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Glifosato pesticida

Il glifosato causa il cancro: cos’è e cosa dice la sentenza che lo stabilisce

domenica, 12 Agosto 2018 di

svinando

Ormai sembra accertato: la sentenza del tribunale di San Francisco ha stabilito che il glifosato fa venire il cancro, e ha condannato la Monsanto, l’azienda produttrice, a risarcire un giardiniere ammalatosi per aver maneggiato per anni il glifosato con 289 milioni di dollari, 250 milioni di euro circa.

Questa, a grandi linee, la notizia, apparsa a caratteri più o meno cubitali sui giornali – di carta e online – di mezzo mondo.

Ma vediamola un po’ più da vicino.

La Monsanto Company è un’azienda multinazionale di biotecnologie agrarie, con circa 18 000 dipendenti e un fatturato di circa 14.5 miliardi di dollari (2013), fondata nel 1901 a Saint Louis, Missouri, USA. Produttore di mezzi tecnici per l’agricoltura, è nota nel settore della produzione di sementi transgeniche e, da marzo 2005, dopo l’acquisizione della Seminis Inc, è anche il maggior produttore mondiale di sementi convenzionali. Dopo il via libera da parte dell’Antitrust USA, nel giugno 2018 è acquisita dalla casa farmaceutica tedesca Bayer per un importo pari a 63 miliardi di dollari. Una volta completata la fusione, il marchio Monsanto sarà cancellato

Così inizia la voce di Wikipedia, che poi parla delle varie critiche che le vengono mosse, dalla creazione di organismi transgenici al tentativo di stabilire un monopolio delle colture intestandosi la proprietà delle varie sementi mediante brevetti e cause civili.

La notizia dell’acquisto da parte della Bayer è degli inizi di giugno, ed è stata accompagnata dall’annuncio della cancellazione, graduale, del marchio Monsanto, proprio per le critiche che lo coinvolgono. Alcuni nomi di suoi prodotti sono tanto controversi quanto quello della compagnia, ad esempio il Roundup, un pesticida il cui ingrediente attivo è il glifosato, che è un erbicida totale, cioè non selettivo. Nel 2017 la California ha inserito il glifosato in un elenco di agenti chimici che causano il cancro. Sempre nel 2017, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione, non coercitiva, per mettere al bando il pesticida entro il 2022, anche se in seguito al glifosato è stata data una nuova licenza di 5 anni.

Tra l’altro, il glifosato è di libera produzione, essendo scaduto il brevetto della Monsanto.

La sentenza del tribunale della California ha stabilito che la Monsanto debba pagare al 46enne Dewayne Johnson, giardiniere in un complesso scolastico, ammalatosi di cancro (precisamente linfoma non-Hodgkin) per aver maneggiato per anni il Roundup a base di glifosato, 289 milioni di dollari, 39 milioni il risarcimento danni più 250 milioni di indennizzo compensativo. La giudice di San Francisco ha stabilito che Monsanto è colpevole di non aver spiegato a sufficienza i rischi che l’uso prolungato di questo diserbante comportasse per la salute.

Gli avvocati della difesa sono riusciti a dimostrare che Monsanto sapeva benissimo che il glifosato era cancerogeno e che aveva fatto di tutto per nasconderlo.

Il primo pensiero – dopo le felicitazioni, per quanto improprie, a Dewayne Johnson, che si dice non abbia più che qualche mese di vita – è alle oltre 5000 cause simili a questa ancora pendenti sull’azienda di Saint Louis (o, a questo punto, sulla Bayer?), visto che un giudice federale qualche mese fa aveva sentenziato che anche i sopravvissuti al cancro o i parenti di coloro che erano deceduti potevano fare causa su queste basi.

Il secondo pensiero è, ovviamente, rivolto alla nostra realtà di cittadini e consumatori: quanto glifosato c’è intorno a noi, nei nostri prati, nei nostri piatti? Possiamo immaginare che tutto dipenda dall’esposizione a questo erbicida: Johnson lo usava costantemente, nei prati del suo complesso scolastico, e a questa esposizione prolungata deve il suo linfoma. Ma noi? Che rischi corriamo, se li corriamo, mangiando ad esempio un piatto di pasta?

Teniamo presente che ancora nel 2015 l’EFSA (European Food Safety Authority) dichiarava:

Il glifosato è una sostanza attiva ampiamente utilizzata nei pesticidi. I pesticidi a base di glifosato (cioè i formulati che contengono glifosato e altre sostanze chimiche) sono utilizzati in agricoltura e orticoltura principalmente per combattere le erbe infestanti che competono con le colture. Vengono applicati in genere prima della semina e come trattamento essiccante pre-raccolta per accelerare e uniformare il processo di maturazione,

È improbabile che la sostanza sia genotossica (cioè danneggi il DNA) o che presenti una minaccia di cancro per l’uomo. Non si propone di classificare il glifosato come cancerogeno nei regolamenti UE in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche. Nello specifico tutti gli esperti degli Stati membri, con un’unica eccezione, hanno convenuto che né i dati epidemiologici (cioè sull’uomo) né le prove da studi su animali abbiano dimostrato nessi causali tra esposizione al glifosato e insorgenza di cancro nell’uomo.

Mentre nel marzo 2015 la IARC (International Agency for Research on Cancer) aveva classificato la sostanza e i fitofarmaci che la contengono come “probabile cancerogena per l’uomo”.

Studi in laboratorio hanno dimostrato che il glifosato induce nelle cellule danni a livello genetico e stress ossidativo. Escludendo un lieve incremento di linfomi non Hodgkin tra gli agricoltori esposti, le prove di carcinogenicità sull’uomo e sugli animali sono limitate.

Tutto questo per dire che la questione è ancora controversa, e che non è detto che la sentenza californiana (contro cui la Monsanto ha annunciato ricorso) la risolva, anche perché bisognerebbe leggere per bene il dispositivo. Ovvero, controllare bene, scientificamente, le prove addotte che hanno determinato la sentenza. Il fatto che un giudice sentenzi non rende la decisione giuridica tout court un assioma scientifico. Anche se le prove contro la Monsanto (i documenti interni che attestano che il rischio era noto) sembrano incontrovertibili.

[Link: The Guardian. Immagini: The Guardian, Adnkronos, agricultura, quifinanza]

Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.