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I capelli salveranno il tonno rosso dalla marea nera?

martedì, 11 Maggio 2010 di

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Parrucchieri di tutto il mondo unitevi! Per salvare il Gumbo. Non è il richiamo surreale di un profeta gourmet, preoccupato dalle sorti del piatto simbolo del melting pot gastronomico della Louisiana ma un accorato invito, amplificato in questi giorni da Facebook, per provare a contenere i danni all’ecosistema causati dal più grande disastro ambientale che la storia ricordi. In risposta all’iniziativa di un’associazione ambientalista, tonnellate di capelli ma anche pellicce di animali e calze di nylon, stanno già arrivando in questa regione dove verranno utilizzate per realizzare barriere galleggianti e contenere la marea nera. 350 mila donatori hanno già aderito all’invito per un totale di 200 mila chili tra capelli umani e peli di animali che, grazie al loro potere assorbente, saranno utilizzati per tentare dove i potenti mezzi di British Petroleum hanno finora fallito.

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Dopo l’inondazione di New Orleans, dopo Katrina, l’ultimo di una lunga serie di uragani, ora la regione più martoriata dalla natura e dall’uomo, proverbiale terra di incendi, epidemie, paludi e migrazioni frenetiche, torna a fare il conto dei danni all’ecosistema e all’economia. Capodogli, pellicani, cernie, squali, tartarughe marine, ostriche, plankton, gamberi e il tonno rosso (che depone le sue uova da aprile fino a giugno) sono le prime vittime della marea nera in una zona di incontro di innumerevoli specie ittiche. Ma rischia anche l’entroterra paludoso e fluviale che ospita il gambero rosso delle paludi e il gambero bianco di fiume, ingredienti principe della cucina della Louisiana, declinabili in tanti modi quante sono le culture che hanno attraversato nella storia questa terra di passaggio e di frontiera.

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Di questo crostaceo di acqua dolce, tra l’altro killer dei gamberi nostrani del Lago di Massaciuccoli, si nutrivano i nativi americani  ancor prima dell’arrivo, verso la metà del Settecento, dei francesi provenienti dal Canada, i fondatori della cultura, e cucina, Cajun che si affianca a quella Creola, la cucina tipica di New Orleans, incrocio di pratiche gastronomiche molteplici che includono Indiani d’America, Spagnoli, Francesi e Africani. E il Gumbo, zuppa di riso e condimenti vari, è l’esempio più interessante di quella contaminazione gastronomica che in Louisiana è un tutt’uno con i processo di fusione, avvenuta anche in ambito musicale, della cultura africana con l’europea e l’indigena.

Il suo nome, che deriva dalla parola Bantù nkombo, okra per gli occidentali, la spezia regina della cucina africana portata in America dai Portoghesi, contiene in sé ancora l’eco delle deportazioni degli schiavi in America. Ci sono infiniti modi di preparare il Gumbo. C’è la versione “cattolica”, senza carne e quella da “cacciatore indigeno”, a base di cervo o scoiattolo, c’è la versione tedesca con patate, quella a base di carne (pollo, anatra, fagiano e insaccati vari) e quella, con pesce, gamberi in testa, cucinata nelle regioni costiere. Un piatto la cui origine, secondo alcuni storici della cucina, è legata anche alla tradizione della bouillabaisse francese e alla forte predilezione africana per le zuppe.

Ora per il gumbo in versione mare, servito nei raffinati ristoranti di New Orleans, come per il gambero rosso che anima l’appuntamento annuale del Crawfish Festival della Louisiana (che quest’anno ha evitato per un soffio l’onda di petrolio), potrebbero arrivare tempi duri. Riuscirà ai parrucchieri il miracolo di fermare l’onda nera?