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Cibo
13 Maggio 2020 Aggiornato il 13 Maggio 2020 alle ore 10:19

Non sparate sul delivery: è un segnale di buona speranza

La consegna a domicilio è eccezionale per pizza, hamburger, panini, ma può funzionare anche con l'alta cucina?
Non sparate sul delivery: è un segnale  di buona speranza

Forse in molti non avranno notato, ma è la norma in questi giorni sparare a zero sul delivery.

Da ogni parte ormai si levano voci all’unisono che gridano che no, il delivery, ovvero la consegna a casa del cibo preparato dai ristoranti e poi recapitato bell’e fatto al nostro domicilio, non sarà la salvezza per il settore della ristorazione, che una vagonata di buste di plastica contenenti intrugli e pappette sottovuoto – ormai marchio di fabbrica dei ristoranti fine-dining e di chef tutti riscopertisi novelli Pollock dell’impiattamento “artistico” seriale -, non salverà i locali dalle tragiche conseguenze che l’epidemia da coronavirus ha portato con sé.

Molti locali, soprattutto quelli meno strutturati, chiuderanno, molti non rialzeranno più le serrande, e non sarà certo il delivery a salvarli. E la cosa è ovvia e logica: un locale che nasce e si è organizzato come ristorante, vale a dire per accogliere un tot di clienti all’interno delle sue sale, non sarà certo strutturato per far scarrozzare in giro per le città cibi precotti e imbustati, affidandoli, per la finitura finale, alle nostre mani inesperte, dopo aver lasciato un consistente contributo per la consegna alla piattaforma di delivery.

consegna a domicilio e asporto cartello

Eppure, sembra che tutti noi ce ne rendiamo conto solo ora, che il cibo consegnato a casa non è esattamente lo stesso che gustiamo al ristorante, e tutti gridiamo allo scandalo accusando il delivery di ogni nefandezza, ma soprattutto di non poter essere il futuro della ristorazione.

Un’accusa che appunto in questi giorni si leva da più parti, tanto diffuso quanto ingiusta, considerando che il povero delivery non ha mai preteso di essere un sostituto della ristorazione tradizionale, del cibo consumato al ristorante comodamente seduti a un tavolo e serviti da camerieri zelanti, ma al massimo, in casi sporadici, una sua appendice del tutto marginale.

pizza da asporto nel cartone
hamburger

Il delivery infatti nasce e ha ragion d’essere principalmente in relazione ad alcuni tipi di cibo particolare, come pizze, hamburger, panini, cose semplici e immediate, che non hanno bisogno di cotture sottovuoto, abbattitori, temperature controllate ed altri particolarità tipiche dei ristoranti di alto livello. Anche il solo pensare di poter preparare parzialmente questi cibi, infilarli in diecimila buste di plastica, affidarli a un rider che li ficchi senza tante cerimonie in uno zaino non sempre così disinfettato e lindo per poi farli riscaldare al cliente finale nella sua cucina, è pura chimera, un desiderio che si sfracellerà inevitabilmente con il disincanto di vedere la cucina inondata da bustine plasticose contenenti intrugli da assemblare e contenenti cibi che nemmeno lontanamente avranno il fascino e soprattutto il gusto di quelli che si era soliti gustare al ristorante.

Insomma, il delivery in poco tempo è passato dalla gloria al disprezzo, dalle stelle alle stalle, e sparare su di lui è diventato un po’ come sparare sulla croce rossa; e tutto perché la consegna di cibo pronto a domicilio non è e non può essere il salvatore della ristorazione.

Bella scoperta

delivery

Bella scoperta davvero: chi ha in fondo veramente mai pensato che quei tristi agnolotti recapitati a casa e mortificati in sacchetti trasparenti fossero davvero equiparabili a quei plin che ti arrivano caldi caldi al ristorante, e chi, tra i ristoratori, ha davvero mai pensato che affidarsi a piattaforme di consegna che pretendono il 30-35% del totale dell’ordine fosse davvero la via della salvezza, quando è già tanto se con il delivery si arriva a malapena a coprire le spese? Nessuno, ovviamente.

Eppure il delivery, anche applicato al fine dining e non solo alla pizza alla diavola, esiste. Esiste e, in questo momento specifico, prospera pure abbastanza. E il perché è semplice. Perché il delivery di cibo di alto livello, lungi dall’essere una soluzione, in questo momento specifico può essere comunque una pezza.

Una pezza che è una “spesa di rappresentanza”

delivery

Una pezza temporanea, ma che permette di rimanere sul mercato – anche se con tutte le difficoltà del caso – in un momento di incertezza e di crisi che durerà ancora a lungo, ben oltre il periodo di lockdown semi-obbligatorio, e che si protrarrà almeno sino a quando a tutti noi non sarà passato il terrore di entrare in un locale dove stazionare per un’oretta a stretto contatto con altri esseri umani (e non è questione di 2 o 4 metri di distanza, quando si parla di locali chiusi contenenti un discreto numero di persone e arieggiati spesso con aria condizionata, la cui parte nello spargersi di virus e microbi non è ancora stata chiarita del tutto), tutti potenziali untori spesso inconsapevoli e spanditori di virus a tradimento.

E avere una funzione di rappresentanza, soprattutto di questi tempi, non è affatto un compito disprezzabile o di second’ordine: è un modo per affermare la propria esistenza, un modo di essere presenti, di urlare forte “noi ci siamo!”, come recitano le decine di cartelli che spuntano giorno dopo giorno sulle vetrine dei ristoranti delle nostre città, un modo per far capire che la vita continua e la cucina è aperta, anche se non al pubblico, e che quando tutto sarà passato si ripartirà, presto o tardi, come e più di prima. Affidarsi al delivery è il segnale dietro al quale si riconosce la volontà di non mollare.

Ecco, questa è la funzione del delivery ora: un baluardo, un segnale, un simbolo di speranza, che ci porta anche a casa del cibo, del buon cibo da poter gustare senza il patema d’animo di virus e contagi ma senza nemmeno l’atmosfera unica che si respira entrando nel nostro ristorante preferito, accuditi e coccolati da cuochi e camerieri che arrivano sorridenti al tavolo con i nostri piatti fumanti, mentre ci facciano cullare dagli invitanti profumi che arrivano dalle cucine e dalle chiacchiere in sottofondo degli altri commensali. Questo, nessun delivery potrà mai portarcelo a casa, è ovvio. Ma con la consegna a casa avremo almeno la consolazione che quei tempi torneranno, che molti dei locali in cui amavamo recarci ci sono e ci saranno ancora, e che ci aspettano, fedeli, una volta trascorso questo tempo ingarbugliato.

Quindi, per favore, non sparate sul delivery: in fondo, non ci si ciba solo di arrosti e risottini, ma anche di attesa e di speranza.

https://www.scattidigusto.it/2020/05/12/riaperture-il-documento-inail-sulla-ristorazione-e-stato-pubblicato/
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