mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

ZiQù, allora esiste qualche sorpresa per il foodie più scaltro a Capri

venerdì, 21 Settembre 2012 di

Domanda: può ancora Capri, isola, si sa, meravigliosa ma oramai ben squadernata e sempre meno misteriosa, regalare ancora sorprese allo scout “foodie”? Risposta: sì, con un po’ di fortuna, e grazie al lavoro (attento) di qualcuno.

Scenario, Marina Grande, la parte “nobile” dell’isola, ma a qualche chilometro di quiete dal cicaleccio e lo struscio vagamente compulsivi della Piazzetta. Un cinque stelle-casa, o se preferite, un relais-villa. Ex proprietà padronale, ora albergo rifinito (ma che dello status precedente conserva nuance d’anima) guidato da mani femminili ferme, fini e affettuose nel contempo. Ventidue tra stanze e suite, dedicate ognuna a un protagonista della cultura e dell’arte legato a Capri; le più fascinose con grande terrazzo affacciato sulla bellezza, e sovrastante solarium privé con jacuzzi grande taglia “open air”; poi piccola piscina-cammeo (da fusa al sole, non da nuoto); splendido giardino; progetto d’orto in grande (per ora già erbario, ortaggi e frutta); spa misurata ma assai curata; ristorante. Ed eccoci…

Si chiama ZiQù, e il nome può ispirare (o far temere…) souvenir di fusion asservite al trendy (e troppe volte improvvisate), o creatività come ineluttabile missione (premessa spesso compulsiva e dagli esiti moolto random).  Nulla di ciò, per fortuna.

Nunzio Spagnuolo, lo chef cui Francesca Guarino, manager e proprietaria, ha affidato il “ministero” della gastronomia a Villa Marina, ha capacità, scuola (ora vi dico), esperienza. E saggezza senza smanie ansiose. Si capisce che avrebbe cognizioni (e mano) per spingersi anche in terreni più apertamente sperimentali di quelli che batte ora. Ma lui guida il mezzo (per stare in metafora automobilistica) in ragionato eco-drive, senza accelerare alla disperata, proporzionando velocità e cilindrata a struttura e target. Ma con esiti di grande pulizia e indubbia soddisfazione.

Il suo percorso vede una sosta nodale dal maestro Marchesi (Erbusco, ma poi anche Roma e Parigi) e abbastanza lunga da consentirgli di lavorare in sequenza con chef come Lopriore, Berton e Crippa (triade tutta marchesiana, ma che più assortita non si potrebbe). Poi, oltre a escursioni estere e passaggi all’Acero Rosso di Rimini e l’Angiolieri di Seiano, un pit stop all’atelier di herr Heinz Beck, dove ci si forma oltre che in fornelli tout court, anche in conduzione e team management d’alta cucina. Risultato? Eccolo in tavola:

  1. il crudo (un must, ormai, ovunque) dove però la sequenza di tartare, in questo caso, non è solo un assortimento di specie ittiche (ricciola, palamito, gamberi siculi…) e insaporimenti vari, ma è consapevolmente costruita a “scala”, gamma a crescere in intensità e complessità ben conclusa dall’apice del millefoglie di capasanta, base dolce ma “tirata” con decisione dagli accenti acuti di sale aromatico, soia e zenzero.
  2. in alternativa (piatto generosamente inserito anche tra le insalate servite a bordo piscina) la gustosa salade tiepida di gamberi al sesamo, salsa di guacamole, verdure, nota agrodolce e tema croccante ribadito dalla presenza, nel “sottofondo” di vegetali, anche della mandorla spezzata (e volutamente non spellata)
  3. l’evocazione vagamente “Ruski” (qui, nella padella caprese, di ospiti dalle terre dell’ex Urss ne piovono inevitabilmente un certo numero) del salmone (consistenza e sapore interessanti, zero fibrosità o untuosità eccessiva) marinato (e colorato) nel jus di barbabietola, creme acida e caviale, e a parte il “risciacquo” (un filo troppo dolce nello specifico, ma per “colpa” di un frutto molto generoso in zuccheri) della granita di mela
  4. il risotto (un Carnaroli) al basilico e polvere di limoni con filetti di triglia croccante: piacevole base “fresca”, non stucchevole, e triglia soda: non troppo “crunchy” ma dal gusto ampiamente sufficiente
  5. il doveroso omaggio “regionale” della pasta (lunga) con acciughe, colatura e briciole di pane, di ineludibile quanto consapevole sapidità (in parte omaggio a uno dei maestri: <Heinz fa salare davvero senza timidezza le cose, poi quando assaggi: miracolo! Si sentono tutti i sapori, mica il sale>) ma “corretta” da un tono acuto di acidità che verticalizza il piatto (la pasta, per inciso, non ha mollezze di sorta, ma non sta neanche impalata in piedi come un soldato scemo, e come da qualche parte ormai, chissà perché, è ritenuta una sciccheria)
  6. il “localismo” numero due (miglia marine non zero, ma poche) della pezzogna, su verdure e patate (un po’ scolastico il taglio delle verdure, ma perfetto il “tono” del pesce e ottima la salsa)
  7. dessert duepezzi (mai stancarsi di ricordare che la pasticceria è un mondo a parte…) che assembla la passione dello chef per l’argomento (ma la passione, pur importantissima, non è però esaustiva) e il doveroso “inchino” al rito napoletano: ecco dunque la pastiera rivisitata, ineludibile a queste latitudini (come, del resto, la poularde de Bresse negli stellati classici francesi da George Blanc in poi) con crumble come tetto; e un “ricotta e pere”. Arcicorretta, peraltro, la piccola pasticceria, e buone le “svogliature” di mini sfogliatelle e cantuccini caldi sfornate dalla cucina (che, attenzione, dista qualche metro dalla terrace del ristorante, dove i piatti arrivano “camminati”, eppure tutti – sotto campana – assolutamente irreprensibili per temperature e amalgama).

 

ZiQù chiude battenti (seguendo le pause e i ritmi della Villa) a metà ottobre. Tre settimane dunque per gustare questo menu. Poi, appuntamento ad aprile per il nuovo. Questo (s’è capito?) ci è piaciuto. Per il prossimo vi terremo aggiornati…

Ziqù Villa Marina. Via Prov. Marina Grande, 191 80073 Capri (Napoli). Tel. +39 081 8376630