mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

Ristoranti. L’Emilia Romagna è il paese di Bengodi: un metro tra i tavoli

Le norme della Regione Emilia Romagna incontrano il favore dei ristoratori che vogliono riaprire lunedì 18 maggio senza troppi problemi
giovedì, 14 Maggio 2020 di

“Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua”.

Il paese immaginario di Berlinzone, a millanta miglia da Firenze per Boccaccio che l’immagina nella terra de’ Baschi, oggi è Bologna, contrada del palazzo della Regione retta dal Presidente Stefano Bonaccini che vuole superare con tanto di freccia e metro il collega veneto Luca Zaia.

albero della cuccagna Goya

Gli osti della Cuccagna gridano festosi e grati al nuovo condottiero che, in uno con il suo assessore al commercio Stefano Corsini, ha tirato fuori la pergamena che ridà speranza non solo al popolo dell’Emilia Romagna ma accende voglie di pugna sopra e sotto il Rubicone.

Niente più due metri di distanza tra i tavoli, niente 4 metri quadri di respiro per ciascun avventore delle locande, a che serve misurare la febbre ai clienti prima di entrare nell’osteria e non ne parliamo di certificazioni e auto certificazioni.

Meglio ricorrere alla formula magica Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Sento rumore di sciacquone per gettare via le prescrizioni dell’Inail – che vuol dire Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro – buone soltanto a mettere un insopportabile giogo delle regole alla voglia di festa trimalcionesca che alberga in tutti noi.

E lo dice anche Boccaccio, solo vernaccia senza nemmeno un droplet a impensierire.

Voglia il cielo che Corsini non sia la reincarnazione di Don Ferrante alle prese anch’egli con la peste manzoniana. Lo ricordate, nevvero, il buon uomo che accoglie Lucia e scrive al Borromeo una lettera in cui inserisce molti “fiori”, ovvero sottigliezze retoriche da cui bisognerà ricavare “il sugo”?

tagliatelle

Non pensate a quello che finirà sulle tagliatelle, ma al suo dotto filosofeggiare di cui il Manzoni ci dà ragguaglio. Don Ferrante era uomo di libri e la peste se lo era portato via perché convinto che, in base alla dottrina aristotelica, in natura ci siano solo sostanze e accidenti. E il contagio non corrisponde a nessuna delle due, il che dimostra la sua inesistenza. Non può passare da corpo a corpo perché non è sostanza che possiamo afferrare. Il contagio esiste, ma lo sappiamo da lui, è dovuto alla congiunzione di Giove e Saturno.

Liberi, siamo liberi e solo il piccolo intoppo della mascherina, che potremmo riporre al tavolo sotto il piatto o in bellissimi cofanetti ricamati ad uncinetto, non ci priverà della voglia di ritornare al ristorante.

La nostra nuova contrada di Bengodi mette al bando i dannati untori dell’Inail buoni solo a spargere le polverine come nella processione del Seicento che ammalò Milano. Le stesse polverine che ora si sono trasferite ai Navigli ma che non possono infettare le pianure della bassa lombarda e dell’opulenta Emilia.

Siamo contenti che il romanzo di questa nuova peste abbia così lieto fine. Lo diceva anche il Manzoni che a guardar per aria non c’è metro e giudizio ma soltanto il rischio di non vedere per terra e incespicare nel nuovo paese di Cuccagna.

pane

“Ma dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedistallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d’un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarle pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a’ suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. — Vediamo un po’ che affare è questo — disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. — È pane davvero! — disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: — così lo seminano in questo paese? In quest’anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? che sia il paese di cuccagna questo?”