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Memoria a mozzichi. Le ricette della cucina romana secondo Arcangelo Dandini

mercoledì, 01 Giugno 2011 di

svinando

La mia è la cucina della memoria, è il mio modo per non crescere. In cucina è ancora tutto com’era. Sono ancora tutti lì. (Arcangelo Dandini. Memoria a mozzichi)

Appassionati della cucina romana, innamorati della tavola dell’Arcangelo, addicted di gnocchi cacio e unto, matriciane, carbonare con o senza pepe, filologi di scuola papalina o imperiale, è venuto il vostro momento. Arcangelo Dandini ha dato alle stampe la sua fatica cultural-gastronomica: “Memoria a mozzichi. Le ricette della cucina romana secondo un grande chef” scritta con Betta Bertozzi.

Un libro che percorre i 4 tempi della cucina romana.

1. La cucina apiciana di Gavio Apicio che ingrassava le murene con la carne degli schiavi
2. La cucina giudìa nata dalla Bolla di Papa Paolo IV nel 1555 che limitava agli ebrei del ghetto di acquistare alcune derrate alimentari
3. La cucina secreta inventata da un cuoco famoso ma che nessuno vedeva ovvero Bartolomeo Scappi che ha scritto un trattato di cucina in sei volumi, Opera
4. La cucina pastorale o testaccina che è una cucina fusion nata dagli apporti di tanti che arrivano nella nuova capitale d’Italia

Partiamo da un assunto. Da oggi se vorrete discutere a ragione di come si fanno i rigatoni con la pajata dovrete aprire a pagina 98 e appurare che questo “piatto molto rustico, fatto con gli avanzi della macellazione che, di diritto, spettavano agli operai del macello. La pajata è un po’ laboriosa da pulire, ma la soddisfazione che dà assaggiare questo piatto ripaga decisamente di tutta la fatica”.

E se pensate che la scaloppa di fegato grasso l’abbia inventato qualche gastrofighetto di passaggio nel Perigord andate a pagina 64 e beccatevi questa: “E’ incredibile che un piatto (Scaloppa di fegato grasso, ficatum, sale di Mothia e confetture) così apparentemente frutto di fusion moderna, arrivi a noi direttamente dalle cucine imperiali. Il fegato grasso era l’ultimo piatto che si dava ai gladiatori prima che entrassero nell’arena, era il premio prima della condanna a morte. Il piatto era certamente diverso da come lo serviamo ora, ma gli ingredienti principali non sono cambiati di un filo. Il sale di Mothia, colonia prima fenicia e poi romana, lo conoscevano anche i cuochi della Roma imperiale. Il ficatum era l’alimento base delle oche”. Capito che quando qualche gastrofanatico vi comincia a parlare della grandeur francese potrete opporgli la storia di Vercingetorige e spiegargli che se vuole fare il ficatum al massimo deve citare il Gladiatore e Russel Crowe (che tra l’altro è stato protagonista del nostro Armageddon)? Poi che alla tavola di Prati vi sentiate molto poco condannati ma piuttosto baciati dal gusto è fatto moderno e contemporaneo.

Come avrete capito il libro di Arcangelo e Betta non è solo una disquisizione filosofica sull’utilizzo o meno del pepe e del pomodoro (quest’ultimo che arriva a Roma dopo la scoperta dell’America e mica si è riuscito a dimostrarne la presenza in epoca antecedente) piuttosto che sulla dizione corretta Amatriciana o Matriciana (ma per sciogliervi il dubbio andate a pagina 213 e restate folgorati dalla vera storia. Poi c’è pure la ricetta e mi perdonerà Arcangelo se dò una mezza indicazione linkando la nostra) ma un formulario alchemico per fare, testare, cucinare e assaporare. Perché Arcangelo è innanzitutto uno chef che fa ricerca nella strada più difficile: quella della storia che ti mette a rischio di inciampo se non sai come trattare la trippa di vitella (e quindi variare i tempi di cottura dopo una messa a punto), come dirigere gli intruppati turisti ad assaggiare un carciofo alla giudìa (in assoluto forse la ricetta più breve del libro) o ricostruire le carni nella Cominata alla romanesca (alzi il dito chi sa cos’è).

E intanto se avete voglia di cimentarvi su qualche ricetta di Arcangelo in attesa di entrare in possesso del prezioso tomo, eccovi accontentati con ben 5 ricette che descrivono la tavola di uno chef, anzi, oste tra i più in forma di Roma. Ma mi raccomando, ricordate l’assunto più forte ossia la teoria del chiodo e buon divertimento tenendo a mente che giovedì 9 giugno dalle 19 alle 21 alla Libreria Fahrenheit a Campo De Fiori ci sarà la presentazione del libro (con pappatoria annessa).

Teoria del chiodo: Uso pasta trafilata a bronzo, la cuocio al chiodo, cioè fermo la cottura prima ancora che sia al dente. A me piace così. Voi fate come credete, seguite i ricordi del vostro palato e seguite i vostri tempi. Se volete cucinare alla romana, però, non eccedete con i tempi di cottura, tanto per la pasta quanto per le verdure (pagina 27)

Memoria a mozzichi. Le ricette della cucina romana secondo un grande chef. Arcangelo Dandini, Betta Bertozzi. 256 pagine. 2011. Gargantua&Pantagruel. 18,50 €

Foto: Betta Iacoboni

(clicca sull’icona per lo zoom)

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.