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Vini autoctoni: 10 bottiglie fuori dall’ordinario anche nel prezzo

10 vini autoctoni, insoliti e di carattere, che raccontano i territori e chi li cura. Da comprare subito a prezzi intorno ai 20 €
venerdì, 29 Dicembre 2023 di

Non fermenta solo il mosto, ma tutto il mondo che ruota intorno al vino, dove si sperimenta come in pochi altri settori, per generare vini autoctoni capaci di sorprendere al primo sorso.

Sono il frutto dell’iniziativa di singoli vignaioli, interessati a scoprire le potenzialità dei loro terreni, o di enologi visionari che vanno oltre la consuetudine. A volte figli del caso, più spesso di un sogno.

Non è facile imbattersi in vini del genere, un po’ per l’inerzia generale della ristorazione media, che non crede realmente nella sommellerie di sala. E quindi rinuncia a tutta quella componente di passione e ricerca sul territorio che fa alzare dal divano qualunque sommelier nel giorno di riposo.

La Sala del Torriano vigne dall'alto

Un po’ perché solitamente i vini autoctoni vengono prodotti in quantità limitate, non entrano nei cataloghi dei grandi distributori, e per lo più arrivano all’assaggio per passaparola, o grazie alla comunicazione delle singole cantine (quando ci credono).

Quelle che seguono sono 10 bottiglie fuori dall’ordinario da vini autoctoni, stappate nell’arco di qualche settimana, girando qua e là, tra serate ed eventi. Molto diverse tra loro, per vitigni, terroir, metodi, storia, hanno però tutte qualcosa in comune.

Ed è che ci hanno colpito lì per lì, ci abbiamo ripensato nei giorni successivi, ci hanno lasciato la voglia di riassaggiarle. Quindi perché non condividerle anche con un pubblico attento e curioso come quello di Scatti di Gusto? Anche perché, ad eccezione di un paio di bottiglie costano anche meno di 20 €.

1. Il Pugnitello della Sala

Vigne La Sala del Torriano

Siamo in pieno Chianti Classico, a Monteridolfi, nella sottozona di San Casciano in Val di Pesa. La Sala del Torriano è cantina di storia antica. Addirittura in un atto notarile del 1217 si parla del “Torniano” come di “un castello venduto al Vescovo di Firenze con la terra, i borghi, tutti coloni, gli affittuari, gli uomini di ogni ceto con i loro genitori, figli, discendenti, servi, ed i beni posseduti nella corte e distretto”. Già appartenuta ai Medici, la tenuta è di proprietà di Francesco Rossi Ferrini, nipote di Pietro Cateni che la acquistò nel 1937. Il core business dell’azienda è il Chianti Classico, di cui è blasonata produttrice delle tre referenze previste da disciplinare (Annata, Riserva e Gran Selezione).

Ma tra le varie etichette in catalogo, ce n’è una riservata al pugnitello. Tra i vini autoctoni uno dei più antichi quanto semisconosciuto ai più, deve il nome ai grappoli piccoli e compatti. La scarsa produttività ne aveva deciso le sorti, finché l’Università di Firenze non ne promuove il recupero nell’ambito della salvaguardia delle uve autoctone meno utilizzate.

Vini autoctoni: 5 Filari Pugnitello La sala del torriano

Ed ecco che arriviamo al 5 filari Toscana Rosso Igt La Sala del Torriano. Da uve pugnitello in purezza, coltivate a circa 200 metri slm su terreni ricchi di calcare, galestro e macigno del Chianti. La resa bassissima (40 q/ha) e la vinificazione rispettosa, con vendemmie manuali e pigiadiraspatura soffice, la trasforma in un mosto che vinifica e affina in anfore di terracotta per almeno 12 mesi, per riposare altri 6 mesi in bottiglia.

Il pugnitello 5 Filari è un bel rosso intenso. Note di prugna, amarena, humus e bacche di bosco si affacciano rapidamente al calice, e anticipano un sorso dal frutto intenso, ma fresco e sapido, sostenuto da un tannino elegante evidente sul finale.

Costa circa 59 €.

2. Il Canaiolo di Landò

Viaggio di Landò, vigneti

Ci spostiamo una cinquantina di km verso il mare, e ci fermiamo a Palaia, dove David Landini, enologo e agronomo di lungo corso (tra le varie esperienze, citiamo Frescobaldi e Antinori) nel 2015, nella fattoria Villa SAletta, ha finalmente coronato un sogno. Un piccolo vigneto cioè, in cui poter coltivare le uve per produrre vini autoctoni del territorio preservandone l’identità.
Il canaiolo nero, per disciplinare e per tradizione utilizzato nel blend del Chianti (e del Chianti classico), viene nominato come uva canajola nelle cronache toscane sin dal 1300. Oggi coltivato anche in Umbria, Lazio e Marche è comunque in Toscana che trova le sue espressioni più autentiche.

Vini autoctoni: Prima Fermata Canaiolo Viaggio di Landò

E’ l’uva che ha scelto David Landini per il suo Viaggio di Landò Prima Fermata. Canaiolo al 100% da vigne vecchie (90 anni circa), con rese bassissime e decisamente dipendenti dalle annate (anche meno di 1000 bottiglie, a volte). La raccolta è manuale e la vinificazione avviene in parte con grappoli diraspati e in parte interi, per maggior complessità e longevità del vino. Vinificato come se fosse un uva bianca, con estrazione ridotta al minimo. Il mosto fermente e riposa in acciaio, a temperatura controllata e poi in bottiglia, per almeno 6 mesi.

Il bouquet è ricco, floreale, con note di bacche di bosco e balsamiche. La beva è fresca, vivace, e tuttavia lunga. Riporta alla memoria il lampone e il ribes, la visciola e le foglie di mirto, con lievi note speziate sullo sfondo. Ha conquistato i 5 grappoli della GUida Bibenda 2024. Ma aveva conquistato anche il cuore del compianto cartoonist Sergio Staino, che ha firmato il design dell’etichetta.

Costa circa 20 €.

3. Il blanc de noirs di Capalbio

La vigna sul mare opere d'arte

E finalmente vediamo l’azzurro all’orizzonte, e nemmeno troppo lontano. Siamo a Capalbio, borgo su uno dei piu bei tratti di costa della maremma toscana. Qui Massimo Masini e sua moglie Francesca Serena Monghini hanno costruito La Vigna sul Mare, una realtà che all’amore per il vino abbina quello per l’arte. Massimo, figlio del pittore Gimas (Gerardo Masini) ospita una galleria permanente dedicata alle opere paterne, ma si adopera per la diffusione dell’arte contemporanea nelle altre aziende del territorio, per favorire un turismo di qualità.
Carattere volitivo e ambizione è un binomio che traslato in vigne e cantine può generare esiti assai interessanti. La produzione della cantina comprende nove referenze, vini autoctoni dai vitigni originari e naturalizzati della zona, come Vermentino, cabernet sauvignon, sangiovese e syrah, in purezza. Ma dato che sui terreni aziendali, ricchi di calcare, poprio i rossi avevano dato prove eccellenti, invece di un ulteriore eventuale “supermaremman”, Masini punta in alto e opta per il metodo classico. Nasce così il rosé della Capita, 72 mesi sui lieviti

Prezzo? 24 €.

E soprattutto, Franco. Blanc de noirs, ça va sans dire, di Syrah, Sangiovese e Caberet Sauvignong, dosaggio zero, con sboccatura dopo 60 mesi sui lieviti. Naso comunque fresco, non spinto sui lieviti, di frutta bianca e crosta di pane, con sfumature di yogurt. Al palato l’attacco rivela subito una marcata sapidità, esaltata anche dalla bollicina, che fissa il pepe bianco e le note di mela lungo il sorso e oltre.

Costa 20 € sul sito del produttore.

4. Il Vermentino nero di Podere Scurtarola

Grappoli di vermentino nero

Sempre in Toscana, ma spostandosi su verso la Liguria, ai piedi dei colli Apuani si incontra Podere Scurtarola. L’azienda, gestita dalla famiglia Lorieri da almeno 3 generazioni, si estende su 5 ettari coltivati in conduzione biologica e boschivi. Oltre alla vite produce olio e miele di castagno (è possibile adottare un alveare sul sito del produttore). Dall’inizio votata alla produzione dei vini storici del territorio dei Colli di Candia (vermentino, sangiovese, albarola, malvasia), ha deciso di recuperare in purezza vini autoctoni, e in particolare due, tradizionalmente utilizzati per blend in vigna: il vermentino nero e la massaretta.

Vini autoctoni: Vermentino Nero di Podere Scurtarola

Vernero è 100% vermentino nero, che la famiglia Lorieri coltiva dal 1989, è un’esclusiva di questo areale. Il vigneto – dedicato – ha circa 25/30 anni, ed è praticamente un cru. Il vermentino nero fermenta e sosta per 4 anni complessivamente tra botte grande e barriques. Raggiunge la maturazione ottimale dopo circa 10 anni dalla vendemmia. L’annata assaggiata, la 2015, si presenta al naso con note di frutta matura con sfumature balsamiche, sentori leggeri di vaniglia. La bocca è ancora giovane, tesa, fresca, nonostante un grado alcolico di 14,5%. La 2012 è una finestra sul futuro, e cioè una maggior apertura e rotondità di beva.

Circa 2700 bottiglie, 45 € sul sito del produttore.

5. La Massaretta di Podere Scurtarola

Vini autoctoni: Massaretta di Podere Scurtarola

Rimaniamo a Podere Scurtarola, per la Massaretta (o barsaglina) che ha analoga storia: autoctono a bacca rossa di basse rese, difficile da vinificare, quindi snobbato dai produttori o usato solo in blend. Poi, a partire dai primi anni del 2000 le tecniche di cantina evolvono e si impara a esaltare le pregevoli caratteristiche del vitigno. La Massaretta di Podere Scurtarola, prodotta in purezza per la prima volta nel 2022, viene da vigne di 50 anni, e sosta in tonneau per 8 mesi prima dell’imbottigliamento. Il naso è floreale di viola e di frutta di bosco acidula, e anche al palato l’attacco e giovane e fresco. Vino da lasciar riposare in bottiglia per poterne apprezzare la beva tesa con l’equilibrio della maturità.

Solo 800 le bottiglie prodotte, al prezzo di 30 €.

6. Vini autoctoni: il Rossese bianco di La Biòca

La Biòca in Langhe Monferrato

Ci spostiamo in Piemonte, piu precisamente a Fontanafredda di Serralunga d’Alba, nel cuore delle Langhe, territorio di grandissimi rossi. E invece qui parliamo di un bianco particolare. La versione del rossese a bacca bianca, che sul finire dell’Ottocento dalla Liguria si è fatta strada tra i filari di nebbiolo, barbera, dolcetto, arneis solo per dirne alcuni, e qui è rimasta, tanto da considerarsi oggi autoctona.

Vini autoctoni: Rossese Bianco La Biòca

La doc Langhe Rossese Bianco è del 2011. La Biòca, con i suoi 8 ettari vitati tra i comuni di Monforte d’Alba, Novello, La Morra e Barbaresco, produce anche un rossese bianco in purezza. Cyrogrillo è vinificato e affinato in acciaio e bottiglia, si presenta al naso con un bel bouquet minerale, con sfumature fumé e note balsamiche. Il sorso è intenso e gratificante, glicerico, rotondo.

Sul sito del produttore si trova a 14 €.

7. Il Pelaverga di La Biòca

Vini autoctoni: Verduno Pelaverga

Altro vitigno che sconta la notorietà dei fratelli maggiori ben più noti è il Pelaverga. Antico, le prime menzioni risalgono addirittura all’VIII secolo, è originario della zona di Cuneo, da cui non si è realmente spostato nei secoli successivi. Oggi il Pelaverga è codificato nella DOC Verduno Pelaverga, circoscritta alle produzioni nei comuni di La Morra, Verduno e Roddi. Vitigno a bacca rossa, non particolarmente carico di antociani, dà vini generalmente freschi, con tannini delicati, di bella beva. Quello prodotto da La Biòca si chiama Daje March, fermenta in acciaio, riposa 18 mesi in tonneau esausto prima dell’affinamento in bottiglia. Nel calice tante spezie, cannella e pepe rosa, e una beva netta, pulita, lunga.

L’annata 2020, in commercio, costa 18 € sul sito della cantina.

8. Vini autoctoni: la Bianchetta di Villa Cambiaso

Castello di Gabiano

Una lunga storia accompagna la tenuta Villa Cambiaso, del Castello di Gabiano, ancora oggi gestita dagli eredi della casata dei Marchesi di Gabiano, i Cattaneo Adorno Giustiniani. Giacomo, l’attuale proprietario e sua moglie Emanuela hanno attuato un’opera completa di restauro e adeguamento tecnologico dell’antica cantina, risalente all’ XI secolo. Non solo storia e blasone, quindi, ma anche qualità e produzioni in linea con il mercato. Oltre naturalmente alle referenze tipiche del territorio (Barbera e Freisa su tutti) con punte top come il Matilde Giustiniani Gabiano DOC, Castello di Gabiano punta anche su vitigni recuperati e vini autoctoni, come la bianchetta genovese. Si deduce dal nome l’origine di quest’uva, che però raramente veniva vinificata in purezza. Rientra in varie denominazioni liguri e vini noti, tra cui lo Sciacchetrà.

Vini autoctoni: Bianchetta Genovese Castello di Gabiano

A Gabiano tuttavia, i profumi eleganti e la buona struttura di questo vitigno diventano una referenza a sé, Bianchetta Genovese, Val Polcevera DOC. Basse rese, raccolta manuale, pressatura soffice e vinificazione in acciaio sulle fecce per almeno 7 mesi, prima del succcessivo affinamento in bottiglia restituiscono un vino fresco e teso. Minerale e floreale il naso, con ricordi di mela verde, e note iodate, e una bocca giovane, di bella acidità, mai satura.

Costa 18 € sul sito.

9. Lo Schioppettino di Colli di Poianis

Colli di Poianis, vigneti

Tutto a est, sul limitare del Collio, Colli di Poianis cura e vinifica circa 12 ettari (su un totale di 19) ad un altitudine che va dai 50 ai 200 metri slm. L’azienda nasce già nell’800, ed è sempre rimasta nel ramo famigliare. La produzione comprende tutti i vini autoctoni tipici del territorio, dal Refosco ai pinot, dalla ribolla allo chardonnay dal friulano al merlot. Non poteva certo mancare lo Schioppettino, la cenerentola dei vini friulani, la varietà locale meno nota fuori regione, ma non certo meno interessante.
Il vitigno in sé è antico, appare nelle cronache delle famiglie nobili locali già nel XIII secolo, ma negli anni 70 del secolo scorso sembrava praticamente estinto, per la sua sensibilità all’oidio ma soprattutto alla Fillossera. Distrutte le vigne, si è preferito ripiantare varietà più note e resistenti. Per fortuna c’è chi ci crede ancora oggi.

Vini autoctoni: Schioppettino Colli di Poianis

Lo Schioppettino di Prepotto colli di Poianis viene da un vero e proprio cru, e come tale è trattato anche in fase di vinificazione e affinamento. Fermenta in tini di rovere francese sulle bucce, viene elevato in barrique per circa 12 mesi e poi in bottiglia. Il risultato è un bouquet ricco e finemente speziato, con le note dolci e fruttate del pepe di Sichuan su tutte. Bocca intensa e coerente, di frutta scura e ancora spezie, con acidità e tannino ben regolati, seppur ancora vivaci.

Prezzo di circa 17 €.

10. Vini autoctoni: l’Aleatico di Pacchiarotti

Pacchiarotti, terreno

Cambiamo completamente paesaggio e clima, e ci spostiamo nel Lazio, piu precisamente nel territorio della Tuscia viterbese, il lato che si affaccia sul lago di Bolsena. Qui Antonella Pacchiarotti ha dedicato la produzione della sua omonima azienda agricola all’Aleatico, uva presente in diverse regioni centro meridionali. Vitigno semiaromatico, l’Aleatico è generalmente utilizzato per la produzione di vini autoctoni dolci, sono in pochi ad averne esaltato le caratteristiche come vino secco, da pasto.

Vini autoctoni: l'aleatico Pacchiarotti

Il Cavarosso di Antonella Pacchiarotti è tra questi. Vigne a circa 500 metri slm, nella zona di Rocca di Castro, su terreni di origine vulcanica danno origine a diverse declinazioni del vitigno, sia dolce (come prevede la doc Aleatico di Gradoli, in cui ricade l’azienda). Il Cavarosso è la sua versione rosso rubino chiaro, che esalta al naso le note fiorite di rosa e viola e vivacemente fruttate, con ribes e lampone e mirtillo rosso che si contendono la scena con un’amarena fresca e croccante. La bocca è coerente, equilibrata, giocata sull’acidità delle note fruttate e una leggera speziatura che si palesa sul finale. Trasversale e beverino, si acquista sul sito dell’Associazione Donne in Vigna, che raccoglie quattro aziende del territorio a conduzione femminile.

Il prezzo di una bottiglia è di 24 €.