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Nuovo Dpcm, botta finale ai ristoranti. La chiusura alle 18 è legge

Il Governo ha firmato il nuovo Dpcm che obbliga bar, ristoranti e pizzerie alla chiusura dalle 18. Il costo sarà di 2,7 miliardi di euro
domenica, 25 Ottobre 2020 di

L’attesa è terminata e la chiusura alle 18 per bar, ristoranti, pizzerie, pub, gelaterie e pasticcerie è diventata legge con il nuovo Dpcm.

La bozza che era stata fatta circolare nella giornata di sabato purtroppo è stata confermata nella sua parte essenziale. Bar, ristoranti e pizzerie devono chiudere alle 18. Salva solo la domenica o, meglio, il servizio a pranzo.

Da lunedì 26 ottobre tutte le attività di ristorazione dovranno osservare il nuovo orario. Apertura dalle 5 del mattino alle 18. Chiusura dalle 18 alle 5 del mattino. Tutti i giorni.

Il nuovo Dpcm anti coronavirus, in pratica, dice che i ristoranti possono svolgere solo il servizio del pranzo. Una limitazione forte, fortissima, considerato che alcuni ristoranti (e pizzerie) sono aperti soltanto la sera con un orario che parte dalle 17.

Fuori dalla possibilità di operare tutti i locali “gourmet”. In epoca pre Dpcm al massimo facevano servizio di pranzo solo il sabato, la domenica e in alcuni giorni festivi. Vedremo se ci saranno cambiamenti.

Il nuovo Dpcm del 25 ottobre avrà validità per un mese e dunque fino al 24 novembre.

Cosa dice il nuovo Dpcm sull’orario di chiusura

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ee) le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5.00 fino alle 18.00;

il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi;

dopo le ore 18,00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico;

resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati;

resta sempre consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché fino alle ore 24,00 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze;

le attività di cui al primo periodo restano consentite a condizione che le Regioni e le Province autonome abbiano preventivamente
accertato la compatibilità dello svolgimento delle suddette attività con l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e che individuino i protocolli o le linee guida applicabili idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in settori analoghi;

detti protocolli o linee guida sono adottati dalle Regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali e comunque in coerenza con i criteri di cui all’allegato 10;

continuano a essere consentite le attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, nei limiti e alle condizioni di cui al periodo precedente;

[qui il testo del nuovo Dpcm]

Cosa succede ora con la chiusura alle 18. Salvo il delivery

pizza asporto no chiusura

Questa la nuova formulazione del testo osteggiato dalle Regioni. La conferenza delle Regioni non è riuscita a far passare la chiusura alle 23. Unico risultato, eliminare la chiusura la domenica e i giorni festivi.

Un cappio all’intero settore della ristorazione che ha provato a ribellarsi più o meno duramente, ma senza ottenere il risultato sperato.

Salvo in pratica solo il delivery, consentito a tutte le ore.

Le reazioni non mancheranno. Ma intanto ci sono i primi dati diffusi dalla Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, che fa i conti delle nuove misure.

Quanto costa chiudere alle 18

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Le misure annunciate dal governo costeranno altri 2,7 miliardi di euro alle imprese della ristorazione. Se non accompagnate da contemporanee e proporzionate compensazioni di natura economica, sarebbero il colpo di grazia per i pubblici esercizi italiani, che già sono in una situazione di profonda crisi, con conseguenze economiche e sociali gravissime.

È il calcolo diffuso dalla Fipe.

“I ripetuti annunci di chiusure anticipate hanno già prodotto la desertificazione dei locali e, indipendentemente dalle novità sugli orari effettivi di apertura, le restrizioni devono essere accompagnate dai provvedimenti di ristoro economico in termini di indennizzi a fondo perduto, crediti d’imposta per le locazioni commerciali e gli affitti d’azienda, nuove moratorie fiscali e creditizie, il prolungamento degli ammortizzatori sociali e altri provvedimento di sostegno a valere sulla tassazione locale”.

“Gli imprenditori di questo settore si stanno dimostrando persone responsabili, che rispettano rigorosamente i protocolli sanitari loro imposti, che non possono reggere ulteriormente una situazione che decreterebbe la condanna a morte per migliaia di imprese. È evidente che non si possono far ricadere le responsabilità del ritorno dell’epidemia sul nostro comparto: sono altri i fattori che hanno purtroppo causato una nuova emergenza”.

“Sarebbe una scelta disastrosa, con la disperazione e la rabbia che sta crescendo oltre il livello di guardia. La pandemia va gestita con attenzione sicuramente alla salute, ma anche riscontrando le aspettative e le esigenze del settore che il governo conosce perfettamente perché la Fipe le ha trasferite nelle occasioni di confronto istituzionale”.

“Chiediamo di poter continuare a lavorare per non morire e per questo servono, senza ritardo o inutili annunci, le misure promesse”.

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.