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Wine Experience. La volpe, l’uva e Black Mamba

martedì, 25 Ottobre 2011 di

Quest’anno per la prima volta, sono stata invitata alla Wine Experience, a New York, la più grande manifestazione di vini del mondo organizzata da Wine Spectator, a tutt’oggi la voce più autorevole nella critica enologica mondiale e l’unica ancora in grado di orientare una parte di mercato del vino.

E’ stata una grande occasione, qualcosa vi ho trasmesso qui su Scatti, ma non è di me che voglio parlare, ovviamente, quanto di una riflessione che spero di riuscire a condividere con qualcuno di voi. Premetto che provo un fastidio crescente quando sento o leggo commenti di persone che parlano male di questo genere di manifestazioni senza avervi mai partecipato.

La verità è che la Wine Experience è un evento perfetto. Mi chiedo pertanto, a parte la costumanza tipica di noi Italiani di dileggiare beffardamente tutto ciò che non è alla nostra portata, quale sia la ragione della nostra incapacità di organizzare eventi di questo tipo. Di certo non ci mancano le risorse né gli esperti, gli specialisti di settore. Perché mai, allora, qui da noi le grandi manifestazioni hanno come costante quel grado di provincialismo che le circoscrive al Grande Raccordo Anulare, agli archi di piazza Bra se non all’ingresso delle Terme di Merano? Perché siamo autoreferenziali, ecco perche’! Siamo sempre sterilmente, noiosamente rivolti a noi stessi.

Dite la verità, quante volte avete sospirato se non  russato sonoramente alla premiazione di una guida di settore?  E non parliamo delle degustazioni… Vini caldi, ambienti non idonei, olezzi di ogni tipo ad assistere l’esame olfattivo, bicchieri sbagliati e rompiscatole che interrompono ogni 3 minuti perché non possono vivere senza sapere se un vino ha fatto o no la malolattica. Questo meraviglioso svolgimento, ci viene in genere raccontato per un tempo interminabile, su di un palco disadorno con solenne e tediosa improvvisazione, da insigni personaggi del vino. Tutto rigorosamente autoreferenziale. Non mi riferisco ad alcuno in particolare, vale per tutti e indistintamente, sia chiaro!

Gli Americani invece si pongono un fine diverso, quello di vendere il prodotto. Tutto qua! Alla Wine Experience le aziende selezionate  pagano 10.000 dollari. Il pubblico che partecipa alle degustazioni, fatta eccezione per gli ospiti, paga quasi 2.000 dollari. Pertanto tutti, ma proprio tutti gli organizzatori, da Marvin Shanken in giù, devono affrontare un unico problema: fare stare bene il pubblico, che non si è mosso per nulla e sarà bene che ritorni alla Wine Experience a degustare i più grandi vini del mondo. Non é altro che commercio, scambio di merce. Ma a noi questo sembra  terribilmente volgare, pertanto preferiamo dare ai nostri eventi un’aura filosofica, intellettuale, ammantare il tutto con quel tanto di colto autocelebrativo che si conviene al nostro rango.

Parlo di vino ma questa condotta è riscontrabile anche nell’ambiente gastronomico. Basti pensare a tutti quegli chef premiati, stellati, e forchettati che invece di accogliere il pubblico nei loro locali con grande senso della ristorazione, hanno pensato bene che fosse una figata mandare il cliente a quel paese, trattarlo come uno straccio per pulire i pavimenti, in nome del ruolo. Quale ruolo, poi? Scusate! Qualcuno di questi è sparito e non ve ne siete nemmeno accorti. A forza di mandare tutti a quel paese è finito per andarci lui, a rifarsi una vita, strano destino il suo, non vi pare?

Già che ci siamo approfitto per riaprire l’argomento delle riviste, della stampa di settore, quella che dovrebbe orientare. Ma è possibile che non siamo in grado di costruire un prodotto editoriale sul modello di Wine Spectator, Wine Enthusiast o Decanter? Non ci mancheranno mica i degustatori, che diamine! Anche perché la scelta stilistica e varietale che abbiamo noi in Italia ci facilita nell’interpretazione dei vini del mondo. Abbiamo zone produttive simili al Cile, alla California sia come clima che per i terreni e questo ci aiuta nella lettura dei vini. Ci manca uno strumento ed è un vero peccato. Ne ho già parlato ma voglio ripeterlo: forse dovremmo smetterla con le chiocciole, i gamberi, le stelle, i grappoli, gli scatti e tutta quella bizzarra simbologia. Perché non usiamo una metrica internazionalmente accettata e riconosciuta da tutti? Cioè i voti e non i simboli? 89 centesimi ha un valore comprensibile universalmente senza distinzione di razza, sesso e religione.

Se pensate alla confusione che crearono a scuola quando il voto in pagella venne sostituito dal giudizio, converrete con quanto vi dico. E’ un vero peccato che da noi manchi questo genere di prodotto editoriale ed è altrettanto grave che non si riescano ad organizzare eventi di respiro internazionale. Desiderate partecipare ad un vero Wine Tasting? Andate a New York alla Wine Experience, costa meno di 2000 dollari…Sigh! Parola di Black Mamba.