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Bio, naturali, artigianali. Le definizioni dei vini da mandare giù a memoria

giovedì, 26 Gennaio 2012 di

Si fa un gran parlare di questi tempi di vini naturali, veri, biologici, biodinamici, organici eccetera eccetera. Si è oramai sostituito il mito del “ma che portainnesto usi?” mantra immancabile in ogni riunione di più di tre enoappassionati, al “ma usi lieviti selezionati?” nuovo motto degli anni ’10. Ma cosa significa? In quanti realmente ci orientiamo tra queste categorie?

Da qui l’esigenza di fare un poco di chiarezza e di tirare una linea per raccapezzarci in questo mondo complicato. Noi di Scatti di Vino, come oramai è notorio, siamo contrari a definizioni che sono più giudizi che altro. Vini naturali, ma gli altri che sono? Un Monfortino o un Ciro Picariello (che in talune annate scarse ha ammesso di usare un’attivatore chimico per la fermentazione) farebbero vini finti? A noi convince di più la definizione che spesso usa Francesco Paolo Valentini: vini artigianali, per distinguerli da vini industriali. Una divisione quantitativa e non qualitativa, che definisce quei produttori che riescono a vinificare, direttamente e con metodi della tradizione, numeri sostenibili di bottiglie. Una categoria che meriterebbe attenzioni normative e informative più mirate e puntuali di quanto non accada in questa continua querelle tra guelfi e ghibellini.

Ecco le classificazioni dei vini in uso.

  1. Biologici. Attualmente in Italia non esistono vini biologici, in quanto  una normativa europea non è stata varata. Quindi possiamo parlare solo di vini provenienti da agricoltura biologica, definizione che certifica la provenienza dell’uva, ma nulla dice sui metodi di vinificazione, che potrebbero prevedere l’uso di lieviti selezionati, enzimi di malolattica e tutte le diavolerie della moderna enologia.
  2. Biodinamici. Ugualmente definizione scorretta: si dovrebbe dire vini provenienti da agricoltura biodinamica. La biodinamica è una tecnica agronomica che deriva dagli insegnamenti di Rudolf Steiner e dalle sue lezioni sull’agricoltura americane, riprese poi da Pfeiffer nel fondamentale “fertilità della terra”. La biodinamica come dice la stessa parola si occupa di dinamizzare la terra, di preservarla attraverso varie tecniche (dalla concimazione naturale al sovescio, dalla dinamizzazione di elementi come silicio e quarzo), ma non si è mai occupata storicamente di enologia e vinificazione. I francesi sono i soli ad aver sviluppato un disciplinare di vino biodinamico, insieme alla Demeter Francia (e in Italia). Il disciplinare francese ispirato da Nicolas Joly, è molto severo e preciso nell’indicare tecniche, prodotti e fasi di vendemmia e vinificazione, seguendo le fasi lunari e la raccolta esclusivamente a mano, dando una lettura molto integralista della faccenda, molto differente per esempio da quanto accade in Australia ed Israele, dove la biodinamica è diventata una tecnica agronomica vincente e di massa, liberata dai dogmi e rigidità rituali. L’associazione Renaissance des appellation, fondata da Joly ha recentemente avviato una sezione italiana.
  3. Vini Veri. Un consorzio tra produttori italiani, che raggruppa molte eccelenze dal Friuli a Pantelleria. Li accomuna Un disciplinare molto severo e una dichiarazione di laicità e di non voler confusi con biologici e biodinamiche, per non sottostare alle mode. Escludono completamente l’uso di diserbanti e fertilizzanti chimici in vigna e una vinificazione in cantina naturale, senza uso di lieviti aggiunti, enzimi e “ogni manipolazione tesa a rallentare o accelerare la naturale fermentazione del mosto e del vino”. Organizzano ogni anno un appuntamento a Cerea in contemporanea con il Vinitaly.
  4. Vinnatur. Un’altra associazione che raggruppa 149 produttori in nove Paesi. Dichiarano “Produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina” . per diventare soci bisogna passare per una commissione di assaggio che ne valuti la qualità. Solo dopo questo passaggio i campioni verranno analizzati per verificare i requisiti. Sono quelli della manifestazione di Verona a villa Favorita durante il Vinitaly.
  5. Tripla A. Da un’intuizione di Velier e Luca Gargano che per primo ha creduto nel valore commerciale dei vini naturali. Il marchio sta per Agricoltori Artigiani Artisti, tre A appunto. Il sito recita “Questo manifesto nasce in seguito alla constatazione che buona parte dei vini attualmente prodotti nel mondo sono standardizzati, cioè ottenuti con tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore” unisce produttori tra loro molto diversi, da Pepe in Abruzzo a Leroy in Francia. Il dubbio che sia alla fine solo un catalogo di un produttore è forte.
  6. Artigianali. La categoria adottata da Scatti di Gusto. Raggruppa quei produttori come Gravner, Valentini, Dettori (solo per fare un esempio di nomi noti) e molti altri, che mai si sognerebbero di dichiararsi biodinamici o vino veristi, bio, ecc. ma che vinificano nel pieno rispetto delle tradizioni e dei territori, in una maniera tipica e riconoscibile. Spesso sono accomunati dalla richiesta di poter scrivere gli ingredienti in etichetta, ancora impossibile nel nostro paese. Inutile dire che noi si tifa per questa scelta di laicità e qualità, nella speranza che siano sempre di più i produttori di vino su questa scia.

Conoscete qualche altra categoria in cui raggruppare i vini oltre quella, più meritoria di tutti, dei buoni-e-fatti-bene? O siete naturalisti ad oltranza e tutto il resto vi sembra ben poco interessante per il vostro bicchiere?

[Immagine: sheknows]