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Sense of Wine di Luca Maroni. Deporre le armi e finirla con la rissa

lunedì, 31 Gennaio 2011 di

Sarà l’età, sarà lo scannatoio permanente nazionale in corso (e leggete pure la parola in ogni senso possibile). Ma il sottoscritto s’è ampiamente tritato gli zebedei di ogni pur larvata adesione al vero partito italico di schiacciante maggioranza: quello di “Rissa Continua”. E nell’annunciarlo alla nazione (per quel che alla medesima possa fregarne), ci tiene a ribadire che la sua linea di ricerca delle convergenze possibili, ancorché rare, piuttosto che delle divergenze da ululare bava alla bocca, sarà applicata ogni volta che si può. Anche parlando di vino. Anche parlando di Luca Maroni. E ciò malgrado le distanze siderali nelle modalità ed esiti di valutazione critica che da sempre (lui per primo lo sa, e non per questo però dovremmo volercene) ci separano.

E’ con questo spirito che sono andato, affettuosamente e sinceramente interessato, a Sense of Wine, la kermessona all’Eur in cui Luca ha presentato il suo lavoro 2011: l’Annuario, e tutti i premi a vini e produttori integri e fruttosi, come gustano a lui. Ed è sempre con questo spirito che vi racconterò, perciò, tutto quel che mi è piaciuto. E su quel che non racconterò la deduzione è dunque facile anche per i non addestrati, o i non fan “lo so a memoria” di “Sherlock Holmes: Soluzione Settepercento”.

1) Mi è piaciuto Vittorio “magic Apocalypse” Storaro (era lì perché premiato speciale, e soprattutto perché ha illuminato da par suo un corto sul vino del Lazio, meglio su due vini di due aziende laziali, con il figlio Giovanni a curarne la produzione e Luca guest star, piani americani e doppio flash sullo schermo mentre scandisce sorridente e con l’aria “guruosa” che gli è ormai abituale: “il vino è luce… il vino è energia…” con tanto di E=mc2 di sfondo); io ho applaudito forte Storaro quando ha amorosamente citato dal palco una cosa che è per me un pezzo di cuore: la Scuola di cinema della Lanterna Magica dell’Aquila, il colpo di genio di quel fidanzato del movie world che si chiama Gabriele Lucci, e che anni e anni fa (trenta) lo partorì e radicò nella città poi massacrata dal terremoto e (anche correntemente) brutalizzata e sodomizzata con atti di populistica, ributtante necrofilia dalla cosiddetta classe politica (ancora) al potere in Italia. Lucci, con la complicità trepida e meravigliosa di Storaro, Rotunno, Almendros, Brown, e altri maghi di quel livello creò e varò il primo Festival internazionale dedicato non ad attori o registi, ma ai maieuti dell’immagine, loro, i direttori della fotografia. Osteggiato, blandito, pressato (cambiare tutto per non cambiare niente) dai maggiorenti e capibastone locali, che volevano prendersi, subaffittare, colonizzare, comunque “normalizzare” il Festival, divenuto intanto un caso mondiale, Lucci è sopravvissuto, lottando e soffrendo, e qualcosa cedendo, alla Lee Marvin in “Duello nel Pacifico” (John Boorman, chi non l’ha visto non sa che s’è perso) ed è riuscito a far germinare almeno dallo (stremato, killato, svaporato) Festival la sunnominata Scuola.

2) Mi è piaciuto l’acume “politico”, l’intuizione (che all’uomo peraltro non è mai mancata, da quando inventò il vino-frutto sdoganando per il nostro mondo gente che non aveva mai bevuto, operazione che al comparto, va riconosciuto, ha fruttato molti nuovi adepti e clienti) con cui Maroni ha messo sotto i riflettori, premiando mezza dozzina di vini per ciascuna, le due regioni più sfigate, o comunque tra le meno celebrate nel panorama delle altre Guide: la Calabria e il già citato Lazio. Degli specifici vini premiati però (a parte il Montiano, miglior rosso d’Italia con 99/99 a Sense of Wine, di cui sapete tutti tutto, e che inoltre sarebbe tecnicamente umbro, e di cui dunque non parlerò se non per dire che è una volta di più montianamente preciso e rifinito) non posso raccontarvi, perché non presenti in degustazione.

3) Mi è piaciuto che tra i vini premiati ci fosse anche uno, a occhio, non molto “maroniano”, ma buonissimo, e parecchio “bocchettiano” (vero, Alex?), abruzzese d’altura, tutt’altro che morbidone, tutt’altro che rassicurantemente fesso e tondacchione, ma invece fresco, dialettico, teso ed elegante: il Montepulciano d’Abruzzo 2007 San Calisto di Valle Reale.

4) Mi è piaciuto allora, e proprio in seguito a ciò, diciamo in conseguente palingenesi, assegnarmi la seguente mission: trovare tra i restanti vini premiati (e degustabili) un vino che per la mia Guida (o per il mio autodafé vinoso, la divinopaolini’s version, diciamo così) avrei “premiato” anch’io. Per poi raccontarvelo.

5) Missione compiuta! Mi è piaciuto assai (e non a me solo, ho assaggiato con “controller” aggregato) uno dei bianchi inclusi nella fascia “3° miglior bianco: 95 punti”. Trattasi del Vermentino Le Strisce, di Maremmalta. Azienda di proprietà, nientepopodimenoché, del mitico Stefano Rizzi, già Winebow, già “deus” a Le Pupille e ora in proprio a Casteani, Gavorrano, Grosseto. Da lì arriva ‘sto bel Vermentino. Minerale, sapido, fine, ancora movin’, sostanza buona ma senza “panza” inutile e parrucchini applicati. Solo ancora un po’ torbido dei suoi (propri) lieviti, e ancora da risentire per valutarne del tutto la dimensione: che ci scrive preconizza però ben brillante. Preconizza, yes. Perché il Le Strisce portato da Stefano e assaggiato è il 2008, non il 2007 premiato, che in realtà tirato nella quintessenziale misura di 700 bocce e venduto a 10 euro, è già svanito.

Dunque (mettiamola così) mi è piaciuto premiare con un anno di anticipo il nuovo Le Strisce, che raccomando fin d’ora a tutte le Guide in ascolto. Inclusa naturalmente quella di Maroni. Alla quale…

6) …mi piace dedicare per concludere un bel “grazie!”: per l’invito alla festa, per la cortesia e il calore dell’accoglienza (di Luca e del suo professionale ed aggraziato staff). Con un augurio di cuore per un anno “polposo e profumoso”, come piace a te, Luca! Prosit, e un beso…

Foto: amazinggrapeswinestore.com