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Lorenzo da Bottura. La lezione da ricordare

venerdì, 16 Luglio 2010 di

lorenzo-linguini-ritratto Sicuramente molti lo conosceranno. Lorenzo Sandano, all’anagrafe web Italian Linguini, è un giovanissimo che ha appena compiuto 19 anni. Personaggio fuori dagli schemi consolidati dei suoi coetanei. Al compleanno, invece di farsi regalare un aggeggio elettronico, se ne va da Salvatore Tassa con l’amico Andrea Sponzilli o invita altri appassionati di gastronomia a festeggiarlo nello spazio dei Fooders chiedendo a Gabriele Bonci un piatto da ricordare. E così che inizia la saga della Bestia di 11 anni spagnola. E lì che conosco Vincenzo il salvatore (del Conciato di Frosinone). Insomma Lorenzo è un giovane che promette bene , fine intenditore, ricercatore scrupoloso e che può contare su maestri di peso come Gabriele Bonci di Pizzarium e Vincenzo Mancino di Dol. Due rabdomanti della materia prima mica da ridere. Lorenzo studia la gastronomia (in realtà è fresco diplomato del Liceo Artistico) con molta attenzione. Ha già seguito un corso di panificazione da Gabriele e si è inventato una pizza con fagioli del Purgatorio, lardo di San Nicola e Conciato di San Vittore. Al Michelangelo della pizza è piaciuta e ieri l’ha messa nella carta del Pizzarium. Poteva scattidigusto lasciarsi scappare un purosangue che avrà molto da correre? (V.P.)

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“Conoscere tutto per poi dimenticarsi di tutto”
È questa la frase che continua a ronzarmi in testa da quando Massimo Bottura, chef modenese dell’Osteria Francescana, irrompeva nelle cucine della Città del Gusto a Roma pronto a sconvolgere drasticamente il mio rapporto con la cucina moderna.
Non c’è tempo per presentazioni e formalismi, nemmeno per mettersi la “parannanza” (in effetti non ce ne sarà bisogno), il protagonista è lui: Massimo, l’artista, lo chef, il genio.
La lezione è atipica ed innovativa in tutto il suo svolgimento, come la sua cucina. Si inizia infatti con il percorso che porta alla nascita di un fine pasto, un dessert … e che dessert!
Provocazione, tecnica ed ingredienti d’eccezione per il suo “dolce ancora senza un nome”, che sfida i sensi ed i confini estremi del gusto, camminando in punta di piedi sul confine tra dolce e salato, ma riportando un assoluto equilibrio ad ogni singolo boccone. Capperi di Pantelleria , origano siciliano, arancia candita, amarene di Modena e pomodorini vesuviani confit vengono aromatizzati con olio al basilico ed al peperoncino per poi essere ricoperti da una delicata spuma sifonata di ricotta di bufala e miele e da una grattugiata della stessa ricotta lasciata abilmente affumicare in foglie di tè nero Lapsang Suchang.

ricotta

Questo è il piatto che ci proietta immediatamente nel fantastico percorso creativo della cucina di Massimo. Una cucina composta da punti fissi che delinea un filo conduttore concreto non lasciando spazio ad alcun dubbio.
Per Bottura fare avanguardia significa affiancare alle grandi tecniche moderne l’eccellenza della materia prima italiana abbattendo ogni confine o concetto di KmØ, prendendo in considerazione l’intero territorio della nostra penisola.
La ricerca però non si ferma qui. Citando addirittura il “cubismo” di Picasso, Massimo ci illustra la sua idea di analizzare ogni singolo ingrediente e preparazione a 360 gradi, mettendo in gioco tutto pur mantenendo sapori veri e concreti.
La tradizione non va abbandonata, un elemento della sua terra, della sua infanzia, è sempre presente in ogni suo piatto: fa la differenza e regala emozioni uniche.
Su questa linea si prosegue quasi ipnotizzati dalla dialettica dello chef che svela nuove facce della sua cucina con altre preparazioni.
Il raviolo “Come mangiare il cotechino a luglio”, ulteriore sintesi dei concetti espressi precedentemente, gioca sulla possibilità di valorizzare un prodotto d’eccellenza come il cotechino in qualsiasi periodo dell’anno.
Questa volta però si aggiungono nuove fonti d’ispirazione: l’inimitabile raviolo di Pierangelini ed il classico dumpling giapponese, reso unico dalla sua gelatina nel ripieno.

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Da queste basi Massimo forgia il suo capolavoro: il miglior cotechino viene privato della sua parte grassa con una particolare cottura al vapore nel Lambrusco. Il composto gelatinoso che si ricava è amalgamato con tre differenti tipi di lenticchie (decorticata, Castelluccio, Colfiorito): un esplosivo concentrato di consistenze e sapori.
La sfoglia del raviolo, tirata alla perfezione, viene spennellata a fine cottura con burro chiarificato per reintrodurre la parte grassa, ed aromatizzata con olio essenziale al rosmarino. Concentrazione in ogni singolo dettaglio in modo da appagare il gusto con sensazioni innovative senza mai annoiare il palato.
Su queste rotte deve viaggiare la nuova cucina italiana che, insieme a quella spagnola, a detta di Massimo, vola già molto più in alto della fin troppo celebrata scuola francese.
Saltano così fuori i nomi degli altri grandi esponenti simbolo di questa rivoluzione culinaria made in Italy. “Mauro a Senigallia”, “Gennaro a Vico”, “Ciccio a Ragusa” e “Niko a Rivisondoli”. Personaggi, secondo Bottura, in grado di racchiudere in ogni singolo piatto, ricerca, tecnica, materia prima e tradizione, legando e armonizzando alla perfezione gli elementi tra loro.

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Proprio su questo concetto si fonda un’altra preparazione chiave di Max che è stata definita dallo stesso Ducasse il simbolo della cucina d’avanguardia moderna: la compressione di pasta e fagioli. In questo piatto più che mai si ritrova l’armonia di tutti gli elementi che compongono il grande percorso creativo di Bottura. In un unico bicchiere sono così disposti a strati: crème rosale di fagioli, foie gras e cotenna (abbinamento di ingredienti poveri con un ingrediente d’eccellenza in ricordo della Francia), brunoise di pancetta e radicchio a controbilanciare la dolcezza del fegato grasso, maltagliati di crosta di parmigiano reggiano (il ricordo, la tradizione, la nonna, il particolare in grado di fare la differenza), crema di fagioli Lamon ad esaltare la materia prima, e per finire una spuma di rosmarino a celebrare Adrià e la sua Spagna. Una preparazione che stupisce, emoziona e commuove portando la lezione ad altissimi livelli.
Il finale, però, è un continuo crescendo che conduce nuovamente alla materia prima stravolgendo il ruolo dei sapori e degli ingredienti. Così nasce “La speranza di una patata di diventare tartufo”, un’ulteriore trasposizione tra dolce e salato che punta a valorizzare pienamente il tubero più amato dagli italiani. Dopo aver analizzato differenti tipologie di patate, ed aver optato per quella piemontese, l’ortaggio viene scherzosamente elevato al livello del pesce adottando una cottura sotto sale con l’aggiunta di zucchero. La polpa, amalgamata con uovo e nocciole piemontesi I.G.P. viene cosparsa da una crema sifonata alla vaniglia e spolverata con nobili lamelle di tartufo nero. L’alimento inizialmente povero, contrapposto a quello più ricco, si rivela così incredibilmente vincente facendo trionfare la mineralità della buccia di patata sulle note aromatiche del tartufo. Con questo ennesimo assaggio lo chef convince tutti all’unanimità non lasciando spazio a chi in un recente passato lo ha infondatamente criticato; “pochi bla bla ma fatti concreti” recita Bottura deciso e ironico… e come dargli torto?!? C’è giusto il tempo di un saluto, una foto e di una dedica che non dimenticherò mai: “Al mio ragazzo di bottega a km 0 preferito…Vivi la vita come un sogno!”.

La lezione però è solo l’antipasto dell’esaltante cena che si è tenuta la sera al Teatro del Gusto del Gambero Rosso. Restate connessi su scattidigusto per la seconda puntata 🙂

[Foto: Francesco Arena, Lorenzo Sandano, Andrea Sponzilli]