mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

Pizza. La storia della vera pizzeria Da Michele in un libro tutto da gustare

mercoledì, 26 Aprile 2017 di

Persino noi che da Napoli siamo distanti millemila km sappiamo chi è, o che cos’è, l’Antica Pizzeria da Michele dal 1870. Ma siamo distanti solo fisicamente – saranno 800 km, sette-otto ore in auto, o quattro ore e rotti di treno. In realtà, abbiamo una serie di voci, leggende, polemiche, ma soprattutto di notizie, da quei fortunati che hanno avuto la fortuna di soggiornare a Napoli, e nella fortuna la fortuna di riuscire a mangiare Da Michele.

Fortuna perché corre voce che di fronte al locale, per occupare uno della quarantina di posti disponibili, ci siano code chilometriche.

Bene: per tutto quello che non sappiamo ancora, o che non sappiamo bene, o che vogliamo sapere, ora, finalmente, c’è un libro su Michele Condurro, la sua storia, e la sua pizzeria.

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Lo ha scritto una di famiglia: Laura Condurro,  quinta generazione. L’antica Pizzeria da Michele, Dal 1870 la Pizza di Napoli (Prefazione di Tommaso Esposito; Alessandro Polidoro Editore, 132 pp., 12€), in uscita in questi giorni, presentato a Napoli il 27 aprile.

Noi abbiamo potuto scorrerlo in anteprima, e possiamo anticiparvi qualcosa.

I capitoli sono tre, anzi quattro: il primo dedicato alla storia della famiglia e della pizzeria, il secondo che descrive il presente dell’azienda fra tradizione e innovazione, e il terzo che si occupa dei fornitori della pizzeria. Il quarto, meno narrativo, è un’indagine statistica sui clienti della pizzeria, condotta proprio sul campo.

Mi piace molto l’idea di un capitolo dedicato ai fornitori. Che poi si intitola Famiglia di famiglie, ed esprime perfettamente la filosofia aziendale: una famiglia che si occupa della pizzeria, e che sceglie i propri collaboratori, i fornitori, anche in base a criteri diciamo di affinità. Anche chi procura gli ingredienti della loro pizza – che poi sono farina, pomodoro, mozzarella – conserva nell’azienda la stessa natura “familiare.”

Così il Mulino Caputo è guidato da Antimo Caputo, discendente di quei due fratelli emigrati in America nell’800 in cerca di fortuna, e rientrati per sposare le loro fidanzate. Sono loro che hanno iniziato l’attività del Mulino, fondando una delle poche imprese di successo internazionale a produrre il proprio prodotto a Napoli, nel territorio campano, e che è caratterizzata da tradizione e innovazione, esperienza, qualità delle materie prime, e dal cosiddetto “mulino lungo”, ovvero da una molitura particolarmente lenta, che non danneggia i cereali e quindi la farina.

Un discorso simile si può fare per l’azienda che fornisce (da ottant’anni) il fior di latte, la Fior d’Agerola di Gennaro Fusco. Nata nel 1840, produceva provolone e fior di latte. Un altro prodotto destinato al popolo, il fior di latte – che oggi viene lavorato “latte su latte”, con latte crudo, per assicurare una migliore qualità (un consiglio di Fusco: “Se sulla pizza il fior di latte non fila ma si spezza, vuol dire che non è fresco”).

I Pomodori Solea sono anche loro “di famiglia”: la famiglia Fortunato, che sta a Santa Maria la Carità, vicino a Gragnano produce solo pomodori dal 1974, nell’azienda che è anche la loro casa. Usano macchinari di oltre trent’anni fa, per non stressare troppo i loro pomodori durante la lavorazione – e , anche qui, amore e passione. La Ditta Fratelli Masturzo infine fornisce l’olio. Un’altra azienda familiare che nasce nella seconda metà dell’Ottocento, come caseificio, e che dalla fine del secolo scorso si occupa di olio. Con passione, inutile dirlo – Antonino Masturzo sostiene che “il San valentino lo festeggio prima per il mio lavoro e poi per gli affetti familiari.”

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Ma torniamo alla pizzeria. Cosa sappiamo? Che Da Michele è stata fondata nel 1870; che fa solo due pizze, marinara e margherita; che fino a poco tempo fa l’unica sede era in via Cesare Sersale. E che la pizzeria in cui Julia Roberts mangia appunto una pizza nel film Mangia, Prega, Ama è proprio questa.

Il libro parte da lontano – da una villanella medievale, “Famme la pizza quanno faje lo pane. Non me la fare tropo tostarella che tengo ’e diente comm’a vecchiarella!” Arriva al momento in cui il pizzaiolo si stacca dal panettiere e apre il suo laboratorio – ’a pizzaria. Siamo nel Settecento. Ricorda che Re Ferdinando di Borbone la preferiva ai maccheroni, e che poi, nel 1866, una nuova pizza, con mozzarella pomodoro basilico, veniva dedicata alla Regina Margerita di Savoia, che le diede il nome.

In quell’epoca, era già attiva la bottega di Salvatore Condurro, padre di Michele, già in via Cesare Sersale. Michele costruì forno e bancone nel 1904, e nel 1930 spostò la pizzeria di pochi metri. Ma le sue pizze erano già Patrimonio della napoletanità.

Il capitolo introduttivo – L’orologio da tasca col cornetto – parte da qui, dall’avo Michele, e da suo figlio Salvatore. E da Laura, l’autrice, e da quell’orologio, rotto, che il nonno le fece vedere tanti anni fa (“Guarda, questo era di mio padre!”). La ricerca della storia di famiglia nasce da quell’orologio con un piccolo cornetto attaccato, si arricchisce con i ricordi della famiglia, dei lavoratori della pizzeria, e anche dei fornitori.

La storia di Michele Condurro e de L’Antica Pizzeria da Michele: La forza della passione. Ecco, il titolo del primo capitolo dichiara subito il primo ingrediente, quello forse più segreto, o forse nemmeno tanto: la passione.

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La vita di Michele Condurro è stata difficile, compreso un mezzo avvelenamento per aver bevuto acqua e candeggina. Ma è stata la passione, per la vita, per la famiglia, per il lavoro, a guidarlo, e a farlo diventare uno dei personaggi più importanti del mondo della pizza del tempo. “C’erano pizze e pizze, ma la vera pizza, sulo don Michele ’a sapeva fa”. come recita una poesia di A. Galante.

Passione che – oltre la pizza – si focalizzò anche su altri oggetti, il bancolotto e le donne. Ma la gestione economica di Michele non fu mai troppo attenta, e capitò che si giocasse, e perdesse, la pizzeria. La situazione fu salvata dal maggiore dei suoi figli (ne ebbe tredici sette dalla prima moglie e sei dalla seconda), Francesco, ottimo amministratore (e pizzaiolo, ovvio), che nel 1954 la rilevò.

Dalla pizzeria passarono, e ritornarono, più o meno tutti i figli di Michele, anche se poi a prenderla in mano furono Salvatore, Luigi e Antonio ad Assicurare la continuità della tradizione. Ricorda Antonio: “Bisognava avere una specie di laurea per salire sul bancone, e questa laurea l’accordava mio padre quando si accorgeva che eravamo in grado di diventare ‘capo-giovane’; infatti, c’era una gerarchia e chi saliva sul bancone assumeva il ruolo di capo, perché comandava tutta  la brigata, guadagnava di più, ma le sue responsabilità erano centuplicate.”

All’inizio, la pizza di Michele era ’a cassuola, condita con certe piccole alici portate la mattina da Gennaro il pescatore. Marinara e con le alici, pizze fritte e ripieni: solo in seguito si passò al binomio marinara-margherita, che era sì un modo per attestare una tradizione, ma anche per velocizzare il servizio e garantire la qualità degli ingredienti.

Tutto questo, i discendenti di Michele lo hanno tramandato, e lo hanno portato nel mondo, con la società Michele in the World, che ha aperto una pizzeria a Tokio, una seconda a Fukushima, una terza a Londra, una quarta a Roma [N.d.R.: sto aspettando la quinta a Milano].

Nel secondo capitolo, La pizza di Michele tra tradizione e innovazione, l’attenzione si sposta all’oggi, al mondo della pizza, e a quello che la pizza significa e rappresenta. Nata per il popolo, il suo primo consumatore è stato il “lazzarone”, raccontato da Alexandre Dumas: “Il lazzarone è il figlio primogenito della natura: […] per lui la natura sorride” – un esponente di quello che noi oggi chiameremmo sottoproletariato urbano. Ma questo non le ha impedito di adattarsi anche a ogni tipo di pubblico, e di diventare, anche, gourmet.

pizza Margherita da Michele

Ma sempre avendo come ingrediente primo la passione. Lo confermano anche le “voci del presente” della pizzeria, come quella di Emanuele Liguori, entrato in pizzeria a 14 anni, nel 1978. Che alla passione (“Come vengono fatti a mano i fiori di porcellana di Capodimonte, così sotto le mie mani deve venire fuori una piccola opera d’arte”) aggiunge: prima della passione c’è un quid, “Quel qualcosa che senti di avere e ti rende un fuoriclasse, insomma non tutti possono diventare pizzaioli, non si tratta di un po’ d’acqua e farina, si tratta di magia, di talento, e questo non è acquistabile, è inconcepibile quindi optare per questo lavoro come un ripiego, perché non sarai mai numero uno, ma uno dei tanti.”

Il segreto della pizzeria lo rivela invece Fabrizio Condurro, quarta generazione della famiglia con le mani in pasta: “Io amo quello che faccio, bisogna amare per forza quello che fai perché altrimenti la pizza ti esce brutta, e non buona. […] perché se hai amore puoi sorvolare su tutte le fatiche, sulle mani che all’inizio ti fanno male e sulla stanchezza del giorno.”

E poi c’è la sezione sociologica con i risultati delle interviste (anche sulla famosa fila) e le foto storiche.

Insomma, un libro tutto da gustare. Che aspettate? Correte a comprarlo.

L’Antica Pizzeria Da Michele. Dal 1870 la Pizza di Napoli. Laura Condurro. Alessandro Polidoro Editore. 130 pp. 12 €

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Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.