Enio Ottaviani: vini di Romagna ad ottimo prezzo

Nella generale rimonta degli autoctoni che sta interessando tutto il settore del vino (a dispetto del calo dei consumi e di quella corsa a ostacoli che è diventato l’export), meritano una citazione la Rebola, il Sangiovese e il Pagadèbit di Enio Ottaviani.
L’azienda, a conduzione famigliare da tre generazioni, infatti, nel riminese porta avanti un importante lavoro di promozione delle uve tradizionali e più in generale del territorio, da intendere come stile di vita a tutto tondo.
Enio Ottaviani, l’azienda

Enio era il capostipite, il fondatore che nel 1966 inizia a vendere vino in Romagna e nelle Marche, finché una ventina d’anni dopo non entrano in azienda i quattro nipoti, da parte delle due figlie Loredana e Ivonne. Con Davide (Lorenzi, tutt’ora al timone della produzione) e suo fratello Massimo, che cura il marketing e l’export, e poi anche Milena e Marco (Tonelli) ha inizio una rivoluzione gentile, che nel giro di una trentina d’anni ha completamente trasformato l’azienda. I primi vigneti di proprietà sono del 2007, anno di svolta per l’inizio della produzione in proprio, e oggi sono circa 18 ettari, 65% a bacca bianca e 35% rossa.

Parallelamente il mercato si espande in oltre 30 paesi, Asia inclusa. Tra il 2018 e il 2019 viene ristrutturata la cantina e realizzato il bistrot per ospitare visitatori e clienti affamati oltre che assetati, in cui lasciar parlare sia il vino che quei meravigliosi prodotti per cui la Romagna è famosa nel mondo (compreso il pescato di Cattolica).
Quello che in questa sede è impossibile da restituire però, è la colonna sonora di questa evoluzione, fatta di lissio e canzoni, risate attorno al fuoco degli Ofyr accanto ai filari, di grappoli piluccati tra una chiacchiera e l’altra e schiocchi di tappi stappati.
Enio Ottaviani, cantina e vigneti

L’azienda di Enio Ottaviani è a San Clemente, a pochi chilometri dalla riviera romagnola, tra le colline dell’Oasi faunistica del Conca. Qui il microclima sfrutta le brezze e le correnti dall’entroterra per garantire le giuste temperature di giorno e di notte, oltre che una certa stabilità: le copiose piogge che nelle scorse settimane fatto hanno notizia sulla costa romagnola, con i vigneti di Enio Ottaviani ci sono andate molto leggere.
I suoli offrono componenti argillose, calcaree e sabbiose in percentuali variabili a seconda delle zone, con presenza di ciottoli, marne e stratificazioni rocciose poco al di sotto della superficie. Se n’è tenuto conto nella distribuzione delle varietà coltivate (Bombino bianco, Grechetto gentile, Riesling renano, Chardonnay, Sauvignon Blanc, Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon), per esaltare di volta in volta freschezza e struttura.

Il catalogo di Enio Ottaviani infatti, oltre agli autoctoni in purezza (Rebola e Pagadebit) comprende 10 referenze, tra bianchi e rossi. Da Chardonnay, Riesling e Sauvingon Blanc il pluripremiato Clemente I, l’intrigante Riesling in purezza, elegantissimo, e una bollicina disimpegnata a base Chardonnay. Da uve a bacca nera produce gli IGP 928, blend di Cabernet Sauvignon e Merlot, che maturano rispettivamente in botte grande e in barrique, nonché Sole Rosso, Romagna Sangiovese Doc Superiore Riserva e Dado, da uve Sangiovese provenienti da 4 diverse parcelle, ciascuna con una sua identità territoriale precisa.

Sono terreni sani, inerbiti, a volte nutriti con sovescio, “quando la terra ce lo richiede” ci dice Davide “Dado” Lorenzi (qui il soprannome è un must) in cui razzolano libere galline ovaiole e decorative.

E in effetti ciascun filare parla una lingua sua, non c’è niente di standardizzato, e le braccia rugose di viti ultraottuagenarie si alternano ai tralci flessuosi dei nuovi impianti, secondo necessità.
Freschezza e autenticità

Da Enio Ottaviani anche le pratiche di cantina tendono ad intervenire il meno possibile, utilizzando le basse temperature e l’assenza di ossigeno per preservare il più possibile integrità e freschezza. Pressature soffici e solo mosto fiore per i bianchi, breve macerazione pellicolare per i rossi, e poi tutti nelle botti di cemento da 20 e 30hl per la fermentazione e l’affinamento, prima della messa in bottiglia. I legni (grandi) sono riservati solo ai rossi più strutturati (a base Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot).

Da sottolineare l’uso esteso dei tappi Stelvin (a vite) per i bianchi e per il rosso conviviale dall’evocativo nome Caciara, a base sangiovese. Nonostante la comprovata capacità di conservare egregiamente profumi e freschezza al vino, è ancora molto difficile trovare chi, al di sotto delle Alpi, sfidi i pregiudizi del mercato con un tappo a vite.
È in questi dettagli che si rivela la sincerità di un produttore, e per una scelta che oggi viene accettata meglio dai consumatori (e dai distributori), quando Davide Lorenzi ha iniziato ad usarlo, ci voleva coraggio.
Strati, Pagadebit in purezza

Pagadèbit è il nome romagnolo del Bombino bianco, uva che da queste parti oltre a dimostrare una certa capacità di resistenza alle malattie, ha da sempre contribuito con la sua vigoria alle economie famigliari: anche nelle annate peggiori poteva produrre vino per ‘pagare i debiti’. Con la dovuta gestione, ovvero rese basse (65 q/ha) e le pratiche di cantina che sappiamo, Strati (questo è il nome in etichetta, la prima uscita nel 2017) non solo si rivela un vino estremamente piacevole e versatile, ma riesce a restituire l’andamento delle diverse annate. Costa circa 13 euro.
Mini verticale 2024-2020
Una verticale di Pagadebit da Enio Ottaviani è un gioco divertente, quasi didattico, perché bottiglia su bottiglia non c’è niente di scontato: la maggiore o minore evoluzione, il corredo aromatico, le potenzialità in prospettiva non rispecchiano le età del vino. Comanda l’annata, con il suo clima piu o meno freddo e piovoso, o con le estati torride e siccitose.
Il 2024 è molto fresco, con una parte agrumata evidente e note verdi in evidenza sul frutto. Contrasta nettamente con la precedente (2023) che mostra già una curva evolutiva che si avvia verso il suo massimo. Grasso, morbido al sorso, con note di idrocarburo e smalto, sapido e lungo, è da bere ora, senza attendere.
Ecco che però la 2022 torna vibrante e agrumata, scattante, con quell’accenno di evoluzione che la rende ancora più intrigante. Bocca ancora freschissima, più vicina alla 2024 che alla 2023, nonostante i 12 mesi in più. L’andamento più equilibrato della stagione ha fatto la differenza, soprattutto a fine estate.

Similmente a quanto è accaduto per il Pagadebit 2021, che non cede un pelo in freschezza e bevibilità, ma lascia intravedere quell’anno di maturità in più nella frutta più matura, nelle note di cipria e qualche accenno di yogurt. Il 2020 infine è stato un anno a sé. L’anno del Covid “la natura si è ripresa la terra” sostiene Davide Lorenzi. E gli esiti particolarmente felici di questa bottiglia in qualche modo fanno riflettere sugli equilibri che naturalmente si innestano, quando l’uomo fa un consapevole passo indietro. Cinque anni di equilibrio tra struttura e acidità, tra l’agrume che ora vira sul candito e quelle sfumature balsamiche che restano, a ricordo di gioventù, mentre il palato dopo l’attacco ancora scattante si apre a una morbidezza tonda e grassoccia che è puro godimento.
La Rebola di Enio Ottaviani

Chi dice Rimini dice Rebola, ce l’hanno scritto tutti sulla maglietta, lì in cantina. Si tratta infatti di una varietà antica, presente in zona a memoria d’uomo. Viene citata in documenti del 1378, chiamata Ruibola oppure Greco, per denotarne l’origine ellenica. Il vitigno è tecnicamente Grechetto gentile, più comunemente noto come Pignoletto (da non confondere con il Grechetto di Orvieto) e regala vini freschi ma di bel corpo e caratteristiche evolutive interessanti. L’annata in commercio costa circa 20 euro.
Rebola però, è più di una scritta su una t-shirt. Chiama a raccolta, dal 2021, i 17 produttori DOC Colli di Rimini che hanno dato vita a un’associazione per la valorizzazione di questo vitigno, riconoscibile per la bottiglia marchiata Rimini con cui esce in commercio, uguale per tutti.
Varietà rustica, di media produttività, era sul punto di scomparire e sarebbe stato un peccato, perché gli esiti sono notevoli, e decisamente gastronomici. Fermenta, come il Pagadebit, e riposa in vasche di cemento prima di completare l’affinamento nella sua bottiglia.

Come per il Pagadebit, anche Rebola Colli di Rimini DOC regala sensazioni diverse in anni diversi, e mentre il profilo generale del primo è beverino e conviviale, con la maturazione Rebola acquista in profondità e mistero. Complice una struttura più importante e un naso più ampio già in partenza, dove oltre alle note agrumate e fresche delle annate piu giovani si accostano sentori di idrocarburo, fiori gialli e accenni di miele in quelle più vissute. Evoluzione ben corroborata dalle sensazioni al palato, che nelle annate più vecchie gode di una rotondità glicerica, salina, intensa. Non a caso, negli anni si è fatta apprezzare dalle maggiori guide del settore: 5 grappoli Bibenda, 4 viti Ais, 92 punti James Suckling, 93+ per le Guide de L’Espresso, Daniele Cernilli ed altri ancora.
Facciamo Caciara?

Due parole per il rosso conviviale di casa Ottaviani, Caciara (Romagna Sangiovese Superiore DOC). 100% uve Sangiovese, fermenta in cemento e affina metà in cemento e metà in botte grande, prima dell’imbottigliamento (con tappo Stelvin). Fa parte dello stesso progetto ‘territorialità’ portato avanti con il Pagadebit e la Rebola, perché era il vino giovane e fresco che i pescatori, di ritorno dal mare, bevevano con la zuppa preparata con il pescato.
Caciara mantiene quello che promette, è vibrante, è vivace, è trasversale. Il naso è gentile di fiori e frutti rossi, al palato arriva con una freschezza vellutata e un buon corpo. Ottimo appena rinfrescato, si abbina benissimo a sughi e pesce alla griglia.

La gioventù non incide sulla piacevolezza di beva, che si approfondisce con l’evoluzione ma senza mai perdere in eleganza. D’altra parte è nato per spiegare quello che a parole non rende, l’allegria contagiosa della gente romagnola, e ci riesce benissimo, diobòno! Conviviale anche nel prezzo che si aggira sui 13 euro.
Villa Yeppa per soggiornare tra i vigneti

L’ospitalità romagnola di Enio Ottaviani si completa con Villa Yeppa, la struttura di charme integrata nella tenuta, inaugurata a settembre 2025. Frutto di una joint venture italo-americana, tra il Ristorante Yeppa di Atlanta e la cantina Enio Ottaviani, vuole fare da ponte tra Rimini e gli Stati Uniti per raccontare una Romagna che per una volta non ha a che fare con bagnini e spiagge. Piuttosto versatile, può ospitare singoli, ma anche interi gruppi, offre camere spaziose arredate con un gusto sobrio e chic, e molti spazi conviviali che facilitano l’interazione.

Da non sottovalutare la bella piscina circondata dal giardino di aromatiche e officinali, in cui godersi momenti di relax tra profumi balsamici e colori.
