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Carlo Cracco. L’insalata russa che non c’entra con le montagne russe

lunedì, 23 Gennaio 2012 di

L’insalata russa. Io da bambino impazzivo per l’insalata russa. E ancora oggi è uno dei piatti che mi fanno più godere. È l’immagine delle feste, una gioia per il palato, una golosità che assoceresti ai dolci. Per questo mi ha colpito la felice intuizione di Carlo Cracco: trattiamo l’insalata russa come un dessert e serviamola caramellata. Come benvenuto dello chef però, per iniziare in bellezza. Due dischetti di zucchero caramellato – e chissà quale altra diavoleria molecolare uscita dalla bottega dell’alchimista più discusso e mediatico degli ultimi tempi – incastonano un’avvolgente e goduriosa insalata russa e la sua maionese cremosa e stuzzicante. E si parte per l’avventura.

La cornice è di estrema eleganza e l’illuminazione rilassante, anche senza essere a lume di candela. L’atmosfera non è neanche turbata dagli immancabili russi sopra le righe.

La metafora dell’ottovolante è ultimamente spesso utilizzata nei blog gastronomici per descrivere alti e bassi nel corso di una serata. Senza essere così drastico, direi però che solo alcuni piatti mi hanno comunicato un’emozione adeguata al blasone del luogo, mentre altri non hanno lasciato un ricordo indelebile.

A cominciare dal celebre Tuorlo d’uovo marinato, senape spinaci e albume che non riesce a fare breccia nelle papille e nel cuore, mentre i Gamberi rossi pop corn con Castelfranco e crema di rapa, che assaggio dalla dolce metà, sembrano avere una marcia in più, aiutati dalla straordinaria qualità della materia prima e dalla felicissima intuizione dell’abbinamento scoppiettante con minuscoli granelli di pop corn.

I risotti. Si torna a volare, con i risotti. Il mio è al nero di seppia con ricci di mare e midollo, un’esplosione di sapori e sapidità perfettamente bilanciate dalla dolcezza del riso. Assaggio anche il Risotto con olio di acciughe, limone, cacao. Un accostamento che la mia metà definisce psichedelico. Spiazzante e sorprendente, senza alcun dubbio. Colpisce anche la cottura del riso: si direbbe troppo avanti, ma è una scelta che privilegia la scorrevolezza nel palato. I chicchi si sciolgono letteralmente in bocca, rilasciando sensazioni di dolcezza che equilibrano  in maniera perfetta le note appuntite degli altri ingredienti. Insomma, uno stile per niente classico per un risultato che innova rispetto ai manuali di cucina. Siamo qui per sperimentare innovazione, non per ripassare i classici.

Più ordinari i secondi (OK, niente metafora dell’ottovolante, ma ci siamo capiti): Filetti di triglia croccante, scorzonera e broccoli e Animelle di vitello arrosto, barbabietola e acciughe, queste ultime notevoli per l’intensità di sapore e impeccabili nella cottura.

La dolce chiusura è affidata a Sfoglie di zucchero e a sfiziosissimi Fruttini ghiacciati.

Meno dolce, diciamo la verità, è il conto. Ogni portata è sui 40 euro, e in un ristorante di questo livello a Milano la cosa è accettabile, ma il ricarico sui vini farebbe felice Nossiter(abbiamo bevuto un Kaplja di Damijan Podversic a 70 euro e due calici di Dom Perignon del 2002 a 35 l’uno).

Tirando le somme … ma dobbiamo proprio tirare le somme?

La cucina non è ragioneria: questo più, questo meno, più e meno. Cracco è un’esperienza sensoriale che vale assolutamente la pena fare ed è confortante scoprire che il tritacarne dei media non ha intaccato la professionalità della macchina che l’impeccabile sous-chef Matteo Baronetto manda avanti con amore e precisione.

Ristorante Cracco. Via Victor Hugo, 4 – 20123 Milano. Tel. +39 02.876774

[Foto: Francesco Arena/Scatti di Gusto, ristorante Cracco]