvi.

Valentina Lupia

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1. La Lettonia. Nel 2015 una cena in ambasciata aveva rapito il mio palato. Poi, in Lettonia ci sono stata. E ho visitato Riga, la capitale. Mi sono immersa nella bellezza di rigogliose foreste, ho conosciuto gli abitanti della provincia, ho provato sport estremi e sono entrata in castelli medievali. Ho fatto esperienze d’ogni tipo e visto panorami mozzafiato. Ma, soprattutto, ho mangiato: è una cucina sana, che ha riscoperto la purezza del foraging. Ma i suoi piatti sono anche belli, oltre che buoni. La regione del Gauja, che comprende Riga, sarà tra le regioni europee della gastronomia. E qui vi do dieci buoni motivi per visitare la Lettonia.

2. La cena al bancone da Tordomatto. Certo, ero la quinta persona. E con me c’erano due coppie. Ma anche così ho potuto apprezzare ogni minima sfaccettatura di una delle ultime cene al bancone di Adriano Baldassarre, nel suo ristorante in Prati. Che, certo, non chiude mica. Ma rinnova la cucina, e il destino del bancone è ancora incerto. Ci sarà? Sembra di sì, ma non si sa in che posizione. Intanto essere serviti da lui è stato emozionante. Uno degli chef per me candidato nei prossimi anni ad essere insignito della stella Michelin.

3. Il sushi di Federica Ferranti da Settemari. Giovane e umbra, il suo sushi fusion è delizioso. Brillante, freschissimo, un’esplosione di sapori in bocca. D’altronde questo è il posto per dare giudizi free, giusto? Ecco. Per me è stata una scoperta: zucchine, cetrioli, mela, anguilla e altre specialità italiane finiscono su polpette di riso e non solo. Chi non ama il sushi può mangiare, almeno fino alla fine dell’inverno, le specialità di Libera Iovine. Non ditemi che non avete anche voi quell’amico che odia il sushi (e non sa cosa si perde).

4. Il panino con l’allesso di scottona. Lo street food è pur sempre lo street food. Succulento, tradizionale, unto quanto basta. Il mio preferito è Da Sergio, al box di Testaccio. Ma sul web lo trovate col nome di “Mordi e vai”. Suo figlio ha aperto anche in zona Appia Nuova: i prodotti, promettono, sono gli stessi. Secondo me il miglior street food di Roma.

5. La carbonara – e che carbonara! Sarò ripetitiva. Ma da romana, uno dei miei “meglio” del 2016 continua a essere la carbonara. Quando posso la faccio a casa, agli amici e ai parenti. E uso la ricetta di Alba Esteve Ruiz. Che tanto piace ai miei ospiti.

Il mio peggio. Il babà di Francesco Apreda al Taste of Roma. Memore della sua sfera di mozzarella con frutti di bosco dell’anno prima, anche nel 2016 mi aspettano un dolce grandioso. Invece il babà era di un colore poco invitante, completamente intriso nell’alcol. Ho dovuto mangiare di nuovo salato per far andare via il saporaccio che aveva lasciato. Sicura di aver preso il babà “sbagliato”, magari l’unico a non essere stato buono, ripongo nuovamente le speranze per l’anno prossimo. In attesa di un altro dolce come quello del 2015.

Ornella Mirelli

pasta-fresca-pugliese

1. I cestini di Anna Prandoni (un nome, una garanzia). Lavorate a Milano ma vivete nell’hinterland? Siete pendolari e dunque non avete mai il tempo di far la spesa e cucinare? Niente panico. Potete decidere ogni giorno cosa mangiare scegliendo e prenotando online tra i piatti del giorno. I ragazzi di cestini.it vi porteranno i cibi già  pronti direttamente alla stazione mentre state per tornare a casa. La trovo un’idea strepitosa e utilissima. E voi?

2. Il PanB alle Torri Bianche di Vimercate. Nato a Giugno 2016, il fantastico panino ideato da Adriano Continisio dopo ore e ore di lievitazione naturale cuoce davanti ai vostri occhi sotto una campana di vetro, sfruttando la magia del vapore. Una volta cotto il panino, non vi resterà che scegliere tra le tante possibili farciture, con ingredienti di prima qualità selezionati e preparati dalle manine sante di Paoletta Sersante. Chi è in zona non si lasci sfuggire l’occasione di assaporare una vera novità.

3. Il gelato al limone di Federica Simoni. Lo so, la ricetta è del 2009, ma l’ho provata solo quest’anno scoprendo che è di una semplicità disarmante. Il risultato è un ottimo gelato casalingo, buono quanto il migliore tra gli artigianali e per di più pronto in meno di 30 minuti. Lodi, lodi, lodi alle brave foodblogger!

4. La mortadella Galliani. Forse arrivo ultima perché la conoscete già in tanti, però io l’ho scoperta solo ora grazie al regalo di un’amica bolognese. E’ un prodotto artigianale di altissima qualità al tartufo nero di Norcia (quello vero!), prodotta a Bologna da Artigianquality. Il segreto di questa azienda?  “Le nostre mortadelle sono un orgoglio di famiglia, perchè sono il frutto di una lunga sapienza artigianale e della ricetta messa a punto da Silvio Scapin, che rispetta i canoni di una corretta alimentazione. Essa si basa su una filiera corta, materie prime di altissima qualità, carni biologiche certificate, lavorazione interamente artigianale a cottura lenta, senza l’utilizzo né di logiche né di macchinari industriali.” Scusate se è poco.

5. Il mio budino al cioccolato. Perdonate l’autocitazione, ma questa è davvero una ricetta che ha del miracoloso. Nato per caso, con soli tre ingredienti (senza burro, uova, zucchero o colla di pesce e men che meno, agar-agar) il budino, gluten free, è pronto in cinque – e dico cinque – minuti. Provatelo e ditemi se non è una figata pazzesca, degna della mia classifica 2016.

Il mio flop. Tra le cose peggiori, invece, viste nella blogosfera non posso non menzionare una ricetta di tradizione tarantina, la Pasta con le cozze alla tarantina, proposta come antica ricetta tradizionale, ma che di tipico ha solamente le cozze. Ne ho parlato diffusamente qui e qui. Dunque, se siete curiosi di conoscere fatto, antefatto e conclusioni, cliccate sui link. Scoprirete che non tutto il male viene per nuocere, anzi. #sosoddisfazioni

Giulia Nekorkina

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1. Il locale che mi ha entusiasmato di più è Brylla, Ristorante Wine Bar di recente apertura a Roma, nel quartiere Coppedè, che “leva la sete, placa la fame”. La cosa più bella è che grazie al sistema Coravin, che consente di conservare perfettamente integri i vini anche dopo l’inizio della bottiglia, adottato in questo locale, è possibile degustare tutte le 200 etichette. Non manca una discreta proposta gastronomia, tra taglieri, tapas e piatti preparati nel forno Josper.

2. Il piatto più buono è indubbiamente quello di spaghetti alla carbonara di ricci di mare, assaggiato ad Otranto, in Puglia, in un ristorante L’Altro Baffo. Niente uova però, ma solo ricci freschi frullati con un po’ di olio e l’acqua di cottura. Da leccarsi i baffi.

3. Parliamo di cose strane, almeno per me, ovvero, di dolci. Una volta sono capitata al hotel Sofitel, vicino a Villa Borghese, all’ora del tè, e mi hanno servito una selezione di mini pasticceria davvero notevole: panna cotta, madeleine, financier, guscio di cioccolato con la crema e, infine, una piccola cheesecake con castagne e crema di pistacchi, divina.

4. Lo chef dell’anno per me è quello che mi ha fatto divertire di più, Adriano Baldassarre, patron geniale e logorroico de Il Tordomatto, locale elegante ed accogliente, dove sentirsi a proprio agio. Adoro il contrasto tra l’ambiente soft color tortora e la frizzantezza di Adriano, con chi poter parlare di qualunque cosa fino a notte fonda, senza trascurare la parte gastronomica, of course. Sfiziosissime le polpette di coda alla vaccinata con sedano croccante, deliziosa l’insalata di coniglio alla cacciatora.

5. Ora parliamo del bere. Visto che da un po’ di tempo Gin Tonic impazza sulle nostre tavole, dall’aperitivo fino al dopocena, passando per l’accompagnamento decisamente gradevole del pasto, assaggio spesso versioni più o meno insolite. Il cocktail che mi è piaciuta di più, è con il Gin canadese Ungava, a base di 6 piante aromatiche selvatiche dell’Artica, bevuto da Incannucciata, ristorante a Fiumicino rinnovato di recente, di cui vi parlerò molto presto.

Il mio flop. Ahimè, non poteva mancare. Si tratta di una cena disastrosa al ristorante di uno dei migliori hotel di Bari, Terrazza Murat. Per iniziare mi avevano servito quello che doveva essere un piatto di orecchiette con cime di rapa: innacquato, con i tronchi invece delle cimette, poco saporito e, per finire, con i crostini di pane sopra. Immagino, per inzupparli. Rimando indietro il piatto e chiedo una burrata. Cosa semplice, non cucinata, eh! Il formaggio arriva freddissimo, dal frigorifero, non riesco a sentire il suo sapore. Non ho chiesto più niente, temevo il peggio. Delusione totale. Per fortuna è stata un’eccezione, in Puglia sono sempre stata benissimo, e ci tornerò presto, nel nuovo anno!

Camilla Rocca

FDavide Del Duca

1.Tre ristoranti. Il pranzo dell’anno è stato all’Osteria Fernanda a Roma, sei ore e non sentirle: lo spaghetto con melanzana bruciata, gamberi rossi e pistacchi di Davide Del Duca rimarrà sempre scolpito nel mio cuore (e nel mio stomaco). La cena dell’anno invece è stata con Anthony Genovese al Pagliaccio, impeccabile e sempre sorprendente. Un classico per non sbagliare mai: spaghetti di grano arso, ricci e lumachine di mare. La scoperta dell’anno invece è il ristorante 21.9 di Flavio Costa, visitato qualche mese prima dell’arrivo della stella: con il sommelier Igor Vendemia, oltre a scherzare sul suo cognome da predestinato, si parlava proprio di questo. Aggiungo per buona misura uno chef: Errico Recanati di Andreina a Loreto, nelle Marche, con la splendida moglie e sommelier Ramona Ragaini.

2. Tre piatti. I tortelli con pollo di Etrelli, porcini e santoreggia da Casin del Gamba sull’Altissimo in provincia di Vicenza, chef Antonio Del Lago; la perla Nera de La Vecchia Malcesine dello chef Leandro Luppi sul lago di Garda; i paccheri alla Viareggina di Da Romano a Viareggio, chef Franca Checchi.

3. Il dolce: il meno anticonformista è sicuramente quello, inaspettatamente buono per un’amante del dolce, di Luigi Taglienti del Lume di Milano: sanguinaccio di pesce, con le carcasse di tonno, acciughe e palamita.

4. Tre luoghi da sogno. Il Resort di Antonello Colonna a Labico, una mostra d’arte contemporanea e camere di ultima tecnologia nella campagna romana; l’agriturismo La Florida e il ristorante La Presef al suo interno: ottima cucina di Gianni Tarabini e Franco Aliberti, albergo a tutto legno con splendida spa in mezzo alla Valtellina, con spaccio di prodotti tipici e fattoria; la Casa degli Spiriti a Costermano (Vr) per una vista che domina tutto il lago di Garda.

5. Tre luoghi dedicati a Bacco. Anche qui tre: lo splendido wine resort Casino di Caccia a Custoza, antico casino di caccia dei nobili veronesi del 1700; Feudi di Butera, la residenza dei nobili siciliani ora adibita a cantina per Zonin; Enoteca La Torre all’interno di Villa Letizia a Roma, una sala che si muove con l’eleganza di una sfilata di moda, all’interno di una villa storica tra il barocco e il liberty.

Il mio flop. La cena negativa all’Atelier Yves Mattagne di Bruxelles: non buono quanto bello. Piatti molto scontati e dal sapore dubbio. Servizio molto lento. Se per dolce mi lasciavano un pezzetto di cioccolato belga facevano molta più bella figura.

Claudia Rossoni

1. Il mio lato salutista mi fa venire in mente tre nuove aperture che quest’anno hanno conquistato il mio cuore. Per prima la nascita di un laboratorio di produzione di formaggi alternativi , anzi di Fromagette, nato dal cuore e dall’estro di Giulia Dentice 23enne illuminata e curiosa. Sto parlando di Dall’Albero luogo in cui si produce latte vegetale , in gran parte derivato da anacardi, dal quale si effettuano diversi tipi di caseificazione. Le formagette hanno consistenza che ricorda un formaggio francese a pasta morbida, con un caratteristico odore persistente.Poi ci sono gli spalmabili aromatizzati ad erbe varie, e lo Yonut, simile allo yogurt . Il Laboratorio tra nuove ricette e corsi è in continuo divenire e promette per il prossimo anno molte novità.

2. Secondo nuovo nato nel 2016, per l’esattezza quest’estate, è  Estratto. Piccolo locale sito nel cuore del Villaggio Olimpico che sta raccogliendo grandi consensi e che sta dando speranza di una rinascitaal quartiere.   La sua attività verte su  estratti di frutta e verdura, colazioni, insalate e piatti per pranzo, ma anche aperitivi, tutto rigorosamente bio. Il locale è piccino, ma con le giornate di sole che la nostra città ci regala, è assai piacevole mangiare a uno dei tavolini offerti su Piazza Grecia.

3. Altro grande regalo è stato CBO pizzeria biologica aperta da giovanissimi talentuosi appassionati del cibo naturale. La loro filosofia si fonda sull’uso  di  farine selezionate biologiche (non solo frumento), prodotti di stagione e lievito naturale prodotto in proprio e lievitato per 72 ore. Sono all’interno del mercato Parioli, potete ordinare e consumare sul posto oppure farvi fare la consegna a casa.

4. La location perfetta la vince i  Casali del Pino, azienda agricola biologica che utilizza una struttura da fattoria vera ma con restyling molto fashion. E non è un caso poiché il progetto nasce, anni fa, dalla mente di Ilaria Venturi Fendi (il cognome vi dice qualcosa ?), che ama definirsi “Un’imprenditrice agricola con l’hobby del riuso”. Oltre al posto fantastico alle porte di Roma, si può mangiare a pranzo e cena ed in particolare consiglio il pranzo della domenica con un menù fisso gusto e molto conveniente. La tenuta offre anche delle camere e degli spazi per eventi.

5. L’oscar al ripescaggio di un locale da cui mancavo dagli anni 90 (ma che non tradisce mai) va a Bishoku kobo gestito da Aiuchi-san. Altresì conosciuto come la Trattoria Giapponese, si trova a Ostiense accanto al museo Centrale Montemartini. Locale molto basico nel quale si vede piroettare dalla cucina ai tavoli il patron Aiuchi-san, one man show che ci ha proposto un ottimo Sukiyaki. Il bello di questo locale è che propone dell’ottimo sushi ma anche della fantastica cucina giapponese cotta. Sul menù troverete grande varietà , anche il tanto di moda ramen. Non mi fate i pignoli pero’, il locale è un po’ fermo nel tempo.

Il mio peggio. La nevrosi finta salutista di virare verso una alimentazione vegetal/vegana senza nemmeno sapere di cosa siano fatti seitan o tofu. E poi… parliamone: perché tutto questo accanimento nei confronti dei canditi del panettone ?

Giulia Ubaldi

Maurizio Terra Donata

1. Il Franciacorta di Maurizio e di sua mamma Donata, dell’Azienda Agricola Terra Donata; un metodo classico antiberlucchi davvero commovente ad Erbusco, in provincia di Brescia.

2. I prodotti di Noris Cunaccia e della sua azienda Primitivizia in Val Rendena, Trentino: dal luppolo al mugolio, impossibile racchiuderli in poche parole perchè esperienza di vita.

3. Il ristorante di Luca Gardini e dei fratelli Marcello e Gianluca Leoni, numeri uno nel modellare il pesce fresco dell’Adriatico e, ovviamente, nell’adattarlo ai vini come, per rimanere in zona, il romagnolo vino pop degli Ottaviani.

4. Il riso Baraggia e Vercellese Sant’Andrea Dop della famiglia Goio, a Rovasenda, semplicemente unico come loro.

5. E infine ma non per importanza l’esperienza con la grappa dalla famiglia Poli, un esempio sotto tanti punti di vista.

Il  mio flop. L’esperienza negativa? Torretta di Asola, di nome e di fatto.

Emanuele Bonati

davide-oltolini

1. Gli amici. La prima cosa che mi viene in mente del 2016 sono gli amici. “Amici” è una parola generica, comprende diverse gradazioni di intimità: quelli che incroci su Facebook, a volte nella vita reale, quelli con cui condividi vita, cene, emozioni, gli chef (amici più alla lontana) come i compagni di scuola e d’ufficio. “Amici”, con le stesse sfumature di intensità, erano quelli che ci hanno lasciato quest’anno: per una frequentazione più lunga e personale, per quanto occasionale, come Davide Oltolini, per qualche battuta sporadica, e per qualche piatto, come Beniamino Nespor, o Matteo Mevio, o ancora in modo molto indiretto, come Giacomo Tachis o Lino Felluga, con i quali l’amicizia è tutta contenuta all’interno di qualche bottiglia che a loro deve qualcosa. Non posso che ringraziarli, per esserci stati.

2. Le pizze. Mai come quest’anno la mia tavola è stata spesso apparecchiata in una pizzeria: tra nuove aperture, e nuove pizze, ho avuto nel piatto abbastanza materiale per fare una classifica di non dico 25, ma di 40, 50 pizzerie. Con sorprese piacevoli come Berberè, Pandemonium, Pizzità.

3. I luoghi. Mi è capitato di essere ospite di alcune strutture che si occupano di ospitalità, di produzioni agricole, di ristorazione: e in tutte ho ritrovato l’amore per la terra, per i suoi prodotti, ma anche per il cliente e il suo benessere. Villa Necchi alla Portalupa con il suo chef Antonio Danise, Villa Sparina con le sue cantine nel cuore del Gavi, il Grand Hotel Fasano con lo chef Matteo Felter, La Florida con il ristorante stellato La Presef di Gianni Tarabini e Franco Aliberti.

4. Gli chef. Quelli che ti fanno vivere coi loro piatti esperienze ed emozioni. Quest’anno, in particolare, Misha Sukyas, con Puzzle e La Cave; ancora Diego Rossi con Trippa; Marco Sacco al Piccolo Lago; ed Eugenio Roncoroni: ho provato finalmente Al Mercato dalla parte del ristorante, anziché degli hamburger. Emozioni diverse, ma intense. Gioia.

5. I lettori. Anzi, più precisamente, i lettori “parlanti”, quelli che commentano i nostri articoli, e segnatamente i miei. Che a volte mi viene il sospetto siano prezzolati dalla concorrenza (come peraltro loro sono convinti che basti un invito a cena per pagarmi un post su Scatti) – ma che comunque brillano per esserci e per trovare sempre un lato del tuo scritto che non avevi considerato: dalla ricetta che per quanto semplificata non tutti possono riprodurre a casa (per questo ci sono i ristoranti; e comunque c’è anche a chi piace stare ore a veder bollire una pentola), alla classifica che comprende qualsiasi cosa possa chiamarsi pizza anziché limitarsi alle pizze napoletane fatte da pizzaioli napoletani da almeno sei generazioni, che se stanno a Milano tornano a casa a rinfrescare la loro napoletanità almeno ogni due settimane, alle mie obiezioni a gusti o preparazioni vissute come offese personali da scontare all’alba dietro al convento delle carmelitane a colpi di baguette.

Il mio flop. Ecco: qualche cena è risultata meno riuscita delle altre – o, meglio, senza un senso particolare. Mi è capitato da Blu Blu Blu, ristorante di pesce, invitato a una cena in cui lo chef ci ha proposto alcuni piatti (discreti) solo per il gusto di farlo, senza cioè che entrassero poi in carta. O al Mudec Bistrot: il fatto di essere nato sotto l’egida di Enrico Bartolini, all’interno di un nuovo museo, mi ha creato probabilmente aspettative eccessive, e se ho trovato anonimo il locale, così come la cucina.

Vincenzo Pagano

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1. La cena dell’anno. Uno dei luoghi del cuore: il Papavero a Eboli. Pochi e semplici piatti curati in una sera d’estate con la consueta cortesia da uno staff alla mano e discreto. E la compagnia di una formidabile bottiglia di Fiano di Ciro Picariello del 2007 ante restyling. Indimenticabile.

2. Il pranzo dell’anno. Le 25 portate per i 25 anni di carriera di Gennaro Esposito e della Torre del Saracino. Una galoppata unica nei sapori della Campania più autentica sul terrazzino che guarda a mare.

3. L’evento dell’anno. Sarò autoreferenziale al massimo, ma non troppo. È stato un evento la possibilità di intervistare e di conoscere di persona Sergio Lovrinovich, il Direttore della Guida Michelin che mi ha dedicato il tempo (lungo) necessario per spiegare ai lettori di Scatti di Gusto i meccanismi della celebre Rossa. Per il nostro sito è il riconoscimento di un lavoro di qualità che è il nostro obiettivo da conquistare ogni giorno. E che a volte ci penalizza sulla metrica quantitativa degli accessi e dei like, ma non si può avere tutto. L’intervista è una stellina che ci appuntiamo con orgoglio sul petto.

4. La previsione migliore. A luglio la cucina di Luigi Salomone mi colpisce dopo la prima positiva impressione appena arrivato. Il titolo lascia poco spazio ai dubbi. È stella Michelin a novembre. Devo andarci più cauto con Bistrot 64 che frequento molto di più, ma Kotaro Noda mi sembra sempre più performante. Mi sbilancio a pochi giorni dalla presentazione della guida. È stella Michelin anche lui.

5. Lo chef dell’anno. Una lotta tra titani. Massimo Bottura, n. 1 alla 50 Best e in vetta in tutte le guide con il progetto Refettorio viaggia ad altezze siderali. Ma provo a guardare avanti e dico Enrico Bartolini, strepitoso giocatore che cala un poker di stelle Michelin con una stella conquistata al Casual di Bergamo, due al Mudec di Milano e una alla Trattoria all’Andana a Castiglione della Pescaia. Un grande Slam che ci consegna la dimensione di uno chef imprenditore che non abbonda nelle terre italiche.

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Il mio peggio. Come può crollare una certezza: 13 Cucina e Vini è uno spin off di Casa del Nonno 13, stella Michelin a Mercato San Severino. Siamo a Salerno, zona centrale a due passi da uno dei palcoscenici principali delle osannate (e vituperate) Luci d’Artista. La formula del pranzo è quella che aveva convinto 3 anni fa. 13 €, due portate e dolce (oppure frutta) con bottiglia d’acqua e calice di vino. Risultato? Pasta scotta – in teoria un fusillo cilentano – con un improbabile sugo di pesce e una rachitica bistecchina di maiale bruciacchiata. Tiramisù fessacchiotto e ghiacciato. Il tramonto di una stella, checché riflessa.

 

Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.