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Di cosa parliamo quando protestiamo per i sacchetti dell’ortofrutta a pagamento

mercoledì, 03 Gennaio 2018 di

Il web è in fiamme per l’assurda “tassa” da pagare al supermercato: tra 1 e 5 centesimi (ma nella bottega sotto casa si potrebbe arrivare a 10 centesimi) costano i nuovi sacchetti per l’ortofrutta biodegradabili e non riutilizzabili, cioè li paghiamo e c’è l’obbligo degli esercenti e supermercati di farceli pagare, li portiamo a casa con la nostra spesa e poi possiamo solo utilizzarli per l’umido della raccolta differenziata.

Vietato, vietatissimo, portarli di nuovo al supermercato per mettere dentro una nuova spesa. Il pericolo è la contaminazione.

La levata di scudi è stata immediata. In questo avvio di 2018 che è tutto, come al solito, aumento di tasse, balzelli, prezzi dei servizi nazionali, locali, regionali, provinciali, l’acquisto della busta per l’ortofrutta – quella che ci pesiamo in self service – è apparso come un regalo a qualcuno. Per i supporter a vantaggio delle capacità delle aziende italiane di produrre i sacchetti bio e riciclabili che non saranno la svolta definitiva all’inquinamento del mare e delle acqua, ma una mano possono fornirla. Per i detrattori si tratta dell’oscuro complotto a danno dei contribuenti italiani che, notoriamente molto attenti a non lasciare rifiuti su spiagge e prati, favorirà l’industriale amico del politico di turno.

Stando ai fatti, sarebbe bene ricordare perché abbiamo questo nuovo obbligo cui sottostare, operatori commerciali e consumatori, onde evitare le sanzioni previste (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 25mila € che arriva a 100mila € se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica o un valore di queste ultime è superiore al 10 per cento del fatturato del trasgressore.).

Estate 2017, esattamente il 3 agosto, diventa legge un decreto del 20 giugno, il n. 91

Decreto legge recante “disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno, convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.”

Per i più distratti ricorderò che proprio in quell’allegato sono presenti le norme che stanno infiammando i primi giorni social di questo nuovo anno.

Proprio quelle che parlano di “riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”

Le cose della legge che ci interessano

Vogliamo capire perché vengono prese in considerazione anche le buste ultraleggere (in pratica le bustine che nei reparti dell’ortofrutta vengono utilizzate per prelevare e pesare frutta e verdura).

La direttiva n. 2015/720 prevede al comma 1 ter dell’art.4 che “gli Stati membri possono adottare misure tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.”

Ben venga l’applicazione estensiva delle norme, nonostante la stessa direttiva preveda al comma 1 bis la possibilità di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero.
Ogni attività volta a migliorare la gestione rifiuti è meritoria.

Vogliamo capire perché dobbiamo pagare le “nuove” bustine

La legge di “delegazione europea”, la n.170/2016, all’art.4, oltre a garantire il medesimo livello di tutela ambientale adottato in precedenza, prevede l’espresso divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ammesse al commercio.
La direttiva n. 2015/720 al comma 1 ter dell’art.4 non pone limiti in ordine a quale tipo di borse di plastica possano escludersi da tali divieti.
Ne consegue che le uniche buste utili per “imballaggio primario“ diventano quelle biodegradabili e compostabili, che dobbiamo quindi pagare.

Da quanto verificato sul campo in questi giorni gli importi risultano davvero minimi, rendendo davvero poco sensate quelle proteste che si trovano sui social.
Sicuramente pagavamo le buste di plastica che ci venivano fornite “gratuitamente”, avere ora questi importi irrisori esplicitati non dovrebbe creare particolare danno.
L’obbligo del pagamento dovrebbe servire come disincentivo agli sprechi, ma l’importo minimo (molto più basso di una confezione di sacchetti bio per l’umido) consentirebbe di metterne da parte una consistente quantità di sacchetti nuovi per un successivo utilizzo.

Vogliamo capire a cosa servirà questa legge

La nuova legge persegue una drastica riduzione dell’utilizzo di borse ultraleggere.
La direttiva 94/62/CE contempla la possibilità di introdurre anche restrizioni alla commercializzazione (purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie), “indipendentemente dal loro spessore.”
Ecco che il DL 91/2017 prevede che siano commercializzabili solo le borse di plastica “biodegradabili e compostabili” e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile.
Contenuto destinato ad aumentare nel tempo fino al 60% dal 1° gennaio 2021.

Non credo possa indurre un aumento nell’uso di imballaggi, la GDO è già molto attenta in questo, e sia la benvenuta una manovra atta a promuovere l’industria italiana.
Perché così inquineremo di meno. E’ ormai sotto gli occhi di tutti la situazione dei mari.
I media cercano spesso di sensibilizzarci, noi siamo, a mio parere, piuttosto “scettici”.
Eppure il problema della plastica, pur non essendo l’unico, potrebbe aiutare a migliorare il livello qualitativo dei nostri mari. Come detto non molto tempo fa da Francesca Santoro – responsabile del progetto Ocean Literacy dell’UNESCO – “consumare meno plastica, usare meno buste e meno bottigliette, impegnarci di più nel riciclo dei materiali e magari nel consumo di prodotti che siano stati realizzati secondo paramenti rispettosi degli equilibri dell’ambiente.
Persino quando compriamo i pesci possiamo ricordarci di scegliere quelli che arrivano da una pesca eco-sostenibile. Insomma, possiamo fare proprio tanto

Ecco, fare la nostra parte non sarebbe male.

Noi saremmo favorevoli, anche se come riporta Il Sole 24 Ore, ci potrebbe essere qualche effetto boomerang di questa decisione (qualche anno fa era stato proposto di sostituire la plastica con le reticelle in cotone riutilizzabile).

Primo effetto della norma: è necessario che la produzione sia adeguata alla domanda. Se non vi sarà disponibilità, o quando i magazzini saranno vuoti, alcuni supermercati potranno denunciare i fornitori che si rifiuteranno di vendere loro i sacchetti a norma.

Secondo effetto possibile: con l’obbligo del monouso viene promosso l’uso di prodotti usa-e-getta e viene vietato l’uso di imballaggi riutilizzabili. Non sarà possibile presentarsi al supermercato con il proprio sacchetto privato che si riutilizza più volte.

Terza possibile conseguenza della norma: poiché per legge il costo dell’imballaggio non può essere assorbito nel prezzo complessivo del servizio, molti consumatori abbandoneranno il prodotto sfuso e si rivolgeranno ai prodotti già confezionati. Invece di prendere i frutti con il guanto usa-e-getta, pesarli nel sacchetto biodegradabile, etichettarli e poi alla cassa pagare il sacchetto, molti consumatori prenderanno la vaschetta di polistirolo con i frutti già imbustati. In altre parole, più imballaggi in circolazione.

Quarto probabile effetto. La convinzione che il prodotto biodegradabile non abbia impatto ambientale può dare ai maleducati una giustificazione per gettarlo nell’ambiente, affermando che tanto sparirà. Non è vero: il sacchetto biodegradabile sparisce in tempi brevi solamente nelle condizioni appropriate, come quelle degli impianti di compostaggio.

Per chiudere qualche riferimento storico-normativo.

  1. Imballaggi, cosa dobbiamo sapere.
    La direttiva 94/62/CE parla di imballaggi e di rifiuti da essi derivanti.
    Lo fa cercando semplicemente di armonizzare le misure nazionali in materia, per assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente.
    Fissa, e teniamolo presente, la possibilità di adottare strumenti economici (come prezzi, imposte e prelievi) per promuovere gli obiettivi della presente direttiva.
  2. Buste di plastica, un problema sottovalutato.
    Sempre più elevati livelli di rifiuti dispersi, un crescente inquinamento ambientale, una minaccia sempre maggiore agli ecosistemi acquatici nel mondo.
    Queste alcune considerazioni contenute nella Direttiva (UE) 2015/720.
  3. Leggi all’italiana, ovvero la strana attuazione della Direttiva Comunitaria.
    La Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) e l’art. 2 del DL n. 2/2012, non rispettando i criteri dettati dalle norme europee portano la CE ad avviare nei confronti dell’Italia più di una procedura d’infrazione (per sanzionare la violazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario).
    Solo il 2 marzo 2016 il CIAE (Comitato Interministeriale per gli Affari Europei) comunica di aver preso in considerazione, un caso urgente, ovvero la “Procedura d’infrazione n. 2011/4030 ed EU Pilot 8311/16/GROW (una nuova procedura di comunicazione su base informatica) relativa al divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica.”
    Il CIAE ha deliberato che il Ministero dell’Ambiente predisponga al più presto lo schema legislativo di recepimento della direttiva 2015/720/UE per concludere il medesimo in anticipo rispetto al termine ultimo fissato dalla direttiva (novembre 2016).
  4. Pasticcio all’italiana, ancora una procedura d’infrazione.
    Non avendo rispettato il termine temporale indicato, la CE apre una nuova procedura d’infrazione, la n. 2017/127, emettendo parere motivato in proposito il 14 giugno scorso.
    E’ su questa base che nel DL per il Mezzogiorno convertito in legge il 3 agosto scorso, vengono inserite le Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720, già approntate nel dicembre del 2016.

[Immagini: ADN Kronos, Lineaflesh]