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Vino
22 Febbraio 2011 Aggiornato il 17 Maggio 2024 alle ore 21:36

Anteprime Toscane 2011. Chianti divino per la cantina

Sono abituato a pensare per titoli. Può essere anche distorsivo, lo so. Ma che posso farci. E’ il lavoro, è l’abitudine. E questa maratonina delle
Anteprime Toscane 2011. Chianti divino per la cantina

Sono abituato a pensare per titoli. Può essere anche distorsivo, lo so. Ma che posso farci. E’ il lavoro, è l’abitudine. E questa maratonina delle anteprime toscane – Chianti a Firenze, Nobile a Montepulciano, Brunello & brothers a Montalcino – che non facevo tutt’intera da qualche anno, s’è subito intitolata nella mia cabeza: “S/Profondo Rosso”. Oltre 600 vini new, al netto di verticali, privé e repetita organizzati da singoli produttori, e al lordo invece del doveroso splashdown ai para e controfestival (ormai rito fisso) proposti da chi, per vari motivi, non è alle vetrine ufficiali consortili. Con quest’anno anche la novità chiantigiana di autopatentati (ma secondo me questa opzione comunicazionale è stata più la “svelta” di un furbetto orecchiante massmediologo che volontà collettiva) “sovversivi”: talmente tanto, infatti, lo erano, che 10 su 12 erano presenti con un piede in due scarpe, sia di qua che di là dell’ipotetico confine tra assaggi official e unofficial (il più bravo, celebre e imperdibile di tutti, peraltro, il Montevertine del Pergole Torte e dei Manetti, è semplicemente fuori da tutto, Consorzio in primis, da anni, e non ha certo bisogno di mettersi a urlare “Hasta la Revolucion” per farsi notare).

Come che sia, e tornando come è indispensabile ai Palazzi d’Inverno del vino toscano per antonomasia, dopo il titolo beccatevi adesso anche il ritornello (era o no la settimana di Sanremo?):
“Per niente facili, vini così poco allineati, secondo gli assaggi di ieri, e se in due anni non saran cambiati…”. Già. Mi sono sorpreso a canticchiare, facendone l’opportuno adattamento, il vecchio pezzo di Fossati. Chiave di lettura, superfluo dirlo, il “per niente facili” dell’attacco. L’ho sentito risuonare nel cervello mentre viaggiavo sui Chianti 08. Refrain ribadito, e anche più insistente, sui Nobile stessa annata. E poi giù a tutto volume sui Brunello 2006. Abbastanza evidente poi, pur se con diverse sfumature, che entrambe le annate nelle rispettive zone rappresentano il corposo ripieno in un ipotetico sandwich di millesimi geneticamente diversi.

Come stanno le cose? In sintesi, come segue:

2008 Chianti: allo screening, vendemmia di non cattiva qualità, ma tostarella. Tannini per lo più ben evidenti, specie (e non è certo una colpa) quando la scelta aziendale punta sui vitigni tradizionali e non su ammorbidimento da meticciato; ma anche (ed è invece una pecca) quando un uso di legno un po’ largo di manica e da copioni ripetuti un po’ a pappagallo finisce con l’esasperarne la sensazione tattile in bocca e la conseguente fetta di occupazione dello spettro gustativo.
2009 Chianti: in genere meno sostanza, meno roba, ma nei casi migliori più grazia a bilanciare la leggerezza. Fatto sta che alcuni di essi, peraltro i veri vini in preassaggio, finiscono con il piacere hic et nunc forse un filo più dei fratelli maggiori. La ciccia, ribadiamo, è verosimilmente minore; ma la stoffa meno ruvida, e la piacevolezza per un certo, magari non lunghissimo, termine, più agevolmente garantita
2007 Chianti: il più facilmente gratificante, oggi, dei tre, e non solo perché il più ovviamente pronto. E’ l’annata con su scritto “bevimi”, come la bottiglietta di Alice. Forse poi non si cresce a dismisura e la durata nel tempo di alcuni di essi non sarà lunga quanto le gambe post beva della bimba viaggiatrice nei sogni arabescati di Carroll. Ma intanto…

Considerazioni analoghe possono essere fatte (amplificate dalla tipologia e dalle stimmate stilistiche del vino) sul fronte Nobile, dove il 2008 ha certo bisogno di aria e di bottiglia tanta per estrinsecarsi. L’impressione generale è quella di un’asticella di qualità media percepita che s’è indubbiamente e lodevolmente alzata, entro la quale però, in questa occasione almeno, è stato un po’ più complesso individuare molte punte di diamante.

Quanto al Brunello:
il 2006 è, si voglia o no, annata di svolta. I tannini grandi ma puri, nei casi buoni, cioè non ispidi, non verdi e non vetrosi, soltanto mooolto grossi e fitti di consistenza, che sono per tanti vini presentati qui il leit motiv d’annata, sembrano affiorare con più facilità dalla trama complessiva del bicchiere: come isole e isolotti dal mare quando si alza la nebbia. E non c’è dubbio che sul colle a piramide ilcinese quello sia il millesimo in cui varie foschie si sono, in un modo o nell’altro, dissipate. Vuoi coi cannoni antinebbia, vuoi per i venti diversi che hanno cominciato a spirare. Tanto per tornare a Sanremo, un dato stilistico abbastanza comune all’annata è pure che “Nel blu dipinto di blu”, nostalgicamente intonato dal due “regazzi attempati” Morandi e Ranieri sul palco dell’Ariston, pare divenuto anche qua per moltissimi un reperto vintage. Sarà l’emozione del debutto, o le rose sulle gote dovute a giovanili pudori, ma i Brunello in defilé hanno una media colore assai meno fonda e bistrata di edizioni precedenti. Anche qui infine l’annata in vetrina è il corposo ripieno di un panino peculiare.
Il 2007 si conferma infatti (i Rosso precursori, i dati analitici, gli atteggiamenti di alcuni preassaggi in cantina) annata da beva piena, più pronta e agevole, annata “per tutti”, come mi ha detto un enologo affidabile, che ha definito invece il 2006 ottima, ma “per intenditori”, dunque da attesa e attenzione costante.
Il rognoso 2005 infine (pochi, in sintonia e opportunamente, i Riserva presentati) si conferma nella media esile e, nei migliori casi, di beva pronta e piacevole, dunque da consumo abbastanza precoce.
Ciò premesso, e prima di passare, più che alle considerazioni, alle domande finali (ce ne sono, da porre), ecco la parte che in genere in questi resoconti è la più attesa. Quella, come si dice, dei nomi e cognomi. Fedele all’assunto già anticipato a San Gimignano per l’anteprima bianca del tour, non vi darò l’elencone, tipo quadri a scuola, totale coi voti (duballe!!!), ma vi darò invece quelli dei vini che, allo stato dell’arte mi son piaciuti subito e di più. Ribadendo che, date le caratteristiche di annata suesposte, tanti dei non citati sono per me amplissimamente rivedibili. E li rivedrò. Informandovene. A corredo, un po’ di outsider (per me, sia chiaro, non in assoluto), vini cioè che mi hanno fatto ripensare in tutto o in parte la classificazione nei miei schemi dell’azienda che li fa, o aprire addirittura nuovi file.
Via allora. Partendo, ed elencando in ordine di presentazione dal Chianti. A seguire, in una comoda seconda rata, anche per non ingorgare sito e memorie, le note sui Nobile e i Brunello.

CHIANTI 2009

Badia a Coltibuono: fresco e già interessante, dai lievi toni piccanti in ovvia evoluzione di acidità percepita, nel complesso davvero buono. 3 scatti

Castellinuzza e Piuca: nel solco della filosofia aziendale, acido e non greve (è Lamole infatti…), fiori e terra in buon mix, non massicio. 3 scatti

Castello di Monsanto: promette, e molto; più aggregato della media, persino più palatabile come densità, ma senza scapitare in leggerezza. Molto buono: 3½ scatti

Felsina: il naso di famiglia, souvenir consolidato di uno stile, ma meno retard che in altre edizioni. Serio, ma non freddo. 3 scatti +

Querciabella: il dolce più visibile e scoperto nella mia serie dei “good”, ma buono ed equilibrato. Si farà presto. 3 scatti

LE CAMPANE

Borgo Casal al Vento – Aria: ma che piacevole notizia mi è arrivata dalla botte in Gaiole dove ancora abita ‘sto vino, così graziosamente promettente… Gli assegno subito pertanto il mio nuovo personale simbolo di: 1 campana (che vuol dire: Paolini, svegliati, perché non li conoscevi?)

CHIANTI 2008

Brancaia: chi ragiona per chiese e appartenenze anche nel vino, e sente più il fegato e l’ayatollah che le papille, magari s’incazzerà. Ma chissenefrega. Qui c’è il classico marmellatino di Merlot, ma fine, talmente ben fatto e carezzevole al naso, con bocca di larga soddisfazione, e bilanciata sapidità finale, che si prende un bel voto. E arichissenefrega di chi è l’enologo, e se il proprietario prega guardando la Mecca, o il Moulin Rouge. Affari suoi. 3 scatti abbondanti

Castellinuzza e Piuca: il bello della diversità, il vantaggio di non avere preconcetti. 10% di canaiolo, vino chiaro, leggero, fermentativo ancora, persino, ma non dispiace: lampone, piccoli frutti, fiori, bocca scabra, sassosa, ma che ci sta, diretto e non aggiustato. 3 scatti fini

Castello di Bossi: premesso che il cognome non è colpa sua, e che è 100% Sangiovese, è proprio icona d’annata. Colore sufficiente, anzi di più, naso severino preludio del molto austero in bocca, fino a un po’ scabro. Ma secondo me esce, e i suoi odierni tannini un po’ impastati, quasi adesivi al lavoro del mio/tuo dentista, si placheranno. 3 scatti tosti

Fattoria S. Michele ai Torri Tenuta la Gabbiola: 5% Colorino e 5% Canaiolo. La mia ex cognata, allora giovanissima, che mi prendeva tostamente in giro ogni volta che eccedevo in effusioni con sua sorella, mi regalò una t-shirt con su stampato: “amare vuol dire: poco dolci”. Me ne sono ricordato testando questo vino, che ha estrazione, profumi, apporto q.b. di Colorino, ma zero zuccherosità, Non gli serve. Stop. 3 scatti per diabetici

Fontodi: 100% Sangiovese. Conoscere non è mai male, aiuta a riconoscere. Ad esempio, in questo Chianti, un classico della mano bernabeiana oltre che della casa. Buono robusto, austero quanto serve, primissimo indizio di future liquerizie, e la nota sanguigna che in fondo mi aspettavo. 3 scatti larghi

La Porta di Vertine: 10% tra Canaiolo, Colorino e Pugnitello. Ma sarà davvero il divertente Pugnitello (ne ho assaggiati un tre-quattro in purezza, ci sta) a dare al vino questo buon lavoro di fusion, questo tono di compattezza? Di certo i tannini d’annata qui sono ben fusi. 3½ scatti da taglio nostrano

Poggerino: 100% Sangiovese. Un autentico classico, leggero, lievemente metallico, sanguigno in alcune note. Degno figlio di un’azienda che stimo (e che stavolta mi ha invece un po’ deluso con la sua Riserva). 3½ scatti eleganti

San Felice: 100% Sangiovese. Acidità, e ben percepita. Dunque, Ph. Ma pienezze sufficienti a bilanciare. Un vino non totale, non sferico, ma in questa fase non può e non deve. 3 scatti pungenti

Vignamaggio Terre di Prenzano: 100% Sangiovese. Nettamente il migliore dei due test d’annata presentati dall’azienza. Questo convince alla beva, dopo una proposizione olfattiva non espressivissima. 3 scatti di sapore

Villa a Sesta Il Palei: 10% Canaiolo. Un vino centrato, buono, appena dolce all’attacco, ma poi soddisfacente. 3 scatti morbidosi

LE CAMPANE

Castello di Lucignano: complimenti un po’ invidiosi al signor Gerd K. Schué, felice proprietario di 52 ettari, 17 a vite, in zona Gaiole; complimenti e basta a Fabrizio Ciufoli che ci ha messo mano. 5% Canaiolo, naso non ancora composto, chiaro assai, tannini veri, ma che vinetto… già, che vinetto… 1 campana (a Paolini che non sapeva…)

La Camporena: 100% Sangiovese. Sapido, elegante, in equilibrio con il suo recipiente d’elevazione, reso anti-snob, come una grande giacca di fustagno, da un lieve refolo di campagna. Sarebbero 3 scatti country e larghi, se non fosse 1 campana per me. Che li avevo, sbagliando, un po’ sottovalutati.

Villa Mangiacane: 5% Canaiolo 5% Colorino. Un vino un po’ fuori linea, all’occhio almeno, per quanto è più scuro della media. Ha tostature nettamente percepibili, ma alla fine ciliegiosità, terrosità e primi cenni di cioccolato nero si sposano con soddisfazione. 1 campana per Paolini, ripresosi a un passo dal razzismo sul colore

CHIANTI RISERVA 2008

Capannelle: 5% Colorino 5% Canaiolo. Imbastito appena al naso. Tosto, con tannino non precisamente educato, ma poi buono, sodo e ricco. Acidità percepita non altissima, ma q.b. 3 scatti anti pregiudizi

Castellare di Castellina: 5% Canaiolo. Non lavoro lì o là, non ricevo regali speciali a Natale, non ho mai chiesto e/o avuto rose né orchidee, diciamo così. Dunque, fidatevi se vi dico che questo è uno dei vini migliori della sua categoria. Tannini precisi, succo chiantigiano verace, sostenuto da ottima acidità E tante sensazioni, che non sto a elencare perché non serve. Sentitevele voi. 3½ scatti abbondanti e disinteressati, marcia verso 4

San Giusto Le Baròncole: 3% Canaiolo. Cominciamo dalla ciliegia finale, abbondante e definita. E torniamo indietro fino ai prodromi di un Riserva buono e ben fatto. Un piccolo tocco amaro finale lo limita a 3 scatti. Mezzo di più ci poteva stare.

Felsina Rancia: 100 Sangiovese. Qui – me lo dico da solo – aleggia, pur lieve, l’ombra del sospetto. Ho stima e affetto per ser Giuseppe Mazzocolin in quanto persona, e i suoi vini mi sono (quasi) sempre piaciuti. Anche questo. Mi pentirò? Non credo. Serio, quasi austero, al solito, e persino un po’ cupo, è un Rancia-Rancia. Ne riparleremo. 3½ scatti (e pensatela come volete).

La Porta di Vertine: 100 Sangiovese. Legno, e si sente; tannino e pifferi se si sente… Il naso ancora è in viaggio. Ma la roba è roba, ed è buona roba. Così come la freschezza finale. Dopo il base, conferma per riserva. 3 scatti di coerenza

Tolaini: 100% Sangiovese. Colore vero, riduzione iniziale al naso… C’è voluta un po’ d corte e di fatica per capire che questo vino vale. La sua acidità schietta è una spina che punta al futuro. 3 scatti puzzle

LE CAMPANE
Casuccio Tarletti Campo Alto Riserva: 100% Sangiovese. Un po’ scabro, fresco, financo, a momenti di beva, quasi duro, gusto in bella fetta tannico, tocco di frutta non tutta rossa. Ma vivaddio, è della sua razza e della sua annata. Perché non li avevo già in pre-elenco dei buoni? 1 campana pour moi

Fattoria San Pancrazio: 5% Canaiolo 5% Colorino. Elegante, fine, leggermente pepato, serio e fresco insieme. Da bere un attimo prima d’altri, forse, ma con gusto verace. 1 campana a Paolini per aver sottovalutato fino a ieri un vino… da secchio

La Novella: 8% Teroldego, 7% Cabernet, 5% Merlot. Un signorino, profumato, corposo, un filo terroso, non troppo smanceroso. Dignitosissimo. 1 campana a Paolini che, letta la composizione dell’uvaggio, stava stoltamente per buttarlo…

CHIANTI 2007 (E INDIETRO…)

Castell’in Villa: lo so, è scontato. Ma è stato al solito un viaggio. In una terra benedetta dove regna un’arguta Galadriel del Chianti. Il 2007, la Riserva 05, passando per un tocco double di 2006… Tutti en plein. Anche se (udite, udite…) c’è qualcosina di nuovo e diverso (o sono io che ho la lingua improsciuttita?) anche nelle lande magiche di lady Coralia. Qualcosa di un filino appena più caldo e precoce… O, se volete, meno retard. Sarà il clima? Il mondo che gira? O (mi ripeto) senilità precox del sottoscritto? Anyway, tre vini, 11 scatti e ½

Castello di Ama: lo so, è scontato. Ma i vini di chez Sebasti-Pallanti sono strabuoni. Il Chianti Bellavista 2007 (20% Malvasia Nera) lo è in modo particolare. E strapazza (mia idea, pronto a fare ammenda se il tempo lo imporrà) stavolta il Casuccia (20% Merlot). Il Classico 07 (9% Merlot, 5% Canaiolo, 6% Malvasia Nera) chiude il conto con scioltezza e classe.

Castello di Cacchiano: lo so, ci sta. Ma non era scontato. E invece mi è piaciuto un tot. Questo Riserva 2006, e il fratello Classico 2007 (entrambi al 5% Canaiolo) hanno fatto tombola entrambi, al mio tavolo. Preferenza immediata, il 7. Da rifletterci, domani, perché il 6 potrebbe… mah… Totale, 7 scatti

FINE CHIANTI (segue, come detto, Nob & Brun: restate sintonizzati…)

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