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Da Bitto a Stracchino, dove comprare i sei superlativi formaggi detti Principi delle Orobie

martedì, 10 Gennaio 2017 di

svinando

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Avete mai sentito parlare dei “Principi delle Orobie”?

Non si tratta di un’antica dinastia reale ma di sei superlativi formaggi, prodotti storicamente nelle Valli Orobie.

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Parliamo dell’Agrì di Valtorta, dello Storico Ribelle ovvero il Bitto Storico, del Branzi FTB, del Formai de Mut dell’Alta Valbrembana e dello Stracchino all’Antica.

A onor di cronaca, va detto che i formaggi delle Valli Orobie sono molti più di sei, tra questi – su tutti – merita di essere citato il Taleggio D.O.P. e l’eroica Cooperativa Sant’Antonio in Valtaleggio, guidata da Flaminio Locatelli (presidente del Consorzio di tutela del Taleggio), unica a produrlo con solo latte proveniente dalla Valtaleggio e rigorosamente da vacche di razza Bruna Alpina.

Tra Bergamo (in cui vi consigliamo di trascorrere almeno 48 ore), Sondrio e Lecco, tra queste terre di montagne e fiumi, vengono prodotti formaggi unici per profumi, colori e consistenze. E anche per storia. Ognuno di loro ne ha una, e un ognuno di loro ha chi ancora oggi la racconta.

Siamo andati a cercare i portavoce dei Principi delle Orobie. Siamo andati a vederli lavorare, ad ascoltare le storie e a respirare quegli aromi unici, sprigionati ad ogni morso.

Ed ecco che ve li raccontiamo.

1. Agrì di Valtorta

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Formaggio dalla forma cilindrica, piccolo e candido, ha il diametro e di circa 3 cm e lo scalzo (dritto) di circa 5 cm. La sua nascita si deve alle donne della Valtorta che portavano a piedi fino a fondovalle una “pasta di agro” conservata in gerle. Questa pasta, destinata ai produttori di formaggio, veniva utilizzata per produrre formaggi molto simili agli attuali Agrì.

Oggi l’Agrì, diventato Presidio Slow Food, viene prodotto solo dalla Latteria Sociale di Valtorta, una piccola cooperativa (e unico laboratorio di produzione dell’Agrì) che riceve il latte da 12 allevatori locali. La lavorazione di questo formaggio, assai complessa, è stata tramandata ai suoi giovani collaboratori da Abramo Milesi, casaro della cooperativa per più d 40 anni.

L’Agrì fresco si presenta senza crosta, ma con la stagionatura questa tende leggermente a raggrinzirsi modificando il suo colore che vira verso tonalità giallo paglierino. Se compare fioritura, la crosta assumerà un colore grigiolino scarico. La pasta è molle, senza occhiature (più compatta nelle forme stagionate). In bocca inganna l’iniziale dolcezza, prontamente superata per intensità da acidità – prima – e sapidità, poi. Ricorda lo yogurt, ma il palato è avvolto anche da profumi erbacei e note vegetali.

Viene prodotto con latte vaccino intero crudo da unica munta, cui viene aggiunto siero acido o “agra”, (derivante dalla lavorazione precedente) e del caglio di vitello. La cagliata si fa riposare per un giorno intero coperta da un telo. Viene poi messa a scolare su teli di lino per altre 24 ore. Il terzo giorno la cagliata viene avvolta in fascere o fassére da ricotta e lasciata riposare per altre 24 ore. Infine si impasta la cagliata (che nei giorni di lavorazione ha sviluppato un’acidità molto elevata) e si dà forma ai piccoli cilindri destinati a diventare gli Agrì di Valtorta.

Latteria Sociale Valtorta. Via Roma, 10. Valtorta (Bergamo). Tel. + 39 0345 87770

2. Branzi F.T.P.

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Formaggio che prende il nome dall’omonimo paesino in cui è prodotto, il Branzi è forse il preferito da tutti gli abitanti della Val Brembana.

Ad accompagnarci in un percorso attraverso la lavorazione e la storia del Branzi è Norberto Midali. Abile oratore e amante del suo formaggio, racconta che ad idearlo (e a dar vita alla Latteria Sociale Casearia di Branzi) è stato il padre Giacomo nel 1953.

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Oggi la famiglia Midali, ancora alla guida della Latteria, è giunta alla terza generazione; il numero degli allevatori, quello delle mucche il cui latte confluisce in Latteria, è cresciuto, ma la produzione segue ancora le tecniche tradizionali: al latte intero vaccino crudo viene aggiunto il caglio di vitello a una temperatura di 35-37°C, dopo il coagulo (in 30 – 35 minuti) si procede alla rottura della cagliata fino a che i grumi non raggiungano la dimensione di chicchi di riso. La cagliata rotta si porta poi ad una temperatura di 45°C, mentre il casaro mescola continuamente e delicatamente. Infine la cagliata viene trasferita in apposite fascere, pressata e salata in salamoia.

Le forme, cilindriche e dal diametro di 40 – 50 cm, vengono poi trasferite nelle sale per la maturazione: il Branzi fresco può essere consumato dopo 60 giorni mentre quello stagionato dopo 180.

La crosta del Branzi è gialla, di un paglierino netto, intenso; lo scalzo è di 9 cm circa, leggermente concavo, mentre la pasta ha toni più scarichi quando fresca che si caricano di colore e piccantezza quando invecchia. Tipici gli aromi di burro fresco e burro fuso con note fruttate e di fiori bianchi.

Latteria Sociale di Branzi. Via S. Rocco, 41. Branzi (Bergamo). Tel. +39 0345 71074

3. Formai de Mut D.O.P.

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Letteralmente “formaggio del monte”, il Formai de Mut è fatto con latte vaccino intero crudo da una o due mungiture quotidiane. Semiduro e a pasta semicotta, è avvolto in una crosta rugosa e spazzolata su cui, con la stagionatura, possono comparire piccole muffe bianche. Le forme, cilindriche e con scalzo convesso di circa 8 cm, hanno un diametro di 30 – 40 cm. Terminato il processo di produzione (con la medesima tecnica utilizzata per il Branzi), il Formai de Mut viene lasciato stagionare (minimo 45 giorni) sulle apposite scalére.

Ne esistono due versioni: quello con la scritta blu che viene prodotto in alpeggi tra 1200 e 2300 metri di quota in Alta Val Brembana, dove le mucche sostano tra i 60 e 100 giorni. Quello con la scritta rossa invece non necessita che il latte provenga da vacche d’alpeggio.

Spezzando il formaggio la pasta sprigiona un aroma intenso: burro fuso e fieno, brodo di carne ristretto e sul finale il ricordo di una tostatura cullato dalla vaniglia carezza il naso.

Latteria Sociale di Branzi. Via S. Rocco, 41. Branzi (Bergamo). Tel. +39 0345 71074

4. Storico Ribelle

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Il Bitto Storico (che da settembre 2016 è stato ufficialmente ri-battezzato con il nome di Storico Ribelle) è un Presidio Slow Food e fa parte dei Formaggi Principi delle Orobie, a differenza del suo parente più stretto, il Bitto DOP, immeritatamente escluso dalla dinastia.

Il processo produttivo dei due formaggi (limitato al periodo che va dal 1 giugno al 30 settembre) è molto simile ma presenta alcune sostanziali differenze: entrambi derivano da latte vaccino crudo intero cui viene aggiunta una percentuale (10 – 12%) di latte caprino crudo. La cottura della cagliata (con caglio di vitello) avviene a una temperatura tra i 48 e i 50 °C, trascorsi 30 minuti si procede alla rottura della cagliata. La pasta estratta viene adagiata in fascere con scalzo concavo e lasciata maturare, prima in casere d’alpe, poi nelle strutture a fondo valle. La maturazione dura da un minimo 70 giorni fino a un massimo di 10 anni.

Nello storico ribelle la mungitura va fatta a mano e l’aggiunta di latte caprino (di sole capre razza orobica) è obbligatoria. L’area di produzione è limitata alle Valli di Albaredo e Gerola ed alcuni alpeggi confinanti. I bovini si alimentano naturalmente senza integratori ed è vietato l’uso di additivi o conservanti nel formaggio. Inoltre, per il storico ribelle, la stagionatura minima è di 12 mesi.

La pasta, gommosa e granulosa al palato, assume colori giallo carico che si fanno nocciola con il passare del tempo. E la nocciola la si ritrova in bocca con la sequenza dolce-salato-amaro, tipica di questo formaggio. Sentori animali e di fieno vengono smorzati dalla piccantezza dovuta all’utilizzo del latte di capra.

A Gerola Alta, un piccolo paese nel Parco delle Orobie Valtellinesi, ha sede il Consorzio di Salvaguardia del Bitto Storico (ora storico ribelle) la cui cantina, che è possibile visitare, contiene oltre 3000 forme del formaggio, lasciate lì ad affinare dai soli 12 produttori aderenti al consorzio.

Non meno degno di nota è il Bitto Dop, formaggio di grande persistenza gusto-olfattiva che in Valtellina si è meritato una festa tutta sua. Ad esempio nell’Agriturismo La Fiorida, dove lo si può assaggiare nature o trasformato da stella Michelin nelle ricette di Franco Aliberti e Gianni Tarabini, viene festeggiato il primo venerdì di ottobre.

Quest’anno, per l’occasione, diversi chef ospiti si sono sfidati a suon di ricette a base di Bitto Dop, notevoli i pizzoccheri di Eugenio Boer.

Consorzio di Salvaguardia del storico ribelle. Via Nazionale, 31. Gerola Alta (Sondrio). Tel. +39 0342 690081

5. Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche

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Storicamente lo stracchino era il formaggio che derivava da lette di vacche “stracche” che in dialetto bergamasco indica le mucche stanche per la transumanza.

Lo Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche, può essere considerato l’antenato del Taleggio. Prodotto ancora oggi nelle valli Brembana, Taleggio, Imagna e Serina, lo stracchino è entrato a far parte dei Presidi Slow Food proprio per tutelarne l’antica tecnica di produzione e differenziarlo dal Taleggio che purtroppo è diventato nel tempo un prodotto sempre più industriale.

Formaggio grasso, sapido e leggermente piccante deriva da latte intero a munta calda cui viene inoculato caglio di vitello quando raggiunge una temperatura di 35-37°. La coagulazione dura circa 40 minuti e a seguire, la cagliata viene rotta in due tempi: i coaguli devono rimanere grossi e non troppo duri in modo che conferiscano la tipica morbidezza alla pasta dello Stracchino. A questo punto il formaggio viene posto nelle fasciere dove rimane per un giorno e mezzo a riposare in un ambiente fresco e molto umido (20°C e circa 90% di umidità). Durante questo primo riposo sulla crosta compare un sottile strato di muffa bianca: le forme (rigorosamente quadrate) sono pronte per essere salate e iniziare la loro stagionatura che dura minimi 20 giorni.

Tipici i sentori verdi, che ricordano l’erba del pascolo e che sferzano con freschezza e balsamicità, la grassezza dello stracchino.

6. Strachitunt D.O.P.

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Gianfranco Vissani lo ha definito, semplicemente, “il formaggio più buono del mondo”, come dargli torto.

Lontano parente del gorgonzola lo Strachitunt fa anche lui parte dagli stracchini e come tale prodotto dal latte di mucche stanche, ma ben saporito per l’appena terminato pascolo.

Inoltre il 90% del latte deve provenire da mucche di razza bruna alpina, alimentate prevalentemente con erba e fieno di provenienza della zona di produzione dello strachitunt, la Val Taleggio.

Ciò che caratterizza lo strachitunt è che si produce con una doppia cagliata, quella della sera e quella del mattino: la tecnica è quella utilizzata per produrre lo stracchino ma una volta estratta la cagliata questa non si rompe ma si lasca sgocciolare e raffreddare tutta la notte in ambienti freschi e molto umidi. La mattina dopo, si procede alla preparazione di una nuova cagliata, la cagliata “calda”. Le due cagliate vengono poi adagiate nelle fasciere alternando gli strati: su quello di cagliata calda (messo per primo), viene sbricolato uno strato di cagliata fredda, e così a seguire per 5 strati (3 di cagliata calda e 2 di cagliata fredda).

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Dopo la stufatura e la salatura a secco, viene apposto il marchio STV, sia sullo scalzo che sulle facce del formaggio. Dopo inizia la sua stagionatura che dura almeno 75 giorni, ma dopo i primi 30 giorni le forme vengono bucate per favorire lo sviluppo delle tipiche muffe interne. Tipiche ma dispettose, come ci racconta Arturo, casaro esperto della Cooperativa Sant’Antonio in Valtaleggio: un mistero irrisolto che attanaglia chi produce strachitunt, è capire il perché talvolta e senza nessuna apparente spiegazione, le muffe non compaiono affatto. Avete qualche risposta?

Gli strachitunt più stagionati sono impetuosi all’assaggio: sapidità prepotente e piccantezza, acuita dalle muffe che sembrano pizzicare la lingua, regalano una persistenza unica a questo formaggio. Quelli più giovani invece sono caratterizzata da un’inattesa e predominante dolcezza. Al gusto e al retro olfatto prevalgono profumi di burro cotto e funghi.

Cooperativa Sant’Antonio in Valtaleggio. Frazione Reggetto, 2. Vedeseta (Bergamo). Tel. +39 0345 47467

Taleggio D.O.P.

Non sarà un principe, ma di sicuro è un ottimo formaggio. E la sua migliore espressione la si può assaggiare nella Cooperativa Agricola Sant’Antonio in Valtaleggio (quella eroica, di cui sopra).

La Dop ha avuto il de-merito di aver ampliato a tal punto le aree di produzione del Taleggio, da permettere a grandi allevatori di farne a tutti gli effetti un prodotto industriale.

Strenua è la lotta della cooperativa – e di tutti i suoi esponenti – che vorrebbero veder riconosciuti i loro sforzi facendo rientrare il loro specifico prodotto (e tecnica di produzione) tra i Presidi Slow Food. In attesa di tale meritato riconoscimento, vi raccontiamo il loro lavoro.

Il Taleggio della cooperativa Sant’Antonio viene prodotto con solo latte crudo di vacche di razza bruna alpina, cresciute e pasciute tra gli alpeggi della Valtaleggio. Quando il latte raggiunge una temperatura di 32-35° si aggiunge un innesto di Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus (con azione aromatizzante e acidificante) oltre che il caglio di vitello (o vitellone).

Ottenuta la cagliata questa si rompe due volte: una prima per dare al coagulo maggiore consistenza e una seconda perché i coaguli raggiungano la dimensione di una nocciola. La cagliata viene poi adagiata in appositi stampi forati e lasciata “stufare” dalle 8 alle 16 ore ad una temperatura di circa 22°C con il 90% di umidità. Dopo la salatura a secco inizia la stagionatura, che per la cooperativa deve avere un minimo di 50 giorni (per la Dop ne bastano 35). Le forme vengono inserite in casse di legno di pino e lasciate riposare in montagna, all’interno di cantine completamente interrate.

La pasta è molle, cremosa. Gli aromi intensi pungono il naso e la fantasia si sposta dalla terra con il fieno, l’erba e i funghi fino alla cucina con quel profumo di burro che cuoce ma non brucia. In bocca prevale il dolce, poi soppiantato da una più timida, ma presente sapidità. La tecnica di stagionatura inoltre conferisce al Taleggio della cooperativa una persistenza elevata, lunga.

Cooperativa Sant’Antonio in Valtaleggio. Frazione Reggetto, 2. Vedeseta (Bergamo). Tel. +39 0345 47467

[Immagini: Francesca Spadaro; Wikipedia; Progetto Forme]