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I luoghi comuni del vino. Surmaturazione meglio di armonia, ad esempio

giovedì, 26 Aprile 2012 di

La scusa sono state due bottiglie diversissime, un ’92 e un ’04, di un grande rosso italiano del sud. Chi fosse non importa, quello che importa è ragionare sulla discussione che hanno generato. Il ’92 era già dal primo momento dalla bottiglia al bicchiere smaccato, con note evidenti di surmaturazione. “dategli tempo, vedrete cosa viene fuori”, questo diceva l’artefice, io tra me e me non potevo fare a meno di pensare, che nel giro di poco tempo a contatto con l’ossigeno nel bicchiere avrebbe fatto la fine delle mummie egizie esposte all’aria dopo anni di cripta. Così è stato, dopo qualche minuto i profumi di frutta cotta e marmellata, hanno virato verso il dado, ma proprio quello del dottor Liebig. Qualcuno ancora provava a dire che aspettando sarebbe uscito il vino… invece la sola cosa che usciva aspettando era una acidità tagliente di scissione, da corpo smagrito dal tempo, qualcuno diceva “però per avere 24 anni è ancora giovane, senti che acidità”

Il 2004 dello stesso vino urlava mediterraneo e potenza, il naso ricco e speziato, profumava di oriente e di viaggi lontani. In bocca la trama tannica viva e irruente, ma fittissima, l’acidità, qui si di giovinezza, fresca e corroborante ne sosteneva pericolosamente la beva. Un sorso pieno, ancora fresco ma già armonico e solido, nel tempo giungerà la mineralità e le note ancestrali di humus lo sfaccetteranno adeguatamente. Il produttore ne era contento, ma diceva è giovanissimo, troppo. Quanti luoghi comuni abbiamo digerito con gli anni, di quanti di questi dovremmo liberarci: Vini rossi bevuti caldi, scambiare note fanè e sfiorite per complessità, cercare sempre qualcosa in più nel bicchiere al di la dell’armonia.

L’ho detto e ridetto, bere vino è una roba abbastanza semplice, dovrebbe essere anche immediata e facile. Non una complicazione inutile. Quello che bisognerebbe cercare nel vino è una armonia sensoriale complessiva, una piacevolezza intrigante e sbarazzina. Per questo mi sembra che sia sempre più difficile trovare vini che invecchino armonicamente, per carità quando succede è una gioia, ma è sempre più raro. I vini vengono “disegnati” sempre più per essere gradevoli subito, per essere disponibili e compiti, un vino così cesellato difficilmente sfiderà il tempo e migliorerà in affinamento. Tutta la tecnica enologica e agronomica è tesa a stemperare le cuspidi e a fare vini il più possibile pronti per il mercato, mi chiedo se sia un bene?

I nostri padri questo lo sapevano benissimo, facevano vini diversi per occasioni diverse. Allegre barbere gastronomiche da salumi e serate di inverno, Cerasuolo freschi per supportare i pasti che dovevano dare energia nel lavoro, nobili sangiovese per momenti di festa e particolari, allegri greco di tufo per dare conforto nella calura estiva e così via, oggi? Tutto meno definito.

Ricordo con gioia le bottiglie di barolo della cantina di mio padre con la dicitura “il principe dei vini, si lascia aspettare e non aspetta”.