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Scatolette a rischio. E non solo per il tonno

giovedì, 02 Dicembre 2010 di

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Non è sorprendente la ricerca svolta da Greenpeace presso i laboratori spagnoli AZTI Tecnalia?

Effettando analisi genetiche comparative, si è scoperto che un terzo delle scatolette di tonno in commercio in dodici paesi europei – Italia compresa – non contiene quanto dovrebbe.

Il campione di ben 165 scatolette ha infatti mostrato un vero “puzzle” di tunidi compresso nelle scatole: due o più specie diverse vengono mescolate insieme sotto la generica dicitura “tonno”. Quando, addirittura, nel tonno non si trovano specie completamente diverse.

Rimandando i nostri lettori alla ricerca di Greenpeace si possono fare qui alcune riflessioni.

E’ chiaro innanzi tutto che qui il punto di vista ambientalistico è strettamente collegato alla tutela della nostra alimentazione. La pesca condotta in modo “poco sostenibile” (in particolare attraverso i FAD – fish aggregating device, strutture galleggianti che attraggono giovani tonni ma anche tartarughe, squali, delfini e specie protette, che finiscono tutte, dopo la congelazione, nella preparazione della “scatoletta”…) è il punto di partenza di una filiera alimentare fallata che termina sul bancone del negozio o della grande distribuzione con prodotti non chiari e non certi nella loro composizione.

Quindi, a mio avviso, il gastrofanatico dovrebbe avere l’obbligo morale – anche per il proprio interesse, per dirla in maniera utilitaristica – di sollecitare le campagne a tutela di una catena alimentare “sana” e, in questo caso, di una pesca condotta in modo corretto e non invasivo.

Sappiamo tutti che fine ha fatto il tonno rosso, ormai distrutto ma più presente – non si sa come in realtà – sui tavoli di sushi che nel mare. La distruzione totale di un ecosistema non sarebbe davvero più reversibile. E non basta affidarsi, per le proprie libagioni, al piccolo produttore di tonno che sembra garantire la provenienza del pescato: sotto la dicitura di “tonno di Favignana” viene annualmente prodotto più tonno in scatola di quanto se ne sia visto nel Mediterraneo intero negli ultimi 10 anni. E ben si sa che il poco che viene pescato finisce direttamente sui banchi del mercato di Tokyo dove il prezzo pagato è molto, molto maggiore.

Criticare pescatori e produttori per questo atteggiamento sembra inutile: chiaro che chi tira su un tonnetto prova a massimizzare l’utile. E chi produce – specie a livello semiartigianale – si trova stretto tra costi e burocrazia che portano a un prezzo finale fuori mercato. Forse anche i gourmet potrebbero dire la loro e farsi sentire, e non sarebbe male, anzi…