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Luci e ombre di Starbucks che apre a Milano e vende la licenza a 7,5 miliardi di dollari

mercoledì, 29 Agosto 2018 di

Il tanto atteso Starbucks milanese in Cordusio, il primo in Italia, apre la settimana prossima – giovedì 6 settembre – ma c’è già chi si lamenta del fatto che sia a Milano anziché in un qualsiasi altro punto della penisola, cioè il più possibile sotto casa propria.

Bene – potete smettere di lamentarvi. La Nestlé ha infatti concluso un accordo con Starbucks comprando la licenza a 7,15 miliardi di dollari per commercializzare i prodotti di quest’ultima in tutto il mondo, Italia compresa.

«Attraverso questa alleanza – si legge in una nota di Nestlé – le due compagnie lavoreranno fianco a fianco sulla gamma esistente di caffè torrefatto e macinato a marchio Starbucks, sui grani interi così come sui caffè istantanei e porzionati».

Nestlé potrà commercializzare i prodotti di Starbucks, tranne i “ready to drink”, ovvero quelli già pronti per il consumo, al di fuori dei 28.000 locali Starbucks sparsi nel mondo, un business stimato in 2 miliardi l’anno. Immaginiamo con il marchio Nestlé apposto da qualche parte, a sottolineare l’incombere di questo “grande fratello” dell’alimentazione mondiale e dei suoi prodotti sulla nostra vita alimentare quotidiana.

starbucks negozio interno

Starbucks continuerà a produrre caffè confezionato e altri prodotti nel Nord America, mentre Nestlé, che si occuperà anche della vendita (pagando una royalty a Starbucks) lo produrrà nel resto del mondo.

7,5 miliardi di dollari è una cifra straordinaria già in sé – noi ci mettiamo 20 minuti solo a stabilire quanti zeri ci vogliono per scriverla – ma che lascia pensare a quelli che possono essere in previsione i futuri guadagni.

Nestlé nel 2015 ha fatturato 14,5 miliardi di euro con i soli marchi Nespresso (che vale 2,5 miliardi) e Nescafé, il caffé solubile più venduto al mondo, davanti a Starbucks che ha registrato un giro d’affari di 13,9 miliardi.

Va anche considerato che la Nestlé sono anni che cerca di entrare nel ricco mercato statunitense, anche con il marchio Dolce Gusto, facendo molta fatica peraltro. Inoltre, Starbucks ha lanciato di recente una linea di capsule per il caffè compatibili con le macchine Nespresso: motivo in più per arrivare all’accordo e renderlo operativo. C’era in gioco una bella fetta del mercato delle tazzine di caffè. E anche un buon numero – che immaginiamo già in aumento – di capsule, che ahimé, per quanto compostabili, richiederanno comunque energia per produrle e per smaltirle.

A questo proposito, riportiamo parte di un intervento di Sergio Noto, professore di Storia Economica all’Università di Verona, pubblicato a maggio sul Fatto Quotidiano:

Tutto incominciò con le capsule. Queste sono delle dosi singole di caffè, mescolato variamente con altre sostanze, racchiuso in involucri spesso non riciclabili, di facile preparazione, vendute al costo di non meno di 70 euro per chilo di prodotto. A seguito dell’introduzione di queste capsule, il mercato del caffè per i consumi privati (e non solo) si è modificato radicalmente. Mentre il costo medio di una tazzina di caffè realizzato con la tradizionale moka restava pari a € 0,12, quello realizzato con le capsule si posizionava a € 0,40, superando sia la macchina a cialde e polvere (€ 0,18), sia quello realizzato con la macchina automatica (macina il caffè in grani), pari a € 0,08. È stato calcolato che il costo medio del caffè in un anno (quattro caffè al giorno compresa la macchina) è pari a una media di € 194 con la moka, contro gli € 693 con le capsule.

Noto paventa che il cambiamento nel gusto degli italiani per il caffè, potenzialmente in atto con il sistema delle capsule-cialde, possa essere accelerato dall’avvento dei nuovi caffè Nestlé.

Curiosamente, o almeno così dovrebbe essere perché l’accordo di licenza è datato maggio e solo ora è stato reso ufficiale, la tv pubblica della Svizzera, Paese in cui ha sede la Nestlè, ha mandato in onda un documentario dal titolo “Starbucks senza filtro, dietro le quinte del caffè” che getta un’ombra sul colosso di Seattle, come annota Repubblica.

I 350 mila dipendenti di Starbucks non sono considerati tali ma partner secondo la visione dell’inventore di Starbucks che gode della reputazione di imprenditore illuminato con i suoi 28 mila locali sparsi nel mondo che illuminano i clienti con l’immagine della riuscita sociale. “Noi dobbiamo servire il cliente in meno di 3 minuti. Dobbiamo essere un po’ come dei robot”, spiega il direttore di un locale a Parigi a un neo-assunto ripreso a sua insaputa da una telecamera nascosta.

E ora Starbucks apre in Italia e forse dovremmo chiederci se il rito della moka, già messo a dura prova dalle cialde, subirà l’ultimo affondo dai bicchieroni americani diventati un po’ svizzeri. Sarà davvero così?

[Fonti: Il Sole 24Ore, Il Fatto Quotidiano, Panorama]

 

 

Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.