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Birra
20 Agosto 2010 Aggiornato il 31 Marzo 2019 alle ore 15:35

Birra. Il successo ReAle di Leonardo Di Vincenzo

Leonardo Di Vincenzo è oramai nel gotha dei birrai italiani. Ho avuto di modo di conoscerlo quasi 8 anni fa e avendolo visto crescere, professionalmente,
Birra. Il successo ReAle di Leonardo Di Vincenzo

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Leonardo Di Vincenzo è oramai nel gotha dei birrai italiani. Ho avuto di modo di conoscerlo quasi 8 anni fa e avendolo visto crescere, professionalmente, è con grande piacere che parlo di lui e delle sue birre.

Leonardo, romano, nasce nel 1976, e la sua passione per le birre inizia nel 1999, attraverso l’homebrewing. Un appassionato duro, subito iscritto alla parte non professionista di Unionbirrai. Si laurea in Scienze Biologiche alla Sapienza di Roma e successivamente si specializza, con un dottorato, in scienze biochimiche. Nel 2001 conosce in una degustazione, da Atlas Coelestis, Marco Bolasco, e da allora i due saranno amici inseparabili. Marco usciva con Leonardo anche per il suo fascino, molto gradito al gentil sesso, che permetteva di “catturare” sempre belle donne, per entrambi. Conosco Leonardo nel 2003 alla Forst, in un incontro fra docenti master of food di birra, e lo reincontro a Roma nel 2003, per il primo concorso per homebrewer che si teneva nella capitale, al Derry’s pub. Si forma professionalmente con Mike Murphy, allo Starbess a Roma, dove lavora dal giugno 2003 al giugno 2004, e questa esperienza, insieme a quella da homebrewer e alla cultura ed appartenenza a Slow Food, saranno gli elementi decisivi per il suo successo.

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Apre il suo microbirrificio, nell’aprile del 2005 a Borgorose (Rieti), in un terreno di proprietà dello zio. Utilizza un impianto della B.B.C., costato circa 50.000 Euro, perché l’azienda, un terzista di Velo che faceva i serbatoi di fermentazione/maturazione, era al primo impianto e si aspettava pubblicità e esperienza da questa installazione.

La forre contrarietà del padre e l’avvio in economia con il contenimento dei costi sono gli elementi che caratterizzano la produzione iniziale. Quest’anno, Leonardo ha sostituito l’impianto, con un altro, molto più funzionale, da 25 Hl./cotta della Brew Tech, proveniente dal Baladin di Teo Musso.

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Leonardo comprende subito l’importanza della comunicazione, e questo è stato un elemento determinante del successo. Da quando ha iniziato l’attività di birraio, non c’è stata manifestazione, piccola o grande alla quale non abbia partecipato (a partire da Pasturana 2005) grazie anche ai rapporti con Slow Food e Unionbirrai. Un’iperattività a tutto tondo che lo porta a distrarsi alla guida e a sacrificare più di una fiancata (da sobrio, eh…) di auto e furgone. Quindi quando c’è lui alla guida occhio… Nel 2006 si ricompone il dissidio in famiglia ed il padre sarà un valido aiuto, come commercialista.

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Nel 2007, a giugno apre il bir&fud, con Manuele Colonna e Fabio Spada di Glass. Ed è subito successo, grazie alla formula dello street food, di notevole qualità, realizzata con Gabriele Bonci e Andrea De Bellis (per la pasticceria) e all’abbinamento con le birre artigianali italiane alla spina, gestite dal più bravo publican che c’è, Manuele Colonna, gestore del “Ma che siete venuti a fa”, che si trova di fronte sul lato opposto di via Benedetta, sempre a Trastevere. Si inizia con 8, successivamente 12 e poi 16 spine esclusivamente di prodotto artigianale italiano, ed è una novità assoluta in questo mondo.

Altro elemento decisivo del successo è il rapporto con Teo Musso, iniziato con la società di distribuzione “Selezione Baladin” a cui Birra del Borgo di Leonardo Di Vincenzo forniva alcune sue birre, e sviluppatosi, prima con Consobir e poi con l’apertura dell’open Baladin di via degli Specchi, dove ambedue sono soci, e dell’Open a New York, che sta aprendo proprio in questi giorni.

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Il nome Birra del Borgo, nasce in omaggio a Borgorose, e sostituisce il nome Chaperone, da una famiglia di proteine a forma di bicchiere di birra, che Leonardo voleva scegliere, ma che per la parte “Perone”, somigliava troppo alla più famosa birra industriale italiana.

La produzione si caratterizza, oltre che per una notevole tecnica, ed un’attenzione ai mondi inglese e belga, anche per una spiccata territorialità, frutto della cultura Slow Food: la genziana, nell’omonima birra, il farro nella Duchessa, il tabacco Kentucky toscano nella Keto RePorter, le castagne reatine essiccate nella CastagnAle.

Tutte birre che meritano un approfondimento successivo. Per il momento, ecco 3 birre, una molto nota, una in sperimentazione ed un’altra particolarissima (e a mio avviso buonissima).

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ReAle: la birra di maggior successo. L’idea nasce nel 2000, una IPA realizzata come homebrewer, fatta provare a Kuaska, che ne fu entusiasta ed incoraggiò a proseguire. 6,4 gradi alcolici, 16 gr. Plato, colore ambrato, olfatto di caramello e di miele, per la bella maltosità della birra, e di frutta, pesca ed albicocca in primis, agrumi dagli oli essenziali dei luppoli, pompelmo e arancia, note di pepe e fragrante da crosta di pane. Abbastanza corposa, ben equilibrata fra la componente dolce, maltosa, iniziale, e l’amaro del Goldings, Cascade ed Amarillo, poco carbonatata, e anche grazie questo notevole equilibrio, con un’elegante persistenza e una notevole bevibilità. Prodotta anche in versione extra, birra dell’anno 2007 e 2008, con luppolatura più generosa.

Sedici Gradi: una ale, tipologia barley wine, maturata in legno, solo primo mosto che bolle per 5-6 ore per concentrarsi, matura da marzo a luglio 2007 , con lieviti particolari, da spumante, bayanus, maturazione in barrique di primo passaggio per 14 mesi, pronta a settembre 2008. Per me è una birra spettacolare, di circa 14 gradi alcolici, con l’astringente che bilancia benissimo l’imponente impatto dolce, particolari note ossidative sia al naso che in bocca che la rendono unica, di fichi e prugne secche, di cacao, di uva passa, insieme a note di tostatura. Carbonatazione molto bassa, in stile. Una birra complessa e molto persistente. Una seconda produzione prevederà un blend fra prodotto maturato in barrique nuove e prodotto maturato in barrique di Ca’marcanda, cantina di Gaja in Toscana.

Equilibrista: birra ancora non imbottigliata, nasce dall’idea di realizzare un prodotto come Deus e Malheur, utilizzando il metodo classico champenoise degli Champagne. Birra a bassa acidità, con il 50% di mosto di Sangiovese della tenuta di Bibbiano e il 50% di mosto di Duchessa, fermentata con lieviti da vino, aggiunta di zuccheri, e tenuta sulle pupitres per 9 mesi a contatto sui lieviti, e per finire il degorgement. Birra dal colore rosato, lievemente luppolata, 20-25 IBU, ha il profilo degustativo caratterizzato dalla maltosità, dalla fragranza, e dagli esteri profumati, di pera e pesca.

Foto: Mirko Caretta, birrerieartigianaliroma.it

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