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Milano. Pranzo stampa per capire quanto stanno bene i vini di Langa e di Sicilia con la cucina del Seta

martedì, 05 Dicembre 2017 di

svinando

Metti insieme, non necessariamente nell’ordine:

la combinazione di comfort, stile ed eleganza del Mandarin Oriental di Milano
la grande qualità di uno dei migliori ristoranti italiani, Seta (due stelle Michelin)
uno storico distributore nazionale di ottimi vini, Pellegrini
due produttori appassionati, Bruno Rocca e Graci.

Il risultato finale è “Le Langhe incontrano l’Etna”, occasione multitasking per apprezzare e conoscere meglio vini, produttori, distributore.

Pronunciare il nome Pellegrini nel mondo del vino significa parlare di uno dei primi attori della distribuzione all’ingrosso in Lombardia. Siamo alla fine dell’Ottocento, Pietro Pellegrini (bisnonno dell’attuale presidente della società) vende vino nella sua osteria ai piedi del Castello di Cisano, nel Bergamasco, proprio lì dove nel 1904 costruisce la sede della sua azienda, con le cantine per lo stoccaggio dei vini sfusi.

Qui, con gli adeguati ammodernamenti, ha sede ancora oggi l’intera struttura che si occupa della selezione, importazione e distribuzione di vini, Champagne e distillati di alta qualità su tutto il territorio italiano.

Parimenti, parlare di Mandarin Oriental significa parlare di un’azienda leader nel settore dell’ospitalità di lusso; un’azienda che, in controtendenza rispetto all’attuale andamento italiano, ha creato la sua sede milanese ristrutturando senza compromessi edifici centralissimi con il solo scopo di offrire la massima qualità possibile.

E lo ha fatto senza tenere in secondo piano l’aspetto ristorativo, mettendo su un cocktail bar, un bistrot frequentatissimo, ed un ristorante gastronomico, Seta. E qui Antonio Guida, con il già collaudatissimo staff del Pellicano di Porto Ercole, propone la sua cucina classica, equilibrata ed elegante, dalle cotture millimetriche, che grazie alle precedenti esperienze ed alle nozioni apprese Oltralpe, ne fanno un autentico viaggio intorno al mondo.

Ultimi, ma non per importanza, i due produttori presenti, Alberto Graci e Luisa RoccaEntrambi passionali, legati a doppio filo ai territori che rappresentano, con tutte le difficoltà che il rispetto della terra, delle uve e delle annate comportano. Te ne accorgi dalla loro parole, per nulla affettate, o di circostanza: 22 e 15 ettari di vigna, nei terroir più belli dell’Etna (Passopisciaro di Castiglione di Sicilia) e delle Langhe (Rabajà a Barbaresco). E ne trovi conferma nei loro prodotti, dritti, rappresentativi dei rispettivi terroir, schietti più che mai.

Si è accolti però con un fuori programma, ovvero un calice di Champagne Roger Pouillon & Fils, nello specifico Les Blanchiens 1er Cru, Brut Nature blend paritario di Pinot Noir e Chardonnay.

La cucina, nel frattempo, si mette subito al passo: pane d’Altamura a lievitazione naturale, sottilissimi grissini, burro dolce e burro alle alghe ad accompagnare l’amuse bouche: Collo di pollo farcito, mousseline di fegatini, spuma di zucca e cacao amaro.

E’ con l’antipasto che inizia il vero “incontro”: Cavolfiore con salsa al latte di mandorla, succo di yuzu e frutti di mare.

Che incontra un Etna Bianco Arcurìa 2015 (70% Carricante, 30% Cataratto) di grande personalità, esprime al naso aromi agrumati e fruttati. Al palato colpisce per la verve acida, e per la sapidità tipica del terroir vulcanico.

E un Langhe Chardonnay Cadet 2015: Chardonnay in purezza, con aromi che vanno dal fruttato al floreale. Al palato risulta delicato, di discreta sapidità, molto elegante. Solo in questo caso, complice anche la grassezza del piatto proposto, il blend siciliano si lascia leggermente preferire per la maggiore capacità di “pulire” il palato.
Nei due casi restanti risulteranno sostanzialmente interscambiabili, seppur diversi ed unici.

Primo piatto: Risotto all’anice stellato con scorzonera e polvere di cavolo nero.

Con un Etna Rosso Arcurìa 2014:Nerello Mascalese 100%, da una vecchia vigna sul versante nord-est del vulcano, a un’altitudine di circa 700 metri sul livello del mare. Lieviti indigeni, fermentazione in tini di rovere, maturazione per 24 mesi in grandi botti di rovere ed almeno 6 mesi di affinamento. Al naso si avvertono netti sentori di frutti rossi e di macchia mediterranea. Sapido, persistente, con una robusta trama tannica. Da invecchiamento.

Barbaresco Rabajà 2014: Nebbiolo 100%, le cui uve provengono dal grande cru “Rabajà”, dove l’età media delle viti è di circa 50-60 anni.
Vinificato in acciaio per circa 20-25 giorni, affina poi per 12 mesi in barriques e 12 mesi in botte grande, tutte di rovere francese. Il lato olfattivo presenta sentori di ciliegia, mora e spezie. All’assaggio è di corpo pieno, caldo e avvolgente, con un tannino elegante anche se non ancora completamente svolto. Da attendere.

Secondo piatto: Germano reale farcito, crema di cipolla, sedano rapa e tartufo bianco.

Quota Mille Barbabecchi 2014. Il vigneto si trova tra i 1000 e i 1100 mslm. Le vigne hanno un’età media di 100 anni e sono impiantate a piede franco; non viene usato nessun tipo di trattamento. La vendemmia avviene nel mese di novembre.
La fermentazione avviene senza il controllo delle temperature in tini di rovere troncoconici dove il mosto resta a contatto con le bucce per circa 25 giorni. Seguono 24 mesi in botte di rovere con svolgimento spontaneo della fermentazione malolattica e 12 mesi di bottiglia.
Al naso è incredibilmente complesso e molto fine. Frutti di bosco, ma anche frutta, come prugna e ciliegia. Speziato e con profumi di sottobosco. Al palato è equilibrato, elegante, fine e persistente, con tannini morbidi.

Barbaresco Riserva Currà 2012: 100% Nebbiolo, 4 ettari di vigneto acquisiti nel 2001. Currà prende il nome dal curato della parrocchia di Neive (il curà, in piemontese): si pensa che in passato i terreni fossero di proprietà della Chiesa, da sempre attenta nella scelta delle sue rendite. La posizione, il terreno e il microclima donano al vino qui prodotto un’eleganza assoluta, tannini piacevoli e armoniosi. “È il primo vino creato da mio fratello Francesco – spiega Luisa – che ha preferito puntare sulla freschezza, lavorando con la botte grande per 36 mesi.” Ne è derivato un prodotto elegante ed armonico. Al naso si caratterizza per le note speziate ed al palato sorprende per sostanza e finezza.

Pre-dessert: Tortino e gelato di zucca con salsa alla melagrana.
Dessert: Mandarino farcito con kumquat, castagne e gelato alla grue di cacao.

Jurançon Uroulat 2014:il piacevole finale offerto da Pietro Pellegrini, da vero “padrone di casa”. Vigne naturali a 45 chilometri dai Pirenei. Piogge frequenti in primavera ed estate, con autunno caldo e secco. Il föhn favorisce la maturazione ed allunga la stagione in un ambiente sano per le piante. Una particolarità le viti che si sviluppano in altezza, anche fino a 2.5 metri, avendo tolto le gemme nelle parti basse per evitare le gelate primaverili. A novembre si vendemmiano le uve Petit Manseng lavorate con pressatura lenta e soffice, fermentazione in barrique, delle quali il 20% nuove. Affinato in barrique da 225 litri per 10 mesi. Un vino equilibrato e fruttato, dall’acidità cristallina.

In conclusione un’iniziativa originale ed interessante che dimostra, nonostante le ovvie differenze pedoclimatiche, l’elevato livello del patrimonio vinicolo italiano.

[Immagini e testo. Massimo D’Alma]