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Contadini e consumi, arriva la rivoluzione della VDO: la Vendita Diretta Organizzata

mercoledì, 09 Febbraio 2011 di

C’era una volta il contadino marginale, versione post-bellica del mezzadro con le scarpe rotte. Poi è arrivato il contadino-parassita, quello che succhia i contributi di mamma Europa. Insieme al contadino-strozzato-dalla-GDO, reddito in picchiata e rabbia da vendere. Quel tempo, a sentire Coldiretti, sta per finire.Tutto è pronto per il grande lancio: dopo il contadino-venditore nei farmer’s market, arriva il contadino-fornitore-senza-intermediari. E’ iniziato il conto alla rovescia verso la VDO, la Vendita Diretta Organizzata. Questa volta in mano ai contadini.

Nell’incontro, agiografico e affettuoso, che si è tenuto qualche giorno fa a Roma davanti alla platea degli associati della più grande organizzazione agricola, nata nel 1944 ed entrata, con la presidenza di Sergio Marini, nella sua fase di massima visibilità, la principessa-Coldiretti racconta al pubblico di agricoltori in sala la fiaba del principe ranocchio, il contadino marginale che alza la testa, ‘scende in piazza’ contro le angherie della GDO e diventa commerciante-fornitore-imprenditore, fa il prezzo, scopre che la terra sarà pure bassa ma può dare qualche soddisfazione in più.

Lo ha spiegato bene il sociologo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, quando ha parlato, accarezzando la platea, di ritrovata “volontà di potenza”, di “desiderio di protagonismo”, di “trasformazione interna dell’identità del coltivatore diretto”. Che facendo vendita diretta “controlla la filiera” e “in funzione della vendita” è chiamato a “riorganizzare la sua azienda”. Quasi un miracolo, in una società che affonda dentro “un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio” dove “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare le dinamiche sociali” (44° Rapporto Censis sulla situazione del Paese/2010). E se, come ha ricordato De Rita, il “desiderio va coltivato”, Coldiretti non si tira indietro e prepara il terreno a nuove sfide. Mentre si gode il meritato successo: in tempi di magra degli acquisti alimentari come il 2010 i mercati degli agricoltori hanno registrato una crescita del 28% (in testa Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Puglia e Toscana).

Sembra passato un secolo da quando, nel 2008, mette in campo i primi farmer’s market, bollati dai detrattori della prima ora come ‘fenomeno da baraccone’. Che da 170, occasionali e legati ad eventi del territorio, diventano in due anni la più grande rete europea con 705 appuntamenti fissi settimanali nel 2010, aggregano 3997 punti vendita aziendali, trascinano 16 mila produttori per un totale di oltre 25 mila giornate di mercato. E ora puntano a quota 5000 (tra farmer’s market e punti vendita aziendali) entro la fine del 2011 e fanno rotta verso l’obiettivo di un mercato coperto in tutti i capoluoghi, sempre entro la fine dell’anno. Intanto lavorano al cantiere di una rete distributiva per la ristorazione e costruiscono, mattone dopo mattone, i punti vendita di Campagna Amica. Cinquanta  a partire da aprile, come ha annunciato recentemente Marini, con i prodotti degli associati a marchio Filiera Agricola Italiana. Ai produttori la scelta se diventare ‘semplici’ fornitori o gestori di un punto vendita diretto. ‘Assortimento, continuità del servizio e locali chiusi’, ecco, con le parole di Marini, quel che mancava ai farmer’s market per diventare qualcosa di più di una formula allegra e festosa di vendita. E per pensare di competere con la GDO.

Intanto fanno politica sponsorizzando una legge, quella sull’indicazione di origine obbligatoria, che in un Parlamento paralizzato riesce persino a vedere la luce, qualche settimana fa. Non importa se l’Europa si arrabbia e ricorda all’Italia che non può adottare regole non in armonia con quelle comunitarie. Potrebbe finire con una procedura di infrazione per l’Italia ma forse servirà a fare un po’ di chiasso in un Europa ammansita “dalle potenti aziende di trasformazione” e dalla “Grandi Marche che usano impropriamente le immagini del paesaggio italiano” (Marini). Non è forse forse merito anche del popolo dei cappelli gialli se, complice la globalizzazione che insidia la sicurezza alimentare e gli scandali degli ultimi anni, l’Europa ha via via introdotto l’obbligo di indicazione di origine sull’etichetta per carne bovina, pollo, ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, passata di pomodoro e olio extravergine di oliva? Non è forse grazie anche a loro, sceriffi ai porti e ai valichi che sgominano sbarchi di finte passate nostrane e scoperchiano tir di improbabili prosciutti italiani, se la contraffazione alimentare e l’Italian sounding hanno riempito i tg in prima serata?

E l’uomo della strada frequenta i farmer’s market. Nel 2010 in 8.300.000 hanno comprato dai 16.000 produttori di Campagna Amica. E con soddisfazione, a leggere i dati dell’indagine condotta da SWG. Sicurezza e bontà i motori della scelta (rispettivamente nell’84% e nel 82% dei casi); sono consumatori che non badano a spese nel 61% dei casi e anche per questo la formula di vendita diretta ha “un potenziale di immagine potentissimo”, come ha spiegato Roberto Weber, presidente di SWG. “Praticamente un’operazione che si comunica da sola”.

Sono contenti anche i produttori. L’87% di loro si ritiene soddisfatto, il fatturato delle aziende che effettuano la vendita diretta nel 2010 è aumentato in media del 20% e il prezzo medio di vendita è salito del 17%. A testimoniare l’entusiasmo, nella terra che fu dell’Albero degli Zoccoli, c’è Lucia Morali, case history in carne e ossa, storia a lieto fine. Titolare di un’azienda zootecnica nella Val Brembana che fa fatica a progredire sotto il fardello della concorrenza al ribasso, trova qualche sollievo nell’attività agrituristica ma alla fine volta pagina solo con la vendita diretta. E ringrazia Coldiretti.

Foto: girovagandointrentino.it, conipiediperterra.com, ivg.it, viniesapori.org,