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Vino
30 Maggio 2011 Aggiornato il 6 Aprile 2019 alle ore 20:26

Provinciali e dilettanti nel mondo del vino? Il punto di vista di Daniele Cernilli

A leggere buona parte della comunicazione sul vino che si fa in Italia c’è da farsi cadere le braccia. Mentre il mondo discute sui nuovi mercati (ad Hong
Provinciali e dilettanti nel mondo del vino? Il punto di vista di Daniele Cernilli

A leggere buona parte della comunicazione sul vino che si fa in Italia c’è da farsi cadere le braccia. Mentre il mondo discute sui nuovi mercati (ad Hong Kong la Francia batte l’Italia per 36 a 3 rispetto alle quote di mercato, che manco a rugby ci riescono), noi continuiamo a scrivere di vini folkloristici, ci accapigliamo su questioni risibili, non riusciamo a metterci d’accordo neanche sulla revoca delle Doc inutili. Pensate solo che meno di 100 denominazioni “coprono” il 90% della produzione a Doc, e che le altre 250 arrivano sì e no al 10%. Non voglio dire che siano tutte inutili, ma di un centinaio potremmo farne a meno? Magari conglobandole in denominazioni più vaste? Forse sì, o almeno, il buon senso direbbe così. Però nessuno che si sbracci più di tanto. I diritti acquisiti non si toccano, ed il Paese dei Campanili (o dei campanelli?) non si smentisce. E la stampa, i blog, i “duri e puri”? Neanche un plissé, come il Palo della Banda dell’Ortica, che però almeno faceva “el so mesté”. Meglio dividersi sui Barolo tradizionali e su quelli innovativi. Meglio dare addosso a questo o a quell’enologo, facendo il tifo per qualche suo concorrente diretto, perché sfido chiunque a distinguere i “protocolli” di produzione di questo o di quel consulente. Meglio prendersela con il possibile nuovo disciplinare del Rosso di Montalcino, un vino che esiste dal 1980, che prima si chiamava Rosso dai Vigneti di Brunello, e prima ancora Vermiglio, e che prima di quella data non era mai stato prodotto con Sangiovese al 100%. Invece ora diventa l’ultimo baluardo per la difesa di una “Tradizione” non millenaria, ma appena trentennale, sorta per cercare di dare dignità, evalore commerciale, agli scarti del Brunello. “In Borgogna i grandi vini si fanno con il Pinot Nero al 100%” tuonano gli inventori della “Tradizione”. E non è vero neanche questo, visto che nei disciplinari dei Grand Cru della Cote de Nuits, Chambertin, Romanée Conti e via dicendo, è scritto che il Pinot Nero è “le cepage dominant”, senza percentuali, ma che sono ammessi Chardonnay, Aligoté, Pinot Blanc, Pinot Gris e Gamay, fino al 15%, se “tradizionalmente” presenti nei vigneti. Una tradizione di alcuni secoli, seria, documentata, e non inventata come quella sbandierata da alcuni provinciali dilettanti, che evidentemente pensano che Karl Kraus sia il difensore centrale del Borussia Dortmund.

Doctor Wine

 

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