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Ricette con la birra. Il carattere italiano diventerà il mosto?

mercoledì, 01 Dicembre 2010 di

svinando

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L’Italia fa il vino da millenni e perciò non sorprende che questa antica pratica potrà influenzare anche la produzione artigianale di birra, decisamente più recente. Anche se in Italia il vino è distinto in denominazioni che ne delimitano la zona di produzione e definiscono i componenti del prodotto, per la birra le regole non sono così stringenti. Ciò consente sperimentazioni anche ardite nella selezione degli ingredienti e nelle tecniche di produzione che sono state testate con abbinamenti a piatti elaborati da Dino De Bellis per la serata a tema condotta da Paolo Mazzola con la presenza di Valter Loverier.

Uno di fattori principali che alimenta, in Italia, l’innovazione nel settore della birra artigianale è la mancanza di quantità significative di malto nativo e di luppolo. I birrificatori desiderosi di produrre birre con un carattere italiano e legate al territorio si sono sbizzarriti utilizzando cereali locali, frutti di stagione e castagne (secche, affumicate, arrostite, in farina o miele). Per anni la birra alla castagna (alcune veramente buone, altre meno interessanti) sono state sinonimo di birra italiana. Solo di recente il carattere italiano emerge dall’utilizzo di un nuovo ingrediente: il vitigno autoctono. Questo autunno molti birrai hanno sperimentato ricette a base di uva appena vendemmiata.

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Forse il produttore che più è associato a questo tipo di innovazione è Valter Loverier, home brewer dal 2002, che quest’anno ha aperto, nel suo nativo Piemonte, LoverBeer. La sua prima birra, BeerBera, richiama il Barbera, un vitigno molto presente nella birrificazione artigianale. Loverier aggiunge al mosto di birra un quantitativo notevole di mosto di Barbera d’Alba inducendo una fermentazione spontanea con i lieviti presenti nella buccia dell’uva. Potrebbe essere considerata la versione (nord)italiana della belga lambic dove la fermentazione è indotta spontaneamente dai microorganismi presenti nell’aria. Loverier aggiunge solo una piccola quantità di luppolo per evitare che la miscela diventi troppo amara. La birra viene poi invecchiata nel legno e presenta un’acidità intensa e note di frutta acerba piacevolmente armonizzate (che è stata abbinata con i ravioli di ricotta alla gricia).

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Sempre del birrificio LoverBeer, D’Uva Beer, che è stata presentata al Salone del Gusto di Torino 2010, utilizza un altro vitigno autoctono del Piemonte: la Freisa. Ma diversamente che in BeerBera, invece che indurre la fermentazione spontanea, vengono aggiunti lieviti selezionati e il mosto di vino Freisa (che si è sposato con i funghi fritti). Il risultato è una birra ricca di aromi di uva rossa con note di aspro e amaro. Anche se entrambe le birre hanno 8% di ABV, l’alcol si sente molto di più in quest’ultima.

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Il Birrificio Montegioco, sempre in Piemonte, produce Tibir, una birra fatta con il mosto cotto del vitigno autoctono Timorasso. Avvolta nella carta (un tributo al Belgio per il quale il produttore nutre una vera ammirazione), questa ale molto carbonata, presenta un colore giallo opaco. Gli aromi dolci e speziati si mescolano con note floreali e fruttate, soprattutto di pera e rosa, quest’ultima una caratteristica del vitigno Timorasso (andato a nozze con i fagottini di zucca).

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Toccalmatto (Fidenza, Emilia-Romagna) di Bruno Carilli è un altro birrificio relativamente nuovo (è nato a ottobre del 2008) che prende spunto dallo stile belga, questa volta dalla double blanche ma con uno stile decisamente italiano. Jadis contiene il vitigno di Fortana (mosto cotto). Questo vitigno, che cresce vicino Parma, è mescolato con il famoso spumante rosso Lambrusco che conferisce alla birra il suo colore e la sua acidità. E’ una birra che possiede le caratteristiche note speziate e esuberanti della double blanche (abbinata all’assoluto di cavolfiore).

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Procedendo ancora più a sud, in Campania, il Birrificio Karma ha appena sfornato la sua edizione speciale Centesimale per festeggiare la centesima cotta del birrificio nato un anno fa. E’ una birra che fa un utilizzo massiccio di prodotti locali, soprattutto il vitigno autoctono Pallagrello e la confettura di mela Annurca (e difatti è stata abbinata in chiusura alla tarte tatin di mela annurca). Il bouquet che assomiglia più a quello di uno spumante rosé che a quello di una birra, con aromi di prugna e frutti di bosco.

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Lasciando la penisola per andare in Sardegna troviamo la BB10 del Birrificio Barley dove il birraio Nicola Perra produce da molti anni questa birra pluripremiata che contiene mosto cotto di vitigno Cannonau coltivato in azienda. BB10 è una birra ricca e complessa, con sentori di prugna, caramello, cioccolato e frutta secca. Una birra lievemente dolce e armoniosa che si abbina bene con dessert a base di cioccolato o ricotta (ma in questo caso Dino De Bellis ha optato per un contrasto netto con la carne black angus). BB Evo, sempre del Birrificio Barley, prodotta per la prima volta nel 2009, utilizza un antico vitigno sardo, il Nasco, che le conferisce il suo tipico aroma d’erbe e di mandorle in una birra unica in stile Barley wine. Entrambe hanno una gradazione alcolica di 10% ABV.

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Se la castagna era una volta il più tipico degli ingredienti della birra italiana, oggi questo frutto ha ceduto il posto alla vite. Varietà autoctone storicamente e culturalmente legate alle regioni e ai territori sono il veicolo attraverso il quale i produttori possono definitivamente legare la birra alla zona nella quale è prodotto. E quale ingrediente per una birra autunnale è migliore del vitigno autoctono?