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Caso Ruby. Donne e bottiglie per assaggiatori di vini pregiati

lunedì, 03 Giugno 2013 di

svinando

vino

Un’arringa che si rispetti non può prescindere da similitudini efficaci. Me lo hanno insegnato i miei studi similgiuridici ma soprattutto le ore spese sul divano della nonna a fagocitare patatine e puntate su puntate di Law and Order&co.

Una similitudine è stata espressa nella richiesta di condanna a 7 anni di reclusione per Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minnetti, coinvolti nel rocambolesco processo Ruby2, secondo voci d’accusa a dir poco inquietanti: induzione e favoreggiamento alla prostituzione (anche minorile).

Ormai non mi stupisco più, ma trattengo a fatica un brivido di indignazione, convinta che le gratificazioni che la vita è in grado di offrire siano ben altre. A partire da un buon bicchiere di vino.

Leggendo su Repubblica.it l’articolo di commento alla lunga requisitoria del pm Antonio Sangermano, intercetto questo passaggio:

“Non diciamo compari, perché è un termine dispregiativo, ma definiamoli sodali e complici”. Sangermano definisce così il legame tra Fede e Mora. Secondo il pm, i due seguivano sempre lo stesso schema nell’individuare le ragazze da portare ad Arcore e nell’inserirle all’interno del circuito. Si comportavano “come assaggiatori di vini pregiati” che valutavano la gradevolezza estetica delle giovani, poi le facevano “un minimo esamino di presentabilità socio-relazionale” e le immettevano nel circuito. “Questi signori – afferma il pm – hanno condiviso l’organizzazione del sistema che ha dato frutti e vantaggi a tutti”.

Emilio Fede e Lele Mora come assaggiatori di vini pregiati. Più che una provocazione, un complimento. Poiché, fermo restando il sottofondo venale, c’è poco della nobiltà di spirito e del senso di rispetto che attiene al mestiere del degustatore.

Insomma, a parte il legame con le “orge bacchiche” consumate in quel di Arcore, il vino c’entra ben poco. 

Oggi replica Niccolò Ghedini che si è definito avvocato del Re Luigi XVI.

[Daniela Dioguardi]