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Prosciutto. 3 regole per riconoscere un vero Parma o San Daniele DOP

mercoledì, 16 Maggio 2018 di

Continua l’eco dell’inchiesta della procura di Torino sui falsi prosciutti di Parma e San Daniele ottenuti da suini Duroc danesi, non conformi al disciplinare.

A mantenere viva la questione hanno contribuito, tra gli altri, proprio il Consorzio del San Daniele DOP, dichiarandosi parte lesa, e il Consorzio del Parma DOP che ha minimizzato portata e impatto della truffa.

C’è poco da minimizzare in realtà: la procura di Torino ha individuato 300mila prosciutti falsi, e stimato in 90 milioni di euro il valore di una contraffazione che dura da diversi anni: le indagini sono iniziate nel 2014 e si sono concluse nel 2017, il che significa che almeno in questo intervallo di tempo i consumatori hanno acquistato prosciutti di dubbia origine.

Per Il Fatto Alimentare che avviato la Prosciuttopoli, non è credibile uno scenario in cui gli unici ‘colpevoli’ restano gli enti certificatori accreditati (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni) – i quali hanno certamente delle responsabilità e infatti sono commissariati per sei mesi a partire dal maggio 2018 – mentre il resto della filiera produttiva grida allo scandalo o cade dalle nuvole.

Le cosce vengono marchiate alla fine di un processo lungo, sottoposto a diverse lavorazioni. A cominciare dagli allevatori, che scelgono consapevolmente di usare una razza non idonea per le inseminazioni, passando per i macelli, che non possono non accorgersi della differenza di peso e caratteristiche della carne, e poi per i prosciuttifici che devono trattare le cosce e ne seguono l’evoluzione e la stagionatura.

Nessuno sapeva niente? Era davvero indispensabile l’analisi del DNA delle cosce sospette per capire che qualcosa non andava?

Eppure il maiale di razza Duroc danese ha delle caratteristiche organolettiche molto riconoscibili, stando a quanto riporta l’Anas, Associazione Nazionale Allevatori Suini (ente senza fini di lucro che si occupa della selezione genetica e dell’allevamento dei maiali).

Le cosce di razza Duroc danese sarebbero troppo magre, la copertura di lardo troppo esigua, che diminuisce ulteriormente in fase di stagionatura, e la grassinatura, le venature di grasso all’interno della parte muscolare, sarebbero quasi assenti.

Ma noi che amiamo il prosciutto, come possiamo tutelarci dalle cattive pratiche di certi produttori? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Gallo, il direttore dell’Anas, che ci ha risposto così: “I consumatori possono stare tranquilli, perché dalla chiusura delle indagini, nel febbraio 2017, i produttori non in regola hanno dovuto adottare misure correttive, quindi oggi la filiera non presenta ‘fuorilegge’.” 

Tuttavia, ci vogliono 13 mesi, partendo dal concepimento, per ottenere un maiale pronto per il macello, e altrettanti per avere un prosciutto a marchio DOP Parma o San Daniele. Quindi, per essere proprio sicuri dovremo aspettare la primavera del 2019.

Nel frattempo, però, un vero San Daniele o un Parma possiamo distinguerli seguendo tre regole.

1. Magro non è bello

Il prosciutto non può essere troppo magro – ci ha spiegato Gallo – per consentire una stagionatura sana. La coscia deve avere una buona corona di grasso e soprattutto una certa dose di venature interne, sono soprattutto quelle che danno sapore alla fetta. In mancanza della giusta percentuale di grasso viene a mancare l’ideale equilibrio che fa la differenza sul prodotto finito. In particolare, la carne di maiale Duroc danese, l’oggetto della truffa, è più ricca di acqua, che in fase di stagionatura fa sì che il sale venga assorbito in maggior quantità. Il prosciutto che si ottiene non avrà mai la dolcezza tipica di una DOP Parma o San Daniele.

2. Molliccio, no grazie

Il prosciutto di qualità ha una consistenza vellutata e morbida, non è né molliccio né secco. Per ottenere la giusta texture è fondamentale la materia prima. Oggi i prosciuttifici hanno adottato soluzioni tecnologiche che consentono di intervenire durante la lavorazione anche se la coscia di partenza non è perfetta. Il risultato finale però non sarà mai paragonabile a quello che si ottiene con un maiale allevato come si deve, sarà gommoso oppure secco, rigido, perché ha subito trattamenti che diversamente non sarebbero stati necessari.

3. DOP è comunque meglio

Nonostante lo scandalo e la cattiva condotta di certi produttori – che rappresentano una minoranza del settore specifica Gallo – un prosciutto a marchio DOP è sempre più garantito del prosciutto cosiddetto “nostrano”, se non altro perché i disciplinari nella maggior parte dei casi impongono non solo che tipo di sostanze possono essere utilizzate durante le fasi di lavorazione, ma anche l’origine della carne. Diversamente, è facile acquistare un prosciutto “nostrano” che è nato e cresciuto in un paese straniero.

[Link: Il Fatto Alimentare, Immagini: Consorzio del Prosciutto di San Daniele]