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Milano. Chiude L’Albero Fiorito, ultima vera trattoria con prezzi di un tempo che fu

lunedì, 13 Agosto 2018 di

svinando

Sì, certo, se ne parlava da tempo, della chiusura – ma non ci si credeva veramente, era una specie di leggenda metropolitana. E invece qualche giorno fa L’Albero Fiorito, l’ultima vera trattoria milanese, ha chiuso definitivamente.

Il motivo? L’età, probabilmente, il tempo che passa, per la trattoria e per Gianni e Pinuccia, il peso degli anni sulla salute.

Non so che tipo di fama potesse avere al di fuori dell’area milanese, questa trattoria che non aveva neanche una vetrina, solo un portone d’ingresso, nascosto dietro una cancellata, in via Pellizzone, una viuzza a fondo cieco dietro piazzale Susa. A Milano, è, era famosa, anche se non era un posto glamour o modaiolo, ma semplice e popolare.

Aperto dalla famiglia Riet, proveniente dal Friuli, L’Albero Fiorito era passato da papà Ernesto e mamma Maria ai figli, Pinuccia e Gianni. L’unica cosa a cambiare in una cinquantina d’anni: l’arredamento, e forse anche il menu e i prezzi, sono rimasti gli stessi.

Questo è il menu dell’ultimo giorno di apertura, il 28 luglio, come sempre scritto a mano da Pinuccia. I primi, 2,50 € (risotto alle erbe selvatiche, pasta con ragù, pesto o pomodoro, zuppa di verdure), i secondi, 6 € (polpette, cotolette, bollito, il mitico formaggio fritto), come l’insalatona sgombro e uovo sodo, i contorni e i formaggi, 2 €, la mela o,60 €.

Come si mangiava? Bene, era una cucina “normale”, che è probabilmente il massimo complimento che si possa fare a una trattoria – no, non a una “bettola” di quelle che piacciono a Rubio, anche perché il termine, nella lingua italiana, ha un significato abbastanza spregiativo, e non è che cambi solo perché Rubio decide che le bettole sono il top.

Ma la cucina, come nei ristoranti stellati, andava di pari passo con l’ambiente, solo che qui l’ambiente era autenticamente d’antan, popolato per lo più da habitué, gente della zona, studenti universitari, pensionati, gente che viveva l’Albero come una “casa”, dove i tavoli erano spesso comuni, dove quando avevi finito di mangiare venivi invitato ad andartene senza tanti complimenti, dove era vietato fare fotografie, se non si voleva suscitare l’ira di Gianni. Le foto degli interni che vedete qui sono state scattate eccezionalmente da una cliente, Annalisa Scarsellini, visto che ormai era l’ultima sera…

No, non sono mai stato all’Albero Fiorito: c’era sempre qualcos’altro da fare, e poi era sempre lì, chi avrebbe mai pensato che potesse chiudere davvero. E poi, sì, era un posto interessante, ma proprio per questo, per quello che era e per come era, mi sarei sentito a disagio a scriverne. E poi, non avrei potuto fare foto: come potevo ricordarmi cosa avrei mangiato, senza le foto? E cosa mettevo su Scatti, dei disegnini? E poi, era a due passi da casa, che quasi non ci pensi, che ci sia, non ti viene in mente.

In realtà, qualche volta ci ho provato, ma non c’era mai posto, c’era sempre gente fuori, la coda, e allora ripasso, tanto, è sempre qui…

Addio, Albero Fiorito. Chissà se gli amici potranno comprarsi un mobile, una credenza, una sedia, una padella – avere un ricordo di un posto del cuore, sarebbe bello.

[Immagini. iPhone Emaniuele Bonati (esterni), Annalisa Scarsellini (interni)]

 

Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.