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Birra
9 Giugno 2025 Aggiornato il 9 Giugno 2025 alle ore 14:39

Report, 18 cose che ho imparato sulla birra artigianale

Bernardo Iovene entra nella birra con un servizio su Report che fa luce sugli aspetti più controversi e chiacchierati: e non è solo schiuma
Report, 18 cose che ho imparato sulla birra artigianale

Bernardo Iovene, ormai noi appassionati di cibo potremmo dire il nostro Bernardo, ritorna su un argomento gastronomico. Questa volta per Report firma un servizio sulla birra con un confronto tra industriale e artigianale. E, al solito, indaga, scava e promette di scatenare nuove polemiche. Ce n’è per tutti, compresa la Craft Revolution, l’onda di reazione dei micro birrifici italiani allo strapotere industriale. Ma soprattutto c’è l’abbattimento millimetrico di alcune convinzioni diffuse tra i consumatori che anni di tutorial non sono riusciti a scalfire. E che molto probabilmente diventeranno pane quotidiano. Come lo sono diventate le note sulla pizza bruciata e sul caffè che sa di copertone.

E quindi, senza indugiare, ecco le cose che dovete sapere per bere – bene – un’ottima birra. Ve lo anticipiamo, artigianale o, se siete al supermercato, un Peroncino.

1. Sulla birra ci va o non ci va la schiuma?

inchiesta Report sulla birra la schiuma perfetta
La birra perfetta con la schiuma

Partiamo con la domanda madre di tutte le guerre come fa Report: chi spilla è bravo se mette il “tappo” di schiuma sul boccale di birra o se lo evita?

La risposta è sì, assolutamente sulla birra ci va la schiuma. Il motivo è presto detto. La birra è un alimento e come tale va trattato. La birra di base contiene acqua, malto d’orzo, luppolo, lievito e CO₂, cioè anidride carbonica. La schiuma che cosa fa? Protegge la birra dall’ossigeno. Bisogna farla, ma non bisogna berla perché appunto è anidride carbonica. A seconda del modo in cui la versiamo nel bicchiere, può avere effetti diversi nel nostro stomaco. Se non c’è schiuma significa che l’anidride carbonica è disciolta nella birra e quindi bevendola inevitabilmente la portiamo nello stomaco dove letteralmente esploderà regalandoci un infinito effetto di pesantezza.

2. Come si riconosce una birra spillata bene

inchiesta Report sulla birra bollicine sbagliate
Se ci sono le bollicine, la birra è spillata male

Molto semplicemente, oltre alla schiuma a fare da cappello, sulle pareti del bicchiere non devono esserci bollicine che indicano la presenza di anidride carbonica nella birra. Per vedere gli effetti – devastanti – basta immergere di botto un cucchiaio nel bicchiere. Si formerà una schiuma che tracima dal bicchiere della birra come ha fatto vedere efficacemente Report nel servizio. Un’immagine che vale mille parole e fa il paio con il fondo delle pizze bruciate o l’acqua sporca nella tazzina del caffè se non si fa il purge (e se non sapete cos’è ritornate al via).

3. Come si beve la birra con la schiuma lo spiega Report

E siamo con il nostro bicchiere di birra con la schiuma che non bisogna mandarla giù. Come sfidare la legge dell’impenetrabilità dei corpi e lasciare la schiuma bevendo la birra che è al di sotto? Lo spiega Michele Camastra, esperto degustatore di birra interpellato da Report. “Alza il gomito la prima volta e guarda in alto. Vai su con la testa, guarda in alto, guarda in alto, così. Adesso assaggia questa (versata male) e sentirai un abisso di pesantezza. Tutta l’anidride carbonica va a finire il tuo corpo. Sono le stesse birre”.

Ora non avete più scuse e potrete andare via dal pub o dalla pizzeria che vi fa vedere quanto sono bravi a non fare nemmeno un dito di schiuma. Se eravate convinti che facendo la schiuma vi stessero fregando sul quantitativo di birra nel bicchiere sapete perché vi consideravano boccaloni.

4. Cosa succede se beviamo la birra con tutta la schiuma

Oltre alla pesantezza dovuta all’anidride carbonica che scoppia nello stomaco, portiamo nel sangue quella piccola quantità di alcool che il fegato inizia a metabolizzare. Così va direttamente nell’uretra. Ecco perché i giovani devono stare attenti per non abusare con l’alcool. Spillata correttamente, quindi con la schiuma, i giovani riescono a guidare. Spillata senza fare la schiuma è meglio andare a piedi.

5. Report rompe il tabù: non si beve la birra a canna dalla bottiglia

E veniamo a un altro effetto deflagrante di Report: la moda molto figa di bere la birra a canna direttamente dalla bottiglia. Per i più anziani, la mente vola alla Corona con la fetta di limone che semi occlude la bocca della bottiglia. O anche alla Ceres, altra birra spesso bevuta a canna. Ora è stata immessa sul mercato una birra dalla Forst che potrebbe essere bevuta direttamente dalla bottiglia. È pensata per i giovani della generazione Z che hanno occupata una mano con la bottiglia e l’altra con il telefonino per scattare la foto a beneficio dei social. In effetti, pur consigliando di berla a canna, sull’etichetta non c’è alcuna indicazione che la birra sia meno gasata. E la prova CO2 dice che è meglio versarla nel bicchiere e fare la schiuma.

“Abbiamo chiesto chiarimenti alla Forst”, chiosa l’inarrestabile Bernardo Iovene. “Ci hanno risposto che questa birra è per un pubblico giovane abituato a modalità di consumo più informali che parla il linguaggio dei concerti degli aperitivi dei festival all’aperto, ma nessun riferimento alla CO2.
Infatti noi per scrupolo abbiamo fatto analizzare il volume della CO2 disciolta nella bottiglia in questione, ed è risultato di 2.63, non è inferiore alle altre birre, anzi è leggermente superiore. La CO2 in eccesso viene inserita anche nei fusti per la spina E c’è differenza se si versa con schiuma o senza”.

6. Il bicchiere della birra deve essere veramente pulito, dice Report

inchiesta Report sulla birra bicchieri sbagliati

Ogni birra ha il suo bicchiere, come per il vino e i cocktail. Ma non è solo questione di forma. Qui ci va la sostanza. Cioè, il bicchiere deve essere perfettamente pulito. Mica una novità direte voi. Ma c’è pulito e pulito. Avete mai visto i bicchieri capovolti messi in bell’ordine su un panno appena usciti dalla lavatrice? Sì, dai che l’avete visti con il panno nero che fa molto professionale e anche bello fa vedere. Bene, è sbagliato, terribilmente sbagliato. Anche in questo caso Report entra a gambe unite nel mondo della birra.

inchiesta Report sulla birra bicchieri come riporli

Mettere un bicchiere appena uscito sul panno significa far condensare l’umidità nel bicchiere. Lo spiega Silvio Lo Sapio. “È già sbagliato quello in partenza, perché comunque normalmente sono bagnati, dentro sono umidi perché escono dalle lavastoviglie e se non si asciugano creano condensa, umidità, tendenzialmente cattivi odori, ma potrebbe anche esserci dello sporco che dà vita una proliferazione batterica”.

Gli effetti? Isabelle Rivaletto al microfono: “Se noi chiudiamo ermeticamente il bicchiere. Questo significa che si crea una condensa, questo è un bicchiere uscito dalla lavastoviglie. Se io vado direttamente in spillatura, la mia birra, come vedi, si è creata tutta la condensa sulla parete interna del bicchiere e la schiuma, e le bollicine si sono attaccate sopra”.

7. Fermi tutti, il bicchiere della birra va anche sgrassato

inchiesta Report sulla birra bicchiere sgrassato

Siete lì scioccati pensando a quante volte avete bevuto una birra in un bicchiere preso da un panno? Non è finita. Report assesta l’altro colpo al bicchiere della birra trattato male.

“E non basta perché normalmente in lavastoviglie si usa il brillantante che è un altro catalizzatore delle bolle di CO2. Quindi il bicchiere va assolutamente sgrassato”, anticipa Bernardo Iovene. “Cioè fa da catalizzatore, le bollicine del gas si appiccicano al vetro del bicchiere; quindi, tutte le bollicine appiccano al bicchiere”. In pratica, spiega Ivano Falzone, il brillantante della lavastoviglie mangia la schiuma.

E quindi, come si fa ad avere il bicchiere perfetto per accogliere la birra con la schiuma? Si sgrassa il bicchiere. Cioè lo si sciacqua. Un bicchiere alla volta anche se si spillano 2-300 birre al giorno come fa Antonio Di Lello, altro esperto spillatore interpellato da Report.

8. La pulizia dell’impianto di spillatura della birra

A monte del bicchiere perfetto con la birra senza bolle ma con la schiuma, c’è l’impianto di spillatura che per dirsi perfetto deve essere pulito in ogni sua componente. I tubi, per farla breve, dovrebbero – devono essere puliti ad ogni cambio fusto. E come si fa la pulizia? Scartando un po’ di birra. Che vuol dire tra inizio e fine scarto di ogni fusto equivale a sacrificare un litro di birra. Il “purge” dell’impianto ha un costo ma garantisce freschezza e qualità. E così, spiega Report, la birra è più bevibile e digeribile.

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Ci siamo quasi, ma bisogna anche considerare il freno o compensatore, cioè quella manopolina accanto alla leva che regola la forza del flusso della birra alla spillatura. È abiurato dagli spillatori duri e puri che vogliono un getto forte e deciso che crea la schiuma. “L’uso del compensatore non è il massimo per avere quella pressione che serve per rompere la CO2 e eliminare il gas”, spiega Francesco Reale. Il compensatore è per i beginner e i pavidi, insomma. E se lo vedete nella bocchetta di erogazione della spina del vostro pub preferito, fatevi una domanda. E datevi la risposta (che sempre domanda è): il freno è un pezzo in più da smontare perché accumula residui e va lavato. Altrimenti ve li ritrovate nel bicchiere.

“Senti ruggine vuol dire che l’impianto è sporco. È sporco. E quello che ti deve arrivare nel bicchiere è esattamente lo stesso gusto che parte dal birrificio”. Entra in scena Manuele Colonna, il profetico publican del Ma che siete venuti a fa di Roma. Per un anticipo della Craft Revolution.

9. La migliore birra industriale secondo gli assaggiatori di Report

inchiesta Report sulla birra assaggi

Prende un 6 politico la mitica Peroni assaggiata al tavolo da Luigi D’Amelio aka Schigi insieme a Francesco Reale. Però la dovete bere molto fredda e velocemente. Altrimenti tirerà fuori i difetti, essenzialmente l’effetto mais. Riscaldandosi per i due assaggiatori diventa imbevibile, schiuma o non schiuma. Il mais nella birra industriale si mette perché costa meno del malto d’orzo e dunque dà zuccheri a prezzi minori.

inchiesta Report sulla birra industriale

Non va meglio la Forst. “Una nota di luppolo però non proprio pulita. Ma io sento un po’ straccio bagnato”, avverte Francesco Reale. “Sì, qua vengono fuori quasi delle note anche un po’ di medicinale. Io sento un po’ tipo il cerotto, il salvelox” commenta Schigi.

Heineken è una birra di puro malto. “Neutra al naso. Non sento né la parte maltata né il luppolo, sento proprio come se fosse inodore”, spiega Schigi. “No, io in bocca però un po’ di corpo ce lo sento, sinceramente”, aggiunge Francesco Reale.

“In Germania è vietato fare queste birre se non col malto d’orzo. Cioè in Germania tu non puoi aggiungere mais, non puoi aggiungere riso, non puoi aggiungere nient’altro”. È la differenza che mette in evidenza Francesco Reale.

10. Perché bevete la birra con il limone se non ci sono pappataci?

inchiesta Report sulla birra a canna

E poi c’è la Corona che si beve a canna e con il limone, il lime in Messico. “Perché, ma lì si usa per un motivo molto più prosaico, cioè quello di tenere lontano i pappataci. Che ci sono negli ambienti tropicali, quindi quando uno la beve non ha gli insetti che gli entrano nella birra che sono i moscerini che sono attirati. La versiamo, cosa che credo che la Corona non faccia nessuno nel mondo. La Corona è proprio la birra che uno beve a canna. Anche la Corona, come vedi, fa schiuma. Non è che la Corona è esente dalla CO2. E quindi se tu la bevi a canna, anche questa fa l’effetto palloncino. Lo stomaco si gonfia”.

Immaginiamo intere generazioni che hanno bevuto birra e limone affrante dopo questo servizio di Report sulla birra. Anche perché Schigi ci mette del suo. “Ricorda un po’, sai cosa? La cimice schiacciata. Hai presente quando schiacci una cimice? C’è questa nota un po’ pungente, un po’ di cimice”.

11. Cosa vuol dire birra doppio malto lo spiega Report

La dizione è riferita alla Ceres, un’altra birra che si beve solitamente a canna. “È stata chiamata per legge Doppio Malto. Questo non vuol dire che abbia il doppio del malto”. Così Francesco Reale. In realtà ha un contenuto alcolico più elevato, 7 gradi, che bevendo a canna diventano per sensazione 14. “Se tu la versi nel bicchiere un pochino hai un certo warning, cioè senti un po’ l’etilico, dici: Sto bevendo una cosa alcolica. Se la bevi a canna non senti l’alcool per niente”, commenta Schigi.

E per chi cerca alcol nella birra c’è la Tennent’s che arriva a 9 gradi, ma non piace ai maestri birrai interpellati da Report perché avvertono un sapore metallico.

12. Le birre regionali e la potenza del marketing

E siamo al marketing e all’evocazione. Utilizzata dalle multinazionali della birra che – avverte Report – lasciano alla miriade di birrifici artigianali solo il 3% del mercato. Evocativa come la birra Messina che fa parte del gruppo Heineken che ha acquisito il marchio e lasciato lo stabilimento ai vecchi proprietari. Ora la birra Messina Cristalli di sale è prodotta a Messina per una piccola parte su ricetta Heineken da 15 ex dipendenti che hanno riaperto lo stabilimento. E per la maggior parte a Massafra in Puglia. La cooperativa produce per conto proprio la Birra dello Stretto.

Egualmente “l’Ichnusa è di Heineken, ma continua a essere prodotta ad Assemini, provincia di Cagliari, vicino all’area industriale della Fluorsid che, negli anni, ha inquinato le falde e i terreni di arsenico, fluoro, solfati e metalli pesanti. E oggi è classificato come Sito di Interesse nazionale”. Bernardo Iovene fa il punto su questa birra richiamando il documentario del 2022 Chemical Bros di Massimiliano Mazzotta. L’attenzione è sul fluoro il cui limite nell’acqua è di 1,5 milligrammi per litro, mentre le analisi fatte in Sardegna e mostrate nel documentario hanno risultati di 27 milligrammi per litro. Anche Marco Caldiroli, Presidente di Medicina Democratica, rivela dati di laboratorio più alti della soglia consentita.

Ilaria Zaminga, responsabile comunicazione Heineken Italia, spiega che “Le analisi dimostrano tutte un livello di floruri nelle nostre acque di 10 volte inferiori al limite massimo di legge che è di 1,5 milligrammi al litro”. Un valore diverso dalle analisi di Medicina Democratica “Perché sono analisi fatte sulla birra. Le analisi devono essere fatte sull’acqua perché la birra contiene altri ingredienti e questo non lo dico io, lo dico gli enti certificati”. E le analisi dell’Asl a seguito della visita del 18 febbraio confermano che le acque sono a norma.

13. Quando una birra si può dire artigianale e cosa vuol dire crafty

La legge che definisce la birra artigianale deve essere prodotta da un birrificio con meno di 200.000 ettolitri di capacità annua, indipendente da qualunque altro birrificio, non pastorizzata, non filtrata, rispettosa della catena del freddo. E qui viene in luce la questione birre crafty, cioè le birre industriali che cercano di apparire come artigianali.

Lo fanno evocando stile o tipicità o caratteri esclusivi che tali non sono. Un detto – non detto che confonde consumatori ma anche proprietari di pizzerie che le inseriscono nei menu come birre artigianali.

Al tavolo degli assaggi e del confronto con le birre quasi artigianali o che fanno finta di essere artigianali ci sono Manuele Colonna e Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Artigianale Italiana.

Non va benissimo per le birre di questo tipo. Gusto di cartone bagnato per la Ichnusa non filtrata secondo Manuele Colonna. Per la Moretti con bottiglia trasparente e etichetta che incuriosisce. Birra filtrata a freddo, dizione un po’ incomprensibile. È il processo di filtrazione che avviene a -1°C e praticamente rende super filtrata e cristallina questa birra che, contraddicendo quello che tutti sappiamo, è imbottigliata in un vetro trasparente. Anche se la luce è nemico giurato della birra, come ricorda Report. Il commento di Manuele Colonna, che chiede dove sia il suo avvocato, è tranciante: sentore di bustina di arachidi e di morte. “Se io devo avere questa birra in tutte le parti del mondo, io purtroppo la dovrò uccidere in alcune componenti”, spiega così il suo giudizio.

Alla fine, le birre industriali anche se si atteggiano ad artigianali, hanno uno spettro gustativo molto limitato.

Alla fine, Manuele Colonna promuove la Peroni che è sempre la Peroni. “Io non capisco perché l’industria debba per forza andare a sbattersi con 3.000 situazioni quando veramente il cavallo vincente già ce l’hai da anni, da anni”.

14. La bellezza della birra artigianale secondo Report

Se già sapete tutto su bicchieri, lavaggi, spine e schiuma e non vi interessa la birra industriale o simil artigianale. potete atterrare nella confort zone del servizio di Report. Si va per birre veramente artigianali.

E c’è da divertirsi con La Vecchia Orsa, birrificio sociale in provincia di Bologna e la sua India Pale Ale, birra con alta quantità di luppolo e dal sapore intenso e amaro. Che fa vedere anche i nuovi fusti interamente riciclabili. In pratica una grande bottiglia da 24 litri.

Oppure da Ritual Lab, il birrificio di Formello vicino Roma che ha anche un ottimo ristorante in cui poter cenare con abbinamento birra. Giovanni Faenza presenta una Choco Porter, cioè una Porter col cioccolato che sta in una botte ex bourbon. E la Gose che è una bibita per Bernardo Iovene.

E poi si va da Teo Musso con la sua Birra Baladin nelle Langhe. Birra alla zucca, alle ciliegie selvatiche, al coriandolo e scorze d’arancia, alla camomilla e pepe.

Si scopre la birra a fermentazione spontanea di Ca’ del Brado con i lieviti presi dalle bucce dell’uva del lambrusco, colore da vino e un anno di affinamento in botte.

Ed ecco Giampaolo Sangiorgi del birrificio Lambrate, 24 tipi di birra – dalle classiche pills a svariate tipologie di IPA, a Stout, Belgia Nail, Bocke – due pub nella stessa zona di Milano.

Lorenzo Dabove aka Kuaska

E poi avete Lorenzo Dabove aka Kuaska che al birrificio Lambrate esalta la vittoria del Monte Stella, una German Style del 1996, che ha vinto un concorso in Germania. Ci vanno 5 minuti e tre tempi per spillarla. E poi una smoked, una delle migliori Weizen, cioè una birra con una percentuale di frumento maltato, prodotte in Italia. E ancora la famosa Cantillon, la birra acida per definizione.

Kuaska, uno dei fondatori del movimento della rivoluzione artigianale, 30 anni fa, ha messo in comunicazione i primi microbirrifici.

15. Italian Grape Ale, il possibile stile italiano della birra

“A livello internazionale ci sono le linee guida degli stili dei giudici birrari BJCP che stabiliscono i parametri per oltre 150 stili di birra, che tutti possono interpretare a modo loro. Ma  valgono quando si partecipa a un concorso, si valuta l’aroma, l’aspetto, il gusto, il corpo la carbonazione. Ci sono tutte le nazioni di tradizione birraria e l’Italia è presente con uno stile non ancora confermato. Visto che la Italian Grape Ale tradotto la birra d’uva italiana utilizza mosto d’orzo unito a quello d’uva che può provenire da centinaia di vitigni diversi”. Così Bernardo Iovene spiega la birra Italian Style nel servizio di Report.

L’uva, il mosto d’uva è la caratteristica e ci sono diversi esempi di stile italiano che per Carlo Schizzerotto nasce in Sardegna a Cagliari con Nicola Perra del birrificio Barley. E quindi con il Cannonau.

In Calabria Birra Cala utilizza Cirò per la Pecorello o Magliocco Canino della provincia di Vibo Valentia.

16. La lattina sdoganata dalle migliori birre artigianali

Una notazione veloce per le lattine. Non pensiate che la migliore birra artigianale sia solo quella alla spina o in vetro. La lattina è riconosciuta all’estero come portatrice di birra artigianale ottima. E anche da noi in Italia si sta facendo spazio anche se lentamente. L’unica avvertenza è che va sempre bevuta dal bicchiere facendo la schiuma.

Teo Musso, considerato il padre della birra artigianale in Italia, mise in commercio la prima birra in lattina, la Pop.

17. I traditori della birra artigianale a Report

Non poteva mancare il capitolo – doloroso e fonte di innumerevoli polemiche per i duri e puri dell’artigianale – dedicato a chi ha ceduto alle sirene delle multinazionali.

A partire da Leonardo Di Vincenzo che con la cessione di Birra del Borgo a AB-In BEV – l’azienda prima al mondo che ha in portafoglio Corona, Leffe, Stella Artois, Becks, Tennent’s – ha dato la stura alla polemica. Possibile che una birra artigianale conservi la sua identità entrando in una multinazionale? La risposta è no.

Birra del Borgo

“Considerato da uno, come si dice, degli eroi o degli attori principi del movimento, sono diventato sostanzialmente proprio il peggiore, diciamo quindi proprio massacrato totalmente per aver abbandonato la lotta”, ricorda Leonardo Di Vincenzo che aveva creduto alla possibilità di far diventare grande la sua birra artigianale. “Ci avevo creduto. Poi, ovviamente, come succede all’interno dei multinazionali, quando cambia un pochino la testa dirigente, cambiano le visioni e quindi fondamentalmente di colpo, in realtà, il progetto è stato completamente abbandonato”.

Hibu

Un altro eretico è stato Raimondo Cetani di Hibu, era un birrificio agricolo con 40 ettari dove coltivavano l’orzo, stavano sviluppando un luppolo autoctono con l’università di Parma, e avevano progetti solidali in Tibet. Poi è arrivata l’offerta di acquisto di Heineken, l’altro colosso dell’industria birraria e hanno venduto.

“Io apro nel garage di casa in 60 metri quadri un’azienda e dopo 10 anni la più grande azienda, la seconda più grande azienda del settore al mondo fa la prima acquisizione in Europa. E chi compra, ti compra a te. Io parlo personalmente, a me questa cosa qua ha lusingato”, ricorda Cetani.

Poi però Heineken ha abbandonato il progetto e loro hanno ricomprato.

Birradamare

Eguale sorte per Birradamare a Ostia. Con la loro birra Roma e Na biretta, conquistarono la Molson Coors, una multinazionale statunitense con 112 marchi di birra in tutto il mondo. “Noi coltivavamo il nostro orzo per produrre tutta la nostra birra”, ricorda Massimo Salvatori, “purtroppo loro non hanno poi perseguito poi la via dell’agricolo”. Alla fine, il birrificio viene abbandonato e chiude licenziando i nove dipendenti. La Molson Coors si tiene il marchio e oggi nello stesso posto sta per ripartire una nuova esperienza che si chiamerà Primo, ma con altre persone.

Birrificio del Ducato

Un altro gioiello della birra artigianale era Birrificio del Ducato di Giovanni Campari nel parmense. Che aveva in produzione la storica Via Emilia, una delle migliori birre da abbinare a una pizza margherita. Pluripremiato, si convince nel 2016 anche lui che la Duvel, la multinazionale belga, poteva dare continuità con più risorse ai suoi progetti. “Mi sono spinto come birraio oltre i limiti della categoria. Cioè, sono stato il primo a sperimentare certe tecniche, per esempio, di fermentazione, prese dal mondo del vino, dal mondo del sake, certi invecchiamenti che non aveva fatto nessuno, utilizzare certe spezie. Se ci hanno preso è perché abbiamo fatto qualcosa che in Italia forse nessuno non aveva fatto”. Campari ha lasciato il birrificio nel 2020.

18. Le colpe del movimento birrario artigianale

Le colpe si possono riassumere in una sola: l’eccessivo snobismo del movimento artigianale birrario italiano. “Questo movimento che era partito con entusiasmo, quando arrivavano dei neofiti, invece che accoglierli ed educarli, li metteva alla porta. Cioè come dire, tu non ne sai, tu non conosci il nuovo luppolo”. Giovanni Campari centra il punto.

Linguaggio da amici del cerchio magico e presunzione di essere colatori della verità senza dare nemmeno la possibilità di capirla questa verità. Così facendo la quota di mercato della birra artigianale italiana, la Craft, è rimasta inchiodata al 3%.

“Un po’ snobbistico. Il motivo per cui mondo Craft non è mai decollato, e probabilmente mai decollerà, è legato anche a questi motivi”, spiega Giovanni Campari.

“Alla Craft Revolution và riconosciuto il merito di aver rivitalizzato il consumatore tendenzialmente che beve birra solo d’estate, cronicizzato sulle birre tradizionali. Se apprezziamo la qualità del fiore del luppolo o il malto d’orzo, invece del più economico mais, lo dobbiamo alla loro abilità. Dobbiamo ringraziarli anche per la grande varietà di ottime birre che ci hanno fatto assaggiare. La bellezza spesso risiede nei particolari, negli aspetti sottili che, che quando osservi rivelano una straordinaria complessità. Tradimenti a parte, sono riusciti a ritagliarsi una piccola fetta di mercato rubandola ai giganti delle multinazionali. Gli va riconosciuto il coraggio, come Papillon, di aver attraversato un oceano pieno di squali affamati, aggrappati a una zattera fatta di noci di cocco”.  È la conclusione di Sigfrido Ranucci. Sulla birra cala il sipario.

La puntata di Report sulla birra è disponibile su RaiPlay a questo link.

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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