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Vino
22 Gennaio 2019 Aggiornato il 9 Ottobre 2019 alle ore 07:57

Barolo. 5 etichette per puntare sull’annata 2014

Una premessa è d'obbligo: l'attenzione che i vignaioli langaroli riservano per le loro uve è seconda solo all'orgoglio con cui presentano al mondo i
Barolo. 5 etichette per puntare sull’annata 2014

Una premessa è d’obbligo: l’attenzione che i vignaioli langaroli riservano per le loro uve è seconda solo all’orgoglio con cui presentano al mondo i frutti di tanto lavoro. In particolare i produttori di Barolo e dei territori limitrofi in cui le uve nebbiolo restituiscono vini di pregio; famiglie presenti sul territorio da generazioni, che nel tempo hanno affinato le tecniche di cantina, selezionato i cloni, studiato le porzioni più interessanti all’interno dei rispettivi vigneti, affinché dal dialogo tra quel terreno e quelle viti si arrivasse al miglior prodotto possibile.

Il Barolo-vino ama la tradizione tanto quanto il territorio – gli undici comuni di Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano, Grinzane Cavour, La Morra, Monforte d’Alba, Novello, Roddi, Serralunga d’Alba e Verduno – rispetta l’integrità del paesaggio e l’antichità del suolo, frutto di un complesso lavoro geologico che si perde nella notte dei tempi. Variegato, stratificato, composito sotto, apparentemente omogeneo dall’alto, si traduce in sorpresa e stupore di fronte ed esiti quanto mai diversi pur in una vicinanza territoriale che all’apparenza non li giustificherebbe.

La mano del vignaiolo conta, certo, in particolare in vista del prodotto finale, ma soprattutto nella capacità di dare al vino lingua e registro espressivo propri. Baroli scadenti non me ne ricordo, Baroli di carattere invece sì. A Nebbiolo nel cuore, l’evento annuale che organizza Riserva Grande dedicato all’omonimo vitigno, gli esempi erano molti. Tra le bottiglie della nuova annata in commercio, ovvero la 2014, almeno cinque hanno lasciato il segno, per varie ragioni. Anche economiche, perché un grande Barolo non deve necessariamente costare una fortuna.

1. Aurelio Settimo, Barolo 2014 DOCG

L’azienda Aurelio Settimo si trova in località Annunziata dagli anni quaranta del Novecento. L’etichetta vera e propria arriva con la seconda generazione (Aurelio, appunto), che capisce di che qualità è capace quel vigneto e inizia ad investire in appezzamenti e cantina. Siamo in La Morra, tra le zone piu prestigiose per la produzione di nebbiolo da barolo dalla grande finezza di profumi. Oggi è Tiziana, la figlia di Aurelio, che porta avanti la tradizione di famiglia: poco meno di 6 ettari coltivati a nebbiolo (di cui fa parte anche il loro cru Rocche dell’Annunziata) e circa un ettaro coltivato a dolcetto. Agricoltura integrata per ridurre al minimo gli interventi, macerazioni del mosto a contatto con le bucce di circa 20 giorni a cappello sommerso, 12 mesi in vasche di cemento e poi i canonici 24 mesi in botte grande di rovere francese, cui seguono almeno 6 mesi in bottiglia prima della messa in commercio. Al naso è un Barolo schietto, dai profumi intensi e vibranti di arancia, viola, chiodo di garofano e anice stellato. Promesse mantenute anche al palato, sostenute da un bel corpo e una piacevole persistenza, che sfuma in note di liquirizia e tostature lievi di cuoio e cacao. Si trova in enoteca intorno ai 27 €.

2. Monchiero, Rocche di Castiglione 2014 DOCG

Monchiero risale agli anni Cinquanta del XX secolo, anche se per molti anni le uve coltivate nei vigneti di Castiglione Falletto venivano conferite e non vinificate in proprio. E’ dagli anni Settanta che inizia l’attività vera e propria della cantina, producendo per un mercato fondamentalmente estero. Poi, dagli anni Novanta, Vittorio – la nuova generazione – inizia a prendere sul serio viti e vini e si propone nelle fiere di settore ottenendo buoni riconoscimenti. Oggi Monchiero possiede vigneti nelle zone più prestigiose di coltivazione di nebbiolo da Barolo, tra cui Rocche, appunto.

A differenza della maggioranza dei suoi colleghi produttori, e forse sfidando anche un po’ mode e pregiudizi, il barolo Rocche di Castiglione i suoi 24 mesi in legno li trascorre, invece che in botti grandi, in tonneau da 500 litri, ma l’esito non è né accomodante né semplicistico. Non presenta l’austerità severa di molti suoi pari, vero, ma non è secondo in nulla per complessità e finezza. Il frutto è ancora vivo, con note intense di arancia e rosa fresca, cui si aggiungono, con la permanenza nel calice, anche viola e chiodi di garofano, e sentori mentolati delicati. Tannini non del tutto domati – nonostante i tre anni e il tonneau è un Barolo giovane – ma comunque piacevoli, il legno è ben dosato e non impatta, mentre al palato tornano le note fruttate – questa volta più scure – e altre di spezie dolci e fave di cacao. In enoteca si trova intorno ai 30€.

3. Marcarini, Barolo Brunate 2014 DOCG

Altra realtà consolidata sul territorio è Poderi Marcarini, in località La Morra, di proprietà della famiglia Marchetti da oltre sei generazioni. Oggi sono Manuel e i suoi figli Elisa e Andrea a portare avanti un’azienda che ha mantenuto costante nel tempo la qualità e la tradizione langarola. Rispetto alle origini sono aumentati terreni e vitigni, e oltre al Barolo, Marcarini firma anche Dolcetto, Barbera, Arneis e Moscato d’Asti negli appezzamenti tra Barolo e Langhe. Brunate è una delle due selezione di nebbiolo dell’azienda (La serra è l’altra), nonché Menzione Geografica Aggiuntiva del Barolo da indicare in etichetta.

Terreni fini, calcarei, di sabbie fossili miste ad argilla, e una macerazione molto lunga del mosto a contatto con le bucce (circa 40 giorni) danno al barolo Brunate eleganza di profumi e struttura. Le tecniche di vinificazione sono tradizionali, e il vino riposa per 24 mesi in botti di rovere di slavonia e poi almeno un anno in bottiglia. Nel calice si rivela vino di un bel color granato, che sprigiona note intense di viola e rosa, e più dolci di noce moscata e tabacco. La gioventù si percepisce al palato ma non disturba un sorso comunque vellutato e gratificante, di una bella lunghezza. In enoteca si trova intorno ai 45 €.

4. Palladino, Barolo Parafada 2014 DOCG

Pietro Palladino l’azienda non l’ha fondata né ereditata dai nonni, ma acquistata nel 1974. Produce uve destinate alle piu blasonate DOC e DOCG del piemonte, come Barbera, Dolcetto, Roero Arneis, Gavi e naturalmente il principe dei vini, sua maestà il Barolo. Di questi, Palladino produce in realtà due cru, Ornato e Parafada, provenienti dai vigneti siti nelle omonime località. Entrambi in Serralunga d’Alba, ma che beneficiano di esposizioni e sottosuoli che determinano esiti piuttosto diversi.

Anche qui, ci sono scuole e gusti. Ai banchi di degustazione ho sentito molti commenti, solitamente chi apprezza l’uno critica l’altro e viceversa, e quelli che sono i motivi per la lode diventano poi quasi meccanicamente le ragioni della critica. Per uscire dallo schema, ho scelto il Parafada proprio perché fa parte di quei Barolo piu ‘gentili’ (per quanto si possa applicare a un Barolo) spesso considerati ‘minori’. Il Barolo Parafada 2014 è un gran bel vino. Fine, equilibrato, più fiorito della media dei suoi pari. L’agrume è dolce e tornano la rosa fresca e la violetta, mentre al palato si presenta a mio avviso con note più scure, ma comunque non estreme. La liquirizia è quella delle stringhe arrotolate più che del classico bastoncino, e si fanno strada sentori di sottobosco verso la fine di un sorso morbido e piacevole. Si trova in enoteca intorno ai 50 €.

5. Mascarello Giuseppe e figlio. Barolo Monprivato 2014 DOCG

La storia di questa azienda risale addirittura all’epoca della Marchesa Juliette Colbert Falletti di Barolo, di cui i Mascarello erano massari, confermandosi tra le presenze più antiche sul territorio. Proprietari dalla fine dell’Ottocento, acquisiscono man mano appezzamenti all’interno del vigneto Monprivato, che oggi è proprietà integrale della famiglia, guidata da Mauro e da suo figlio Giuseppe. Monprivato è un vigneto storico, caratterizzato da esposizione  costante lungo l’arco della giornata e terreni compositi di marne limose, calcare e depositi argillosi, fossili marini e minerali, che regalano al vino una particolare complessità e finezza di profumi unita a un’ossatura tannica presente ma aggraziata.  Mauro Mascarello, dopo aver sperimentato varie metodiche nel corso degli anni, oggi persegue tecniche di vinificazione tradizionali, con macerazioni di 25 giorni circa, affinamento in botti grandi di Slavonia (in questo caso per 30 mesi), e poi almeno 6 mesi in bottiglia.

Alle verticali, annate diverse di questo vino hanno dato esiti anche molto distanti tra loro, in termini di note e di capacità di invecchiamento. La 2014 si presenta di colore tipicamente scarico, granato chiaro con riflessi aranciati, colpisce per la contemporaneità di note fiorite fresche e agrume candito, melograno e ribes, mentre al palato si rivela asciutto, profondo, con tostature ancora lievi e accenni di humus che dialogano piacevolmente con sfumature di arancia e liquirizia. Il Monprivato di Giuseppe Mascarello e Figlio è la bottiglia della festa, prodotta in esemplari numerati, e costa mediamente – in enoteca – 130 €.

Immagini: Anna Tortora, Palladino, Poderi Marcarini, Monchiero

 

 

 

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