5 perle sconosciute tra i vini di Anteprime di Toscana

Non solo Brunello, Nobile, Vernaccia e Chianti Classico, in Toscana c’è di più. I cosiddetti “consorzi minori” si sono presentati uniti alla prova delle Anteprime di Toscana 2019. Dimostrando di non sentirsi più i “fratelli sfigati”, ma territori dalle grandi potenzialità di crescita.
All’edizione 2019 di PrimAnteprima i produttori di Terre di Pisa, Val di Cornia, Orcia, Colline Lucchesi, Montecarlo, Carmignano, Maremma Toscana, Montecucco, Pitigliano e Sovana, Val d’Arno di Sopra hanno portato alcune perle che vale la pena di provare e mettere nella propria cantina.
Serve una guida, in territori come questi. Se c’è una difficoltà nel raccontare queste denominazioni, infatti, sta nel trovare una chiave di lettura univoca e omogenea. Spesso non si trova un vitigno dominante – nonostante l’onnipresenza del Sangiovese – o un terreno uniforme, in grado di caratterizzare l’intera Doc.
Bisogna scendere più in profondità e armarsi di pazienza e lungimiranza per scoprire le perle nascoste nei consorzi minori dei vini di Toscana.
Ne abbiamo selezionate 5 che ben figureranno nella vostra cantina.
1. Qui e Ora – Azienda agricola Castelvecchio (Terricciola)
Un Sangiovese in purezza allevato nelle Terre di Pisa, prodotto solo nelle migliori annate da vitigni con 15 anni di vita alle spalle. “Qui e Ora” dell’Azienda agricola Castelvecchio di Terricciola è alla sua prima prova sul mercato: la prima annata ad entrare in commercio è la 2015, affinata in botte per 2 anni e in bottiglia per un altro anno. Solo 638 bottiglie numerate a mano una per una, caratterizzate da un’etichetta in carta gialla – attaccata a mano – che contiene un messaggio al suo interno, sigillato con ceralacca. L’estetica rispecchia la filosofia dell’azienda, nata e cresciuta nel rispetto del territorio (tutti i vini sono bio e la tendenza è verso il biodinamico). “Qui e Ora” fa parte di una linea chiamata “Vino e filosofia”, i cui nomi sono già rappresentativi di ciò che sta dentro la bottiglia: “Massima Felicità” e “Gradualmente” sono blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon.
2. Caberlot – Il Carnasciale (Val d’Arno di Sopra)
C’era una volta un agronomo incaricato di valutare i danni del maltempo in Veneto, a metà degli anni ’80. Nel corso del suo incarico si imbatté in un incrocio naturale tra Cabernet e Merlot, in una vigna abbandonata, lo espiantò e decise di commercializzarlo. Cominciò dall’Emilia Romagna, dove aveva una serie di importanti clienti, ma nessun produttore lo voleva, nell’incertezza della resa e del risultato. Finché una coppia di tedeschi innamorati della Toscana non acquistarono una tenuta nel Val d’Arno aretino e decisero di scommettere sul Caberlot. Iniziarono a produrlo in esclusiva e continuano tutt’oggi. Il Caberlot è prodotto unicamente in bottiglie magnum (solo 3.500 l’anno), che spesso vengono esaurite nel giro di breve a oltre 250 euro l’una. E nell’arco di 4 o 5 anni arrivano a costare 4 o 5 volte tanto. Una scommessa vinta dai coniugi Bettina e Moritz Rogosky, coadiuvati dall’enologo franco-tedesco Peter Schilling. Tra i più grandi estimatori del Caberlot si annovera l’istrionico chef Fabio Picchi del Cibreo di Firenze, che ne acquista ogni anno in grande quantità.
3. L’étrange – Sant’Agnese (Val di Cornia)
Sull’etichetta ci sono una serie di coniglietti che corrono di cui uno va nel verso sbagliato e non è un caso. L’étrange è un vermentino insolito, strano – appunto – per i canoni classici del vermentino di Toscana. Per produrlo si selezionano solo i migliori acini a mano e li si aggiungono a mosto chiarificato a freddo, la fermentazione è lenta e spontanea e molto lunga. Il mosto sosta in vasca per alcuni mesi, estraendo aromi dalle bucce molto delicatamente, dopo di che affina in bottiglia per un altro anno. Il risultato è un vino dal colore giallo paglierino con sfumature dorate, ricco al naso di frutta matura, ma anche candita, con sentori di macchia mediterranea, dotato di una sapidità e di un grado alcolico piuttosto spinti. Un vermentino di carattere.
4. Faden – Terradonnà (Val di Cornia)
Sempre in Val di Cornia c’è Terradonnà, azienda a conduzione familiare che in nome di un terreno particolarmente ricco di minerali regala ai propri vini nomi che si ispirano al regno minerale. A partire dalle vigne piantate dal nonno mezzo secolo fa, oggi il nipote Michele Martinelli crea il “vino del nonno 2.0”, ovvero un vino prodotto da vitigni diversi pigiati e vinificati tutti insieme come si faceva una volta, ma con una particolare cura nella gestione della cantina e della temperatura in modo da ottenere un prodotto elegante e di qualità. Il vino Faden è costituito per buona parte da uve Trebbiano, a cui si aggiungono Clairette, Ansonica e altre uve a bacca bianca piantate dal nonno. Il risultato è un vino giallo paglierino, ricco di frutta gialla al naso, con note agrumate e una spiccata mineralità, da gustare con antipasti e primi di pesce.
5. Mille968 (Colline Lucchesi)
E’ strano nel mondo del vino, dove la rivalità si taglia a fette con il coltello, trovare progetti collettivi. Mille968 è uno di questi rari casi: si tratta di un vino “a più mani e più cantine”, a cui contribuiscono sia con le uve che con la manodopera alcune delle cantine tra le più rappresentative della denominazione Colline Lucchesi. Il nome si ispira appunto alla data in cui i vini delle Colline Lucchesi ottennero il marchio Doc e rappresenta un nobile tentativo di dare identità a un’area meno riconoscibile rispetto ai giganti toscani. Le uve sono Sangiovese e Merlot – le più tipiche della zona – e la produzione è molto ridotta. L’assemblaggio di uve provenienti da terreni diversi conferisce al vino eleganza e carattere, la bottiglia è volutamente borgognotta per comunicare l’internazionalità del progetto che è in costante evoluzione: l’intenzione è quella di coinvolgere sempre più produttori della zona e strutturare la collaborazione.