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Napoli. Social eating a tutto pesce A casa di Amici a Posillipo

venerdì, 21 Aprile 2017 di

Ogni gruppo di amici che si rispetti consta di uno-barra-due màrtiri che nei momenti organizzativi più critici s’immolano per tutti, mettendo a disposizione casa e cucina per celebrare la qualsivoglia, spesso anche impiegando risorse e competenze culinarie.

Pochi gruppi di amici, però, constano di màrtiri di questo genere che hanno una casa a Posillipo, con la terrazza a sfioro sul mare e con vista Golfo di Napoli in ultra HD.

E’ il caso dei fratelli Giorgia e Andrea de Franciscis, che dopo anni di cene e pranzi, insieme all’amico di sempre, Vincenzo Ostuni, hanno deciso di allargare il cerchio della felicità proponendo un social eating più unico che raro.

La formula è semplice, ma non è accessibile come vale per un ristorante comune. Il social eating, infatti, si basa proprio sul concetto di occasionalità e vi si accede principalmente attraverso il passaparola.

Comunque, una volta entrati nel circuito di A Casa di Amici, comincerete a ricevere dei messaggini da quando il sole comincia a scaldare il cucuzzolo del Vesuvio fino agli inizi di Novembre.

Che sia pranzo o che sia cena si arriva ad un massimo di 20 coperti, e la proposta è sempre la medesima: menù fisso a base di pesce e barchetta per il transfer andata e ritorno da Via Caracciolo (altezza Largo Sermoneta) alla terrazza.

Il tutto ad un prezzo che varia tra i 50 e i 70 € a seconda del pescato proposto (vini esclusi).

Il percorso formativo e la storia lavorativa di questi ragazzi è lontana più che mai dalle cucine professionali, variegata e multiforme allo stesso tempo. Tuttavia lo sforzo di mantenere una dimensione conviviale, che rispecchia in pieno lo spirito del social eating, ha reso la mia esperienza complessiva più che positiva.

Vincenzo ha sempre pescato, sia per passione sia per professione. Procaccia personalmente il pesce che verrà servito e sfiletta il tonno più come un maestro di sushi che come uno chef.

Andrea fa il fotografo e ha passato diversi anni in India, dove ha appreso l’arte del saper usare tante spezie ma con giudizio (precisazione non banale). Il duetto si muove tra i banchi di preparazione outdoor con grande sintonia e distensione, complici, oltre agli anni di amicizia e banchetti, anche le nottate passate a provare affumicature e a concordare impiattamenti.

Giorgia gestisce la sala, accoglie e intrattiene gli ospiti da vera matrona della domus posillipina, presentando minuziosamente ogni portata.

Stefano Sannino è sommelier, ma oltre a selezionare vini congruenti al menù, si occupa anche delle questioni normative relative ai loro convivi, che meriterebbero un articolo a sé.

Maria Tavernini, che è addetta alla preparazione dei dolci, completa il team.

Il menù propostomi (60 €, vino escluso) è alla portata dell’odore di salsedine che avvolge l’aria. Peccato per il poco sole.

Tre antipasti. Crudo di seppia con sale alle spezie e lime. Affumicati di salmone, cefalo e alici con panna acida e tartare di avocado e olive nere. Crudo di palamita agli agrumi e tartare di spigola con salsa di mela e zenzero.

Manipolazioni essenziali, accostamenti equilibrati e poco invasivi, nonostante la presenza di ingredienti dal sapore importante, come il caviale di curcuma lime che accompagna le alici affumicate o la panna acida che va a sgrassare il salmone.

Sebbene sia un estimatore del cefalo affumicato, lo scettro del miglior antipasto va alla spigola e la palamita. Il quid che mi ha persuaso è l’uso azzeccato dei due sali, nero (per la spigola) e rosso (per la palamita).

Il primo piatto è un pacchero alla ricciola con datterini. Cottura un po’ meno che al dente, per me, come Dio comanda. La ricciola da sé fa per trentatré.

Il secondo è immediato: tonno al sesamo scottato con riduzione di soia, cipolle caramellate, pomodorini confit e rucola coltivata sul terrazzamento affianco al mio tavolo. Nessuna grande elaborazione, ma anche qui la qualità del tonno è inestimabile.

Si chiude con pastiera e caffè, per non dimenticare dove e in che periodo dell’anno ci troviamo.

Non è la mia prima esperienza di social eating, ma sicuramente al momento è stata la migliore.

Intrattenendo una lunga chiacchierata con Stefano, sul vuoto legislativo in cui si trovano in attesa di una regolamentazione che non li tagli fuori dal mercato, mi sono chiesto se e come la sharing economy può radicalmente influenzare il mondo della cucina e devo dire che quest’esperienza mi ha fatto riflettere.

Insomma, ad essere obiettivi, se togliamo l’incommensurabile bellezza della location, sono gli ingredienti il vero asset che qui alzano l’asticella del rapporto qualità-prezzo.

Che non siamo di fronte a chef e ristoratori professionisti è pacifico, ma questo rende il rispetto estremo per gli ingredienti impiegati un valore aggiunto ancora meno scontato.

L’utilizzo è condizionato alla conoscenza e la conoscenza alla ricerca, ma qui non c’è la necessità di una ricerca bulimica, di una caccia all’ingrediente più impensabile o della cottura più complessa, come d’obbligo nella ristorazione d’avanguardia. Questa pacatezza, unita all’accuratezza delle portate e alla scelta dei prodotti, ha minimizzato il costo dell’amatorialità, che anzi si è trasformato in un beneficio.

A casa di Amici è la prova che un uso consapevole, ricercato e di qualità è possibile anche in un ambito non professionale, proprio come succede a casa di un amico che ama cucinare e condividere con gli altri.

E a chi è che non piace andare a mangiare da quel povero màrtire?

[Francesco Simone Lucidi]