Alessandro Borghese: vinceranno i ristoranti che lavorano bene
C’ è una data fatidica che è aspettata con trepidazione da parte di tutto il settore ristorativo, e quella data è il 18 maggio. In quella data, osterie, ristoranti e trattorie dovrebbero (il condizionale è d’obbligo, in tempo di coronavirus in fase decrescente ma ancora ben lontano dall’essere estirpato) poter riaprire i battenti, e cercare di rimettere in piedi un’attività flagellata dallo scoppio del contagio da Covid-19 per il passato, e dal timore di beccarselo seduti davanti a un piatto di spaghetti alla carbonara per il futuro.
Come fare quindi a superare questo scoglio, come invogliare ancora i clienti a metter piede in un ristorante, uno spazio che “prima” della pandemia era un luogo di piacere e di convivio, un porto sicuro dove ritemprare corpo e spirito e che in futuro, invece, tra divisori in plexiglass, distanze siderali tra i commensali (due metri per tavolo, per un locale di medie dimensioni, può essere a buon titolo considerata una distanza enorme) e camerieri in guanti e mascherina assomiglierà di più a un’incursione in un campo minato o in un laboratorio di microbiologia molecolare?
Come ripensare al futuro della ristorazione, cosa accadrà quando finalmente si potrà tornare a sollevare le saracinesche, come ripenseranno la loro attività cuochi e ristoratori di tutto il mondo una volta terminato il lockdown che ci affligge da ormai quasi due mesi?
Alessandro Borghese, volto iconico della ristorazione comunicata con il programma-cult “Quattro ristoranti”, ha delle idee ben precise in merito, e le ha raccontate in una lunga intervista a Repubblica.
Innanzi tutto, per quanto rigurda il core-business di un’attività di ristorazione, ovvero il menù, per Borghese non ci saranno particolari problemi, se si punta a un menù “made in Italy 100%, che passa dalla pasta con grani italiani, all’olio extravergine, passando per i piccoli produttori che in questo particolarissimo momento storico stanno soffrendo tantissimo”. In pratica un Viva l’Italia al sapor di carbonara: “Sì, posso certamente affermare che ci sarà bisogno di menù più patriottici e meno esterofili. Perché non tornare a proporre in carta lo spaghetto al pomodoro, simbolo di grande italianità?”
Semplicità e patriottismo, quindi, saranno le armi vincenti dei menù post-coronavirus.
Per quanto rigurada invece il problema degli spazi e del distanziameto tra i clienti, Borghese ha azzarda di disporre i tavoli in un bel capannone industriale, dove le persone potranno stare belle comode e soprattutto distanziate, cosa che permetterà loro di gustarsi il pasto senza patemi d’animo causati da altri clienti, possibili untori, collocati troppo vicini: “Non è sbagliato pensare che non sarà più possibile dedicarsi alla ristorazione come si faceva prima in maniera strettamente conviviale. La distanza tra i tavoli e la tutela del cliente saranno i cardini di una ottima location”. E vabbè, per una carbonara fatta come si deve, per i comuni mortali andrà bene anche il capannone industriale, c’è da chiedersi però se lo stesso varrà per i consumatori seriali di ostriche e foie gras..
Anche per quanto riguarda il personale di sala Borghese non vede troppi problemi, in quanto seppur in divisa spaziale, i clienti, secondo lo chef, non ci faranno troppo caso né ne saranno in qualche modo intimoriti: “Ci abitueremo a vedere il personale di sala abbigliato con le giuste protezioni ma non si perderà mai il fascino di osservare lo chef all’opera: non vorrei mai si perdesse il feeling che si instaura tra i clienti e lo chef o tra i clienti e la sala”. Speriamo che sia davvero così.
Tutto a posto, quindi, menù, location, cucina e servizio?
Mica tanto, perché se dal lato “cliente” i problemi sono abbastanza risolvibili, molto meno lo sono dalla parte del ristoratore, in quanto per assicurare la giusta distanza tra tavoli e commensali si vedrà costretto, nella maggior parte dei casi, a dimezzare i coperti, con conseguenti dimezzamenti di entrate: “Questa è forse la nota dolente: se un locale che dispone di 80 coperti dovrà dimezzarli del 50% per adeguarsi alle prossime regole igienico-sanitarie, ha solo tre alternative: mantenere i prezzi invariati ma abbattere brutalmente i costi, passando soprattutto per il personale e le materie prime; aumentare i prezzi per garantire lo stesso standard; reinventarsi cambiando completamente format, per mantenersi a galla”. dice Borghese.
E chi non può o non vuole abbattere i costi – strada che porterebbe inevitabilmente alla riduzione del personale, il cui costo è uno dei maggiori, se non il maggiore, per questo tipo di attività -, aumentare i prezzi o “reinventarsi”, magari affidandosi in qualche misura al delivery, che altra soluzione ci può essere? “Non ho la palla di cristallo ma certo le strade per individuare quali potrebbero essere le scelte degli imprenditori italiani non sono infinite”, osserva lo chef.
Una situazione, quindi, che sarà pesante, ma a cui, secondo Borghese, i veri professionisti del settore, coloro che hanno attività collaudate da anni, sapranno rispondere in maniera adeguata: “Penso che chi ha sempre lavorato bene in passato continuerà a farlo e non avrà grosse difficoltà nel futuro. La risalita non sarà facile ma gli imprenditori rispettosi del proprio lavoro ce la faranno”.
Meno bene per gli altri, coloro che, soprattutto negli utlimi anni, si sono letteralmente buttati all’arrembaggio senza troppi problemi di un settore che sembrava profittevole e che invece dovranno soccombere alle nuove norme e alla nuova fase aperta dal coronavirus. Borghese qui è impietoso, e per loro la chiusura è assicurata.
“Il pressapochismo non funzionerà più – sentenzia lo chef -. Sono convinto che si arriverà alla chiusura di molte attività che negli anni si sono improvvisate, avverrà una grande scrematura; non ci sarà invece spazio per tutte quelle aziende che lavoravano male e, diciamocelo, forse sarà anche meglio. Perciò chi non è abituato a gestire i costi, chi non era organizzato nel rispetto delle regole sanitarie, chi ha preso la ristorazione come un business temporaneo verrà naturalmente tagliato fuori”. E in effetti, il ragionamento non fa una piega, anzi, detta così questa pandemia potrebbe anche portare, in futuro, a un miglioramento dell’offerta al cliente.
In pratica, continua Borghese, “chi ha sempre investito per migliorare la propria attività, avrà meno problemi rispetto a chi ha pensato di poter fare ristorazione in maniera approssimativa” E qui, lo chef non può trattenersi dal diventare auto-referenziale: “ovvio che chi come me ha sempre lavorato per dare qualità e comfort, avrà comunque delle difficoltà nella ripartenza, ma decisamente meno rispetto a chi non ha mai badato ai parametri dell’eccellenza ristorativa”.
Insomma, per Borghese nessun problema troppo grave o irrisolvibile al momento della (sospirata da tutti) riapertura di locali e ristoranti. A patto però che si sia lavorato bene e coscienziosamente nel passato.